mercoledì 22 dicembre 2010

Le strategie vincenti di Renault e Volkswagen, modelli per Marchionne


La Borsa, più dei dati sulle immatricolazioni, è il termometro migliore per comprendere lo stato di salute di un gruppo automobilistico e le aspettative dei mercati. Lo si è visto, per esempio, nei giorni scorsi quando Piazza Affari ha praticamente ignorato il forte calo delle vendite della Fiat in Italia (anche ieri titolo in rialzo e vicino ai massimi dell’anno). In questo momento, però, sono Renault e Volkswagen a calamitare più degli altri l'attenzione. Cominciamo dai francesi. Ieri Le Figaro, seppur con un eccesso di ottimismo, ha segnalato che la società registrerà nel 2010 un utile netto di circa 3,3 miliardi, grazie ai risultati positivi di Nissan (di cui detiene il 44% e con la quale è alleata da 10 anni) e alla cessione di parte della quota nei camion Volvo. In realtà, quando il presidente Carlos Ghosn tirerà le somme, il risultato sarà positivo e gli obiettivi, prefissati dodici mesi prima, tutti raggiunti. «Ma non evidenzieremo utili nella misura riportata dal quotidiano», avverte una fonte, abbassando così la bandiera a scacchi sul toto-profitti. La stagione d’oro di Renault, che ha nell’Eliseo l’azionista di riferimento con il 15% (un esempio virtuoso di convivenza), trova i suoi riscontri nel boom che la casa sta vivendo su alcuni mercati emergenti (Russia, Brasile e India) grazie soprattutto alla controllata Dacia, che ha iniziato a sfornare modelli dotati di un certo appeal e non solo robusti e capaci di accontentare le esigenze di mobilità e portafoglio. Renault, comunque, chiuderà un buon anno anche perché beneficia dell'andamento positivo di Nissan, il marchio globale del gruppo che continua ad avanzare in particolare negli U.S.A. . Nissan, inoltre, farà da battistrada dell’Alleanza sul fronte elettrico (la berlina Leaf è pronta a debuttare) sul quale Ghosn ha scommesso la bellezza di 4 miliardi di investimenti. Insomma, all'uscita di un anno sicuramente complicato per tutto il mondo dell’auto e nonostante la riduzione degli incentivi sul mercato domestico, Ghosn vede ripagata la sua strategia internazionale. L'auspicio, in tutta sincerità, è che la casa francese riprenda la bussola in tema di design e torni, come sta fattivamente cercando di fare da qualche anno, a proporre auto appaganti anche alla vista. Eccoci ora a Volkswagen e all’accoppiata di vertice costituita dal settantatreenne Ferdinand Piëch, presidente del consiglio di sorveglianza e ispiratore dell’exploit del gruppo, e da Martin Winterkorn, l’amministratore delegato-stratega che lo stato maggiore di Wolfsburg intende confermare fino al 2016. Al di là dell’effetto positivo derivato dall’economia tedesca, tornata a fungere da «locomotiva», quello che si prepara a diventare (nel 2018) il primo costruttore mondiale di auto, vede premiata la politica degli investimenti sulla gamma modelli, passati da 28 a 65 per tutti i 9 marchi, coprendo a 360 gradi l’offerta, furgoni e camion inclusi. Nessuna sovrapposizione, tutto funziona a meraviglia. Tanti marchi, insomma, che condividono ( come nel caso dell’Alleanza Renault Nissan), piattaforme avanzate, beneficiando così delle economie di scala. Con un valore aggiunto: essersi accaparrati una coppia d'assi nel design, ovviamente «Made in Italy»: Walter de' Silva e Giorgetto Giugiaro con tutta la sua Italdesign. I nuovi investimenti e le 50mila assunzioni nel mondo annunciate la dicono lunga sulla voglia di primato di Piëch e Winterkorn. Un ruolo non indifferente nello sviluppo verticale di Volkswagen lo si deve ai sindacati che hanno creduto nei piani di rilancio dell’azienda (nel '93 a Wolfsburg i conti erano in rosso, mentre ora i tedeschi possono permettersi di investire 51 miliardi entro il 2015). Sergio Marchionne, con la Chrysler e i marchi del gruppo Fiat, punta a recuperare il tempo perduto prima del suo arrivo e a presentarsi nel 2014 con una realtà competitiva (3 milioni di auto su tre architetture principali, come ricordato da Harald Wester, AD di Alfa e Maserati in un incontro a Londra) e le fabbriche «girare» nel modo voluto. Anche a costo di cedere alle lusinghe di Piëch e rinunciare all’Alfa.
(Fonte: www.ilgiornale.it - 14/12/2010)

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