Una delle novità contenute nel nuovo piano di sviluppo del gruppo Fiat-Chrysler messo a punto dall’ad Sergio Marchionne è un’accelerazione del programma di separazione del nome Fiat dal modello 500 fino a fare di quest’ultimo un vero brand a sé stante: «Il marchio è spendibile anche all’estero – ha dichiarato il manager – e va allargato a un’intera famiglia di vetture». Al momento non è ancora del tutto chiaro se l’idea di questa sorta di “spin-off” verrà portata avanti anche in Europa oppure sarà adottata solo sui mercati di Stati Uniti e Canada dove attualmente in attesa che si concretizzi anche il più volte rimandato sbarco di Alfa Romeo, la penetrazione di Fiat (Ferrari e Maserati a parte) è affidata proprio alla sola 500. Quel che è certo è che il progetto trasformarla in un marchio è in tutto e per tutto simile a quello attuato da General Motors nel 2001 con il brand sportivo Corvette. Dopo l’acquisizione della coreana Daewoo da parte di GM e il “rebadging” dell’intera produzione asiatica con il marchio Chevrolet, la casa americana, giustamente preoccupata dall’impatto negativo che avrebbe generato sui clienti Corvette l’accostamento con prodotti fabbricati in Corea, pensò bene di allontanare le due realtà. Da allora la prestigiosa Chevrolet Corvette, che molti ritengono l’unica vera sportiva americana, si chiama semplicemente Corvette. Iniziative di facciata, certo, ma che a volte hanno una loro ragion d’essere. Negli U.S.A., dopo un esordio problematico, le vendite della 500 sembrano ora procedere su strade un po’ meno dissestate e il suo gradimento sta salendo anche se, probabilmente, non quanto Marchionne sperava. Nei primi 10 mesi dell’anno ne sono state piazzate 36.462, cioè è andata molto meglio rispetto alle 15.826 dello stesso periodo dell’anno scorso. Tuttavia, siamo ancora un po’ lontani dalle 50mila auto che Fiat si aspettava di vendere già dal primo anno di commercializzazione, il 2011. Ovviamente, ai primi accenni di miglioramento della situazione, che hanno cominciato a manifestarsi la scorsa primavera, Fiat non ha mancato di “sparare” comunicati all’insegna dell’ottimismo. Dichiarazioni riprese dalla stampa specializzata italiana in un coro pressoché monocorde anche se, in realtà per esempio, lo sbandierato aumento del 336% nelle immatricolazioni U.S.A. registrato nell’aprile di quest’anno rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (3.849 esemplari contro 882) è frutto di in paragone improponibile: nell’aprile 2011, infatti, la vettura era solo all’inizio della commercializzazione e le poche 500 in circolazione sulle strade americane erano in buona parte quelle targati dalle concessionarie come esemplari dimostrativi. Piccoli trucchi per tentare di inventare successi che ancora non c’erano. Insomma, l’avventura americana della 500 ha avuto un avvio lento e tormentato che è costato il posto a Laura Soave, la responsabile delle attività Fiat in Nordamerica, sostituita un anno fa da Timothy Kuniskis. Alla Soave pare sia stata addossata soprattutto la lentezza con la quale è proceduto lo sviluppo del network di concessionari (Chrysler) che dovevano vendere la macchina. La rete era piuttosto scettica sulle possibilità di successo dell’utilitaria su un mercato difficile come quello U.S.A. . La cura di Kuniskis sembra aver avuto una certa riuscita, ma non ci sono garanzie che si consoliderà l’attuale trend delle vendite, che si aggira intorno alle 4mila macchine al mese, anche se con l’apporto della versione sportiva Abarth che prima mancava. Eppure, Fiat non ha lesinato gli sforzi per far accettare la 500 negli States. In particolare, oltre al varo di un mini-sito dedicato, la casa ha messo in campo un imponente e costoso apparato di marketing che ha fatto il possibile e anche l’impossibile per imporla agli automobilisti yankee. Per esempio, per gli spot pubblicitari sono stati arruolati personaggi del calibro della cantante-attrice Jennifer Lopez, dell’attore Charlie Sheen e della modella Elle McPherson, attraverso i quali sono state identificate e utilizzate tutte le possibili leve per sollecitare l’interesse del pubblico. Il filo conduttore è stato quasi sempre l’”italian way”, anche se, a dire il vero, la vettura viene fabbricata negli stabilimenti Chrysler di Toluca, in Messico. Tuttavia, il vero problema che Marchionne deve ancora risolvere negli U.S.A. con la 500, ma anche con l’intera attività Fiat, è quello di una cattiva immagine che accompagna le automobili italiane da molto tempo. Cioè da quando, negli anni ’70 e ’80, la Fiat Ritmo e la Fiat 131 (rimaneggiate ed esportate sul mercato nordamericano rispettivamente con i nomi di Strada e Brava), furono giudicate di qualità così scarsa da costringere la casa torinese a ritirarsi dal mercato a partire dal 1983. Risale più o meno a quell’epoca il diffondersi dell’irriverente “Fix It Again, Tony” (“Aggiustala ancora, Tony”) che da allora i detrattori americani delle nostre auto, spiegando l’acronimo Fiat, ripetono come un mantra ogni volta che si tratta di sottolinearne l’inaffidabilità. E non è certo quello l’unico mantra, visto che girando per i siti e i blog automobilistici emerge un florilegio di impietosi “Found In A Trashcan", di “Failure In Automobile Technology" e di "Fucking Italian Attempt (at) Transport" che non hanno bisogno di traduzioni. Ciò che non sempre viene ricordato in Italia è che la stessa cattiva fama accompagna anche l’Alfa Romeo, che negli anni 80 e 90 fece esordire prima la Milano (cioè la versione U.S.A. del modello 75, presentata nel 1986) e poi le 164 LS e Quadrifoglio (nel 1990), introdotte non senza averle prima ampiamente aggiornate, specialmente la seconda, per incontrare i gusti americani. Non funzionò affatto: alla fine del 1994, proprio per gli scarsi risultati della 164, la casa del Biscione decise di ritirarsi dal mercato U.S.A. mentre erano già pronti i piani per l’arrivo dei modelli sportivi Spyder e Gtv. Ben si comprende, quindi, come molti analisti siano oggi un po’ preoccupati, se non addirittura scettici, riguardo alle recenti dichiarazioni di un Marchionne che, evidentemente non piegato dalle difficoltà della 500 o, più probabilmente obbligato a trovare a tutti i costi uno sbocco di mercato per aumentare la produzione Alfa Romeo che non decolla, ha ribadito di volerci riprovare sul mercato americano. Ma anche le Alfa del futuro, come già oggi la piccola 500, dovranno scrollarsi di dosso una storia passata che sa troppo di fallimenti. Eppure, giusto per raccontare anche l’altra faccia della medaglia, non sono pochi gli automobilisti americani che, da altrettanto numerosi blog, ricordano con affetto sia gli acciaccati modelli Fiat, sia le 164 che decretarono la fine dell’avventura americana del Biscione. Sono ancora in molti quelli che ricordano il mito Alfa, nonostante tutto. Evidentemente, acciacchi a parte, le italiane hanno comunque lasciato qualche segno: un modo di costruire e di intendere l’automobile che allora non c’era e che molto probabilmente non c’è neppure adesso. Tra l’altro, denigrare le attuali Fiat e Alfa Romeo di oggi solo sulla scorta di quelle che si producevano venti o trent’anni fa sarebbe ingeneroso. E probabilmente anche sbagliato, visto che i bollettini dell’autorevole NHTSA, il temuto ente governativo americano che si occupa della sicurezza di strade e veicoli, sono zeppi di provvedimenti di richiamo tecnico necessari per eliminare i difetti, talvolta clamorosi, che affliggono numerosi modelli di tutti i costruttori. Compresi quelli col blasone.
(Fonte: www.linkiesta.it - 12/11/2012)
(Fonte: www.linkiesta.it - 12/11/2012)