sabato 18 dicembre 2010

Così lo "tsunami-Marchionne" sconvolge le relazioni industriali


Lo "tsunami-Marchionne" ha colpito prima i sindacati e con l'annuncio della Fiat-Chrysler di uscire, seppure temporaneamente, dall'associazione degli industriali, ora tocca alla Confindustria. Perché il nuovo contratto di lavoro per il settore dell'auto, marca uno spartiacque nelle relazioni tra le parti. Cambieranno i contratti e le altre regole del gioco. Ci sarà un effetto a valanga. Nulla sarà più come prima anche a Viale dell'Astronomia. Che subirà lo smacco dell'uscita del suo associato più prestigioso, il simbolo stesso del capitalismo italiano: la Fiat. Quella che per decenni ha dettato la linea della lobby industriale, guidandola, per un biennio, in prima persona con l'Avvocato Agnelli e "designando" più d'una volta il presidente. È un mondo che cambia. "Si passa - dice Giuseppe Berta, storico dell'industria all'Università Bocconi di Milano - da un'epoca nella quale la globalizzazione era uno scenario di riferimento per le relazioni industriali, a un'epoca in cui la globalizzazione entra e plasma anche le relazioni industriali". Uno shock per l'apparato confindustriale. Ma pure per i vertici che mercoledì si riuniranno prima nel Comitato di presidenza e poi nel Direttivo. Perché del "patto di New York", quello siglato con Marchionne sul contratto per l'auto con annessi l'uscita e il rientro della Fiat in Confindustria, Emma Marcegaglia non ne ha ancora parlato negli organismi direttivi. Per la prima volta in maniera plateale il manager Marchionne (perché uno dei "padroni" iscritti a Confindustria non avrebbe mai potuto farlo) sostiene che essere parte o meno dell'associazione è "un dettaglio". La crisi di rappresentatività che negli ultimi decenni si è scaricata in profondità sulle confederazioni sindacali a causa della frammentazione dei rapporti di lavoro, ora appartiene pure agli industriali. D'altra parte i segnali erano già da tempo affiorati: il malessere crescente dei piccoli, la voglia dei grandi pubblici alcuni ancora monopolisti (Eni, Enel, Poste) di pesare di più nelle decisioni, lo scontro frequentissimo nei territori (Venezia, Genova, Napoli, solo per fare alcuni esempi) per la lotta ai vertici delle associazioni locali. L'economista Giulio Sapelli ha parlato di "delegittimazione" della Confindustria dopo lo strappo di Marchionne che al Financial Times ha fatto venire in mente Margaret Thatcher. La "Lady di ferro" abbatté le resistenze dei minatori di Arthur Scargill, Marchionne vuole sconfiggere la Fiom dell'emiliano Maurizio Landini. Ma c'è dell'altro. C'è quello che Marco Revelli, politologo all'Università del Piemonte Orientale, descrive come "un pesantissimo siluro che Marchionne ha lanciato alle forme di rappresentanza nazionale", alla Confindustria innanzitutto. Continua Revelli: "L'amministratore delegato della Fiat interpreta nella forma più spietata la logica di un capitalismo ormai transnazionale. Un capitalismo che non accetta più la rappresentanza nazionale. Questa è davvero quella che Luciano Gallino ha chiamato "l'impresa irresponsabile". Un'impresa che non vuole più essere vincolata dai patti. È un'operazione di destabilizzazione del sistema delle relazioni industriali". Rimarrà un cumulo di macerie. Dove Marchionne porterà le relazioni industriali non è per nulla chiaro: se verso il modello a stelle e strisce con un sindacato fortemente coinvolto nelle logiche aziendali (come in Italia vorrebbe Roberto Di Maulo, il leader del Fismic, il "sindacato giallo" in Fiat) oppure nella Germania dove, a parte la logica partecipativa, le aziende possono uscire dall'associazione imprenditoriale e anche dall'applicazione del contratto. La via al cosiddetto "opting out" che già nel 1998 la "Commissione Giugni" propose per riformare il sistema contrattuale introdotto nel 1993. "Certo - spiega Carlo Dell'Aringa, professore di economia politica alla Cattolica di Milano - la rottura c'è stata ed è un fatto dirompente. Marchionne segnerà una discontinuità e il contratto nazionale perderà di peso. Si va verso un decentramento della contrattazione". Un modello che potrebbe andare bene ai grandi (come la Fiat o i gruppi pubblici) che si faranno di fatto il loro contratto, ma meno - probabilmente - alle aziende di piccole dimensioni. Il contratto nazionale oggi "protegge" i piccoli dalla presenza del sindacato, ma una volta che prevarrà il contratto aziendale accetteranno la presenza dei rappresentanti dei lavoratori? Difficile immaginarlo perché la mossa di Marchionne apre anche allo scenario senza regole, dove prevarranno i rapporti di forza. Che, in una fase di crisi permanente come questa, sono tutti a favore delle imprese. Aziende senza sindacato, insomma. In questa partita la Fiom rischia sempre più di stare fuori. Marchionne ha fatto chiaramente capire che ormai il suo obiettivo, non secondario, è questo. Nello stesso tempo lo strappo del manager italo-canadese ha messo a nudo la fragilità dell'accordo separato del 2009 sulla contrattazione, firmato da tutti tranne che dalla Cgil. "Nasce tutto da lì", è la tesi di Susanna Camusso. Da lì, invece, per Cisl e Uil si deve ripartire. "Quello di Marchionne - sostiene Giorgio Santini, prossimo segretario generale aggiunto della Cisl - è solo uno degli scossoni di assestamento. Dietro l'angolo non c'è il modello americano ma uno sviluppo della contrattazione decentrata". Paolo Pirani, segretario confederale della Uil, spiega che la vera anomalia è il contratto dei metalmeccanici rimasto fedele all'idea del "contratto di classe" che tiene insieme tutti: dall'informatico all'operaio della catena. "Con il contratto dell'auto i metalmeccanici si adeguano agli altri settori". Le conclusioni di Berta: "La verità è che manca una vera leadership. Servirebbero personalità con una storia, con carisma, con peso politico. Invece non ci sono, né tra i sindacati né nella Confindustria. Che celebra il suo centenario nella maniera più infausta".
(Fonte: www.repubblica.it - 13/12/2010)

1 commento:

  1. Probabilmente Marchionne non sta salvando solo la Fiat, ma l'Italia intera ferma a modelli organizzativi vecchi. Marchionne in cambio di flessibilità offre aumenti e premi per i più meritevoli mentre oggi la realtà è ben diversa con un'appiattimento che mette in difficoltà le aziende e tutto il nostro sistema industriale.
    Se nelle piccole azienda la produttività è addirittura ben superiore a quella nazionale e superiore pure a quella tedesca (da qui la grande forza delle nostre piccole e medie imprese) dall'altro vi sono produttività scandalosamente basse nelle grandi aziende e in quelle parastatali.

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