domenica 30 marzo 2014

Italia unico Paese con un solo produttore di auto: problema o opportunità?


E’ vero, il rapporto è fortemente sbilanciato. Pochi altri Paesi come l’Italia, soprattutto fra quelli almeno fino a poco tempo fa altamente industrializzati (eravamo nel G5), importano un così alto numero di veicoli per soddisfare la domanda poiché le vendite sono molto più corpose della produzione. Un rapporto che forse nell’ultimo periodo è leggermente migliorato solo perché il supermarket tricolore a 4 ruote in appena 5 anni si è dimezzato in modo preoccupante (da 2,5 a 1,3 milioni) e Fiat ha preso la coraggiosa decisione (è un fatto) di riportare nella Penisola la produzione della Panda, la sua vettura di maggior successo che aveva superato le 300.000 unità l’anno e nasceva in Polonia, in un impianto di elevata qualità e costo del lavoro molto basso. Senza questa scelta che ha riattivato Pomigliano la produzione in Italia sarebbe veramente insignificante. Al di là di tutte le analisi e riflessioni che si possono fare sul tema, quale sia la causa di questa preoccupante situazione è sotto gli occhi di tutti. Fiat ha le sue colpe e ha fatto i suoi errori, ma siamo l’unico paese al mondo, compresi gli industrializzati e gli emergenti (molti già emersi con decisione), ad avere sul territorio un solo costruttore. Un’azienda certo in notevole difficoltà sul mercato Continentale, ma nessun altro Gruppo riuscirebbe da solo a mantenere attiva la bilancia commerciale del settore, nè la grande Toyota in Giappone, ne l’altrettanto grande Volkswagen in Germania (quest’anno si sfideranno per la leadership mondiale infrangendo entrambe, e per la prima volta nella storia, la barriera dei 10 milioni di veicoli l’anno). Nè la PSA in Francia e men che meno la General Motors negli U.S.A. . A quanto pare ci riuscirebbe solo il gruppo Hyundai-Kia che nei primi 6 mesi 2013 ha prodotto in patria molto più (nell’intero 2012 furono oltre 3 milioni) dei 796.000 veicoli che sono stati immatricolati in Sud Corea. Per illustrare con i numeri l’anomalo ma evidente scenario basta dare uno sguardo ai dati Oica (l’Associazione mondiale dei costruttori) che sono aggiornati al primo semestre del 2013. In Italia ed in Europa siamo solitamente abituati a valutare l’andamento delle vendite solo di autovetture poiché nel nostro continente i veicoli commerciali sono quasi esclusivamente mezzi da lavoro, quindi con una diffusione marginale. Nel resto del pianeta, invece, questi ultimi sono sempre compresi nel totale in quanto utilizzati anche per andare a passeggio e negli U.S.A. dove imperversano i pick-up le immatricolazioni di “light truck” superano (sorpasso effettuato nel 2013) addirittura quelle delle auto. Quindi per uniformità è logico prendere in considerazione i veicoli totali e in questo caso per l’Italia la situazione migliora poiché ci sono compresi anche i commerciali Iveco (non fa parte di FCA, ma di CNH) e soprattutto lo stabilimento Fiat con il tasso di produttività più elevato, quello di Atessa Val di Sangro che produce anche per Peugeot-Citroen, fra i pochi veicoli con brand estero che nascono nel Belpaese (ci sono anche le Lamborghini del Volkswagen Group). Nel complesso 144.000 commerciali prodotti nei 6 mesi rispetto a 222.000 vetture, un rapporto a favore dei primi che nessun altro paese può vantare. La prima cosa evidente è che, fino a pochi anni fa quarto mercato del globo (dietro U.S.A., Giappone e Germania), siamo rapidamente usciti dalla top ten delle vendite e stiamo scivolando fuori anche dalla top venti della produzione. Abbiamo volumi molto più bassi di paesi come la Gran Bretagna e la Spagna che hanno rinunciato da tempo ai costruttori nazionali (i loro brand sono controllati da case estere) e di altri veramente piccoli come la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Giappone e Germania, nell’ordine, sono i paesi che producono di più rispetto alle vendite interne (quindi i maggiori esportatori), non hanno rilevanti aziende estere sul loro territorio, ma molte nazionali. Nei primi sei mesi del 2013 nel mondo sono stati prodotti 43.546.000 veicoli (l’1,6% in più) e venduti 42.641.000 (+2,8%). La classifica è guidata da Cina (10.751.000, +12,8%) che ormai doppia gli U.S.A. (5.665.000, +5,4%) e precede anche l’UE nel suo complesso (8.296.000, -4,2%). A livello di “Region” l’Asia-Pacifico (APAC) domina la scena con 22.671.000 (+2%) unità, precedendo le Americhe (10.682.000, +6,1%) e l’Europa (10.034.000, -4%). In Giappone da gennaio a giugno sono stati prodotti 4.660.000 veicoli (-11,2%) e venduti 2.711.000 (-8%), in Germania prodotti 2.867.000 (-3,1%) e venduti 1.644.000 (-8,2%). In Italia rispettivamente 377.000 (-3,1%) e 789.000 (-11,1%, senza i commerciali il rapporto è ben peggiore), in Francia 910.000 (-20%) e 1.143.000 (-10,9%), in Gran Bretagna 812.907 (+1%) e 1.320.073 (+9,7%), in Spagna 1.155.000 (+5,5%) e 432.000 (-5%). Più di noi producono, oltre i soliti noti (Cina, U.S.A., Germania, Giappone), pure Brasile, India, Russia, Canada, Messico, Thailandia, Turchia, Indonesia, Polonia, Argentina. Anche Francia e Regno Unito hanno quindi un saldo negativo, ma meno sbilanciato del nostro e, soprattutto, su volumi molto più elevati. Vola invece la Spagna che produce due volte e mezzo i veicoli che vende. Nella Penisola produce praticamente solo il Fiat Group, in Francia, oltre quelle di PSA e Renault, ci sono gli impianti di Toyota (Valenciennes) e Daimler (Hambach), fabbriche entrambe concepite negli anni ’90 quando venne presa in considerazione anche l’ipotesi del nostro Paese. Molto più numeroso il plotone che produce in Spagna e Gran Bretagna. Nel primo caso ci sono Ford, General Motors, Nissan, PSA, Renault, Volkswagen, aziende tutte presenti (esclusa Renault) anche nella produzione del Regno Unito dove si aggiungono BMW, Honda e Toyota. E’ interessante ricordare che nel non lontano 1997 la produzione italiana era di 1.827.000 veicoli, quella britannica di 1.925.000 (poco davanti), quella cinese di appena 1.579.000. All’epoca Fiat senza Chrysler era il sesto produttore del mondo davanti a Nissan che ora è alleata con Renault e da sola più produce (oltre 5 milioni) più di FCA, cioè Fiat-Chrysler. Certo, Fiat in passato ha fatto le sue pressioni sul Paese per mantenere una poco lungimirante situazione di monopolio produttivo, ma le colpe più gravi sono forse sono forse di chi doveva decidere come stava facendo il resto del mondo e invece è stato a sentire. Ora il piano produttivo di Marchionne è senza dubbio coraggioso e non è detto che vada in porto: per le attuali esigenze europee di FCA (740.000 auto vendute nel 2013, oltre la metà delle quali in Italia e una parte proveniente dall’America) potrebbe bastare un solo stabilimento visto che quello brasiliano di Betim ne sforna 800.000 l’anno e Tychy in Polonia in passato ha superato le 600.000. Tornare in Italia ad una produzione vicina ai due milioni l’anno è sicuramente impensabile quindi, a meno di non vivere in eterno di cassa integrazione, l’unica via è quella premium poiché si può realizzare fatturati elevati con volumi più bassi: a regime Grugliasco può valere la vecchia Melfi poiché una Maserati costa come dieci Punto. In ogni caso gli U.S.A., che hanno profondamente ristrutturato il network produttivo, ora sono la locomotiva del mondo automotive dal punto di vista dei profitti e tengono in piedi altre Aree, compresa l’Europa. Sperando che il piano FCA vada in porto, non si può chiedere di più a Marchionne dal punto di vista industriale. Dove invece ci sono ampi margini di miglioramento è nella ricerca e nello sviluppo, un argomento in cui abbiamo grandi tradizioni, e in cui l’Europa è spesso leader, che potrebbe fornire contributi importanti anche a ricerca e sviluppo di Auburn Hills. L’obiettivo quindi è concentrare e rilanciare queste attività a Torino. In Italia quasi non esistono fabbriche di costruttori esteri, ma proprio nel capoluogo piemontese il Gruppo Volkswagen ha un centro di eccellenza di design (l’ex Italdesign, circa mille specialisti) e la GM ha recentemente costruito un Centro che si occupa dei suoi motori diesel per tutti i continenti: oltre 650 tecnici, quasi tutti ingegneri e quasi tutti italiani. Giovanissimi. Sotto la guida dell’ingegner Antonioli hanno recentemente realizzato un 1.6 diventato il nuovo punto di riferimento a livello mondiale. Nella riorganizzazione della FCA si può fare, e si deve, sicuramente molto di più.
(Fonte: www.ilmessaggero.it - 14/2/2014)

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