martedì 21 dicembre 2010

La filiera italiana dell'auto ha retto alla crisi, ma i player nazionali sono troppo piccoli


Le scelte di Marchionne, dopo l'annuncio dato venerdì che la newco per Mirafiori fra Fiat e Chrysler nascerà fuori da Confindustria in attesa di uno specifico contratto per l'auto, restano sullo sfondo. I rapporti tra il Lingotto e i sindacati, senza il cui accordo l'investimento a Mirafiori non si farà, rimangono la vera incognita con cui l'intero mondo dell'automotive italiano dovrà confrontarsi. Intanto, però, i grandi fornitori che realizzano i motori, i vetri, gli interni, i freni e la meccatronica chiudono un anno in cui le cose potevano andare peggio. E iniziano a progettare un futuro che non sarà semplice, data la riconfigurazione in corso delle mappe mondiali dell'automotive. Secondo un'analisi di Roland Berger e di Lazard questo settore ha replicato in maniera fedele il comportamento dell'intera industria italiana. Le imprese hanno tenuto meglio rispetto ai competitor internazionali grazie a una dimensione media minore che, unita all'abilità di lavorare bene sul circolante, ha permesso una maggiore elasticità nel controllo dei costi e dell'organizzazione interna. Questa virtù, però, rischia di trasformarsi ora in un handicap, perché le nostre aziende hanno minori mezzi con cui finanziare lo sviluppo che, soprattutto nella giovane Asia, ma anche nell'emergente Sud America e nei vecchi Stati Uniti, sarà a tratti impetuoso. «L'analisi - spiega Roberto Crapelli, capo di Roland Berger nel nostro paese - è stata compiuta su circa 500 aziende internazionali, 40 delle quali sono italiane». A livello internazionale nel 2010 il fatturato complessivo mondiale è tornato ai livelli precrisi e la profittabilità si è attestata a un buon 6 per cento. Interessante la dinamica, fra 2007 e 2009, sulla capacità di essere redditizi a livello industriale. Nel 2007 l'Ebit mondiale era pari al 5,7%, quello dei produttori europei al 6,6% e quello degli italiani al 3,6 per cento. Dunque i produttori italiani, nell'anno prima della recessione, guadagnavano meno degli altri. Il terremoto però ha fatto più macerie fuori dal nostro paese. Nel 2009 l'Ebit mondiale è diventato dell'1,4% (perdita secca di quasi quattro punti e mezzo), quello europeo è sceso a -1,1% (perdita di quasi otto punti) mentre quello italiano si è fermato a -0,1%, limitando l'erosione di competitività a tre punti e mezzo. Per quanto concerne i fatturati italiani, ci vorranno ancora tre-quattro anni perché tornino ai livelli precrisi. «Quasi tutte le aziende italiane considerate - nota Crapelli - hanno un fatturato inferiore al mezzo miliardo di euro. Dunque, sono più piccole dei concorrenti. Calcoliamo che, nei prossimi dieci anni, per assecondare i loro piani di espansione i 500 player mondiali abbiano bisogno in tutto di 130 miliardi di euro. Che significano debito e capitali freschi. Per quanto concerne gli italiani, data la loro struttura finanziaria e la loro dimensione, è evidente che il denaro debba andare soprattutto a patrimonio». Dunque, anche in questo comparto si pone la questione della cessione dei diritti di proprietà. Anche perché, nello scenario di Roland Berger e di Lazard, gli obiettivi strategici fissati a dieci anni dai vertici delle imprese italiane sono raggiungibili soltanto con una forza finanziaria e patrimoniale che oggi non c'è. Prendiamo i ricavi e le produzioni ottenuti sui mercati del futuro. Oggi la Cina vale il 2% dei loro fatturati e l'1,5% della loro produzione, l'India lo 0,5% sia di fatturato sia di produzione e il Brasile il 4% del fatturato e il 2% della produzione. L'obiettivo è salire al 10-14% in Cina, all'8-11% in India e al 7-9% in Brasile. Gli investimenti nei Bric dovrebbero passare da una somma equivalente al 14% del fatturato a una somma pari al 39 per cento. «Sulle prospettive di questi fornitori - riflette Andrea Marinoni, che in Roland Berger si occupa di automotive - naturalmente influiranno le scelte di Fiat, che oggi si stima pesi per un terzo sulle loro commesse». Il problema non è solo se Fabbrica Italia, che peraltro è già stata "spacchettata" stabilimento per stabilimento, si realizzerà o no. La questione è anche rappresentata dalle scelte di acquisto di una Fiat-Chrysler sempre più globale: con chi si rifornirà? Anche nella migliore delle ipotesi Fabbrica Italia sembra una soluzione ponte per tre-quattro anni. L'urgenza di internazionalizzazione e di rafforzamento patrimoniale per queste imprese va perseguita indipendentemente da quanto capiterà a Fiat nei prossimi mesi.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 13/12/2010)

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