giovedì 21 marzo 2013

Riccardo Ruggeri: i punti deboli del piano Marchionne sulla fusione Fiat-Chrysler


La campagna elettorale è stata talmente devastante in termini di lotta politica, di colpi di scena, di focalizzazione su pochi personaggi, che non c’è stato spazio per altri temi. Lo stesso caso Fiat Auto è scomparso dai giornali, per mesi nessuno ha parlato di Sergio Marchionne, né quelli che lo considerano l’uomo nero del business e del management italiano, né quelli che l’avevano descritto come un innovatore nella concezione del lavoro e delle regole. Finalmente, la ricreazione elettorale è finita, possiamo riprenderci la nostra vita.
Sì alla fusione con Chrysler entro fine anno - Sarà perché ci sono vissuto 42 anni, sarà perché gli incarichi che mi venivano affidati li vivevo con grande passione, ma la parola Fiat è sempre stato il mio acufene, un ronzio più che un fischio, che mai mi abbandona, perché lo amo. A margine del Salone di Ginevra, esce una breve dichiarazione di Marchionne che giudica fattibile la fusione con Chrysler entro fine anno, senza necessariamente procedere all’Ipo (offerta di azioni in borsa). Sobbalzo, felice. È chiaro che, per realizzare questa soluzione, Fiat Auto deve “comprare” (pagando cash) dal Fondo Veba (sono quattrini degli operai) il 41,5% di Chrysler.
Il tesoretto di Marchionne - Due problemi: il prezzo, i quattrini per l’acquisto. Sul prezzo si è aperto un contenzioso, per una parte di questo pacchetto, che attende la pronuncia del Tribunale del Delaware (le posizioni Fiat e Veba sono molto lontane, si dice che il differenziale potrebbe ammontare ad alcuni miliardi di dollari). Infatti, quando il contratto fu siglato, Chrysler era fallita (i tedeschi avevano lavorato bene sui nuovi modelli, che oggi stanno avendo gran successo di vendite, ma erano stati sciagurati nella gestione, bruciando 60 miliardi di dollari) mentre Fiat Auto, nel 2009, si presentava in apparente salute (in realtà Moody’s l’avrebbe declassata a junk). C’è chi dice che oggi i parametri si siano invertiti, e ciò complica di molto il problema. Sui quattrini, Marchionne gode di un vantaggio: non avendo, in questi anni, fatto investimenti, seguendo la sua innovativa teoria (niente nuovi prodotti, nessun ciclo di rinnovo, quando il mercato “non beve”), si trova un tesoretto di circa 17 miliardi (seppur a fronte di 28 miliardi di debiti), che potrebbe utilizzare per acquistare la quota Veba e procedere alla fusione, senza soggiacere alle feroci regole dell’Ipo.
Il nodo del multiplo per il pricing di Chrysler - In realtà, il problema è molto più complesso, e ben lo inquadra il FT (curioso il titolo “L’onnipotente Chrysler”). Per Marchionne, chiudere il negoziato con Veba alle sue condizioni pare difficile. La formula contrattuale (“enterprise value”, moltiplicato un certo “multiplo”, meno i debiti) è condizionata pesantemente da quale “multiplo” si adotta. Marchionne sostiene debba essere al massimo quello Fiat (2,6), Veba quello di mercato (per esempio, Toyota ha 11, Ford 10, VW 7, GM 4: più è basso, più l’azienda è critica): si comprende che, a seconda del “multiplo” usato, il valore di Chrysler cambia in modo radicale, con tutto ciò che comporta. Marchionne pare sicuro di sé, riuscirà a spuntare l’adozione del suo “multiplo”? In caso contrario corre il rischio che il rimanente 41,5% sia troppo costoso per la sua “cassa”, quindi la “fusione” non sia, al momento, praticabile. Se ciò avvenisse, tutti i giudizi finora espressi sull’operazione Fiat Chrysler dovrebbero essere rivisti.
I vantaggi di evitare l’Ipo - Comunque, assumiamo come fattibile la “fusione” alle condizioni di Marchionne. Ragionando da investitore (obbligazionario), la soluzione da lui ipotizzata “sì fusione, poi vedremo se fare o meno l’Ipo”, a me piace, mi tranquillizza. L’Ipo (filosoficamente significa “mercato”) invece la trovo imbarazzante per Fiat, arrivano tutti quegli analisti indipendenti, autentiche cavallette, individui occhiuti che vogliono conoscere le strategie, i piani, gli investimenti su innovazione, prodotti, reti di vendita, tecnologie, sapere cosa ne sarà degli stabilimenti italiani, quanto costerà chiuderne alcuni, che nuovi modelli si stanno mettendo a punto per ricuperare quote nel mercato europeo, se la difesa delle quote in Brasile, nel momento in cui VW vi investe tre miliardi, avviene con nuovi prodotti o con sconti sui prezzi, e così via. Dice Marchionne: “C’è tantissimo lavoro da fare, i risultati si vedranno nei prossimi nove mesi”. Noi attendiamo, sereni, a piè fermo.
(Fonte: www.formiche.net - 13/3/2013)

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