domenica 20 febbraio 2011

Stefan Ketter, lo "zar" del World Class Manufacturing


E' il Marchionne-ombra, è il vero implementatore del World Class Manufacturing (WCM) all'interno del Lingotto, è il Cesare Romiti 2.0 che avrebbe voluto scaricare Pomigliano e che proprio a Pomigliano ha organizzato la "marcia dei quarantamila" aggiornata agli anni 2000. E' uno dei più strategici tra i "Marchionne Boys", Stefan Ketter, l'ingegnere tedesco- brasiliano che dal 2004 si occupa di riportare la qualità delle auto del Lingotto alla pari con quelle dei principali concorrenti imponendo il World Class Manufacturing, il post-fordismo che ha l'obiettivo di ridurre a zero gli sprechi e aumentare la produttività, e che è alla base del nuovo corso Fiat e dello stesso accordo di Mirafiori. Nato a San Paolo del Brasile nel 1959, Ketter si è laureato in Ingegneria meccanica all'Università tecnica di Monaco di Baviera e poi si è perfezionato in Business Administration nel tempio della tecnocrazia francese, l'Insead di Fontainebleau. Il primo incarico lo ottiene però in Baviera, alla BMW, con un lungo apprendistato (1986-1996) che lo porta dal ruolo di stagiaire a quello di capo della qualità. Nel 1996 Ketter è assunto all'Audi, poi dall'anno dopo è di nuovo in America latina, dove diventa capo della qualità per la divisione Sudamerica di un altro simbolo della Germania a difetti zero, Volkswagen. Nel 2002 assumerà lo stesso incarico per tutte le operazioni americane del colosso di Wolfsburg. Nel 2004 l'incontro con Sergio Marchionne, con la consacrazione a responsabile qualità di Fiat Auto. Nel frattempo, racconta un osservatore che conosce bene Hajime Yamashina, Marchionne è rimasto folgorato sulla via di Damasco dal guru giapponese della WCM, già divenuto consulente di diverse aziende anche in Italia (prima di tutte la Pirelli). Il ceo Fiat diventa buon amico, oltre che seguace, del guru, il quale non nasconde il suo profondo disprezzo per il modo di produrre latino e in particolare italiano. Yamashina è colpito da come, rispetto al passato, gli imprenditori italiani appaiano più interessati alla finanza che non al "good manufacturing", e si dice che la sua ruvidezza mista a insofferenza nei confronti di certi paradigmi italici sia passata per osmosi direttamente a Marchionne. I due però condividono anche l'attenzione al fattore umano, perché chi conosce le teorie di Yamashina sa che il valore aggiunto del guru è di aver reso un po' più umana (e più zen) la teoria del WCM, che esisteva già da tempo. Secondo Yamashina, infatti, al commitment della dirigenza fa da necessario pendant la responsabilizzazione e l'iniziativa dal basso (vecchio concetto nato dai circoli della qualità, i gruppi di operai "migliori" di Toyota che si proponevano come modello agli altri). Da qui derivano certi elementi indiscutibili della "pars construens" marchionnesca, quella che un tempo si definiva "socialdemocratica", e che si notano soprattutto nel "trattamento Pomigliano": a partire dall'approccio soft che nel 2007 l'ha portato a fare i famosi 60 giorni di formazione con interventi di Giovanni Soldini, dei fratelli Abbagnale, con i film di Kurosawa. La "pars destruens", quella fatta di meno umanismo e più cronometrismo, è rappresentata proprio da Stefan Ketter. Il quale nel 2006 viene nominato responsabile World Class Manufacturing per Fiat Group, una qualifica ufficiale che pochissimi gruppi hanno, soprattutto in Italia – fa notare un manager vicino al mondo Fiat – anche perché questo modello di cultura d'impresa non ha attecchito ovunque (non, per esempio, alla Pirelli e alla Indesit, dicono gli esperti). A Ketter manca, però, il lato giapponese o abruzzese comune ai "gemelli diversi" Yamashina e Marchionne. E' più un uomo di prodotto e ha grandi capacità organizzative. Sarebbe stato lui a entusiasmarsi per l'acquisizione di Chrysler – soprattutto in virtù dei dieci anni di matrimonio con Mercedes, dunque qualità e ricerca tedesca come alimenti preziosi di un divorzio di cui approfittare – ma soprattutto ha giocato un ruolo chiave a Pomigliano. Qui è evidente in particolare il romitismo di Ketter: prima, con la contrarietà a investire sullo stabilimento. La decisione di rimanere, riportando la produzione della Panda, sarebbe stata infatti presa da Marchionne proprio contro il parere del suo capo-qualità, che non scommetteva sul Giambattista Vico Plant, troppo scombinato. Poi, soprattutto con la gestione del referendum: una volta deciso (da Marchionne) di rimanere, è stato proprio Ketter a gestire il conflitto e a prendere la parola nell'aula grande del "Palazzo Qualità" (sic) di Pomigliano, dove assieme a 200 capireparto e al direttore della fabbrica Sebastiano Garofalo venne decisa la fiaccolata per il "Sì". Per Ketter, che a Detroit chiamano "manufacturing czar", si prospetta dunque un grande futuro nel gruppo Fiat. Eppure, attenzione a non cadere nel tranello del toto-delfino, suggerisce un sofisticato osservatore di cose marchionniane. Perché la categoria dei "bracci destri" bruciati sul tragitto Caselle-Detroit è ampia, e stare a contatto col ceo è più usurante che stare alla catena di montaggio con i nuovi crismi del WCM. Esce in questi giorni in libreria "Da zero a cinquecento", il racconto dei suoi anni in Fiat di Luca De Meo, già enfant prodige a capo dei marchi Lancia prima e poi Fiat. Era il più quotato dei bracci destri. E' uscito dal gruppo nel 2009.
(Fonte: www.ilfoglio.it - 15/1/2011)

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