Nel rush finale della campagna elettorale per le presidenziali americane è l'economia l'argomento più gettonato dagli sfidanti per la Casa Bianca. E, suo malgrado, Fiat fa irruzione con prepotenza nel dibattito. Dopo che il repubblicano Mitt Romney ha lanciato l'allarme sul rischio di fare la fine dell'Italia nel caso di una conferma di Obama, il presidente uscente ha «arruolato» Sergio Marchionne per uno dei suoi spot. Lo scopo è smentire l'insinuazione del candidato repubblicano sulla presunta delocalizzazione della produzione della Jeep dalla storica sede di Toledo (Ohio) in Cina. «Romney style: how to destroy your campaign credibility in 5 easy steps», ovvero: «Lo stile di Romney: come distruggere la credibilità della tua campagna in cinque facili passi». È questo il titolo dello spot dei democratici per smontare le parole di Romney su Chrysler. Il presidente e amministratore delegato del Gruppo Fiat viene citato direttamente: «La produzione Jeep non verrà spostata dagli Stati Uniti alla Cina. È inesatto affermare qualcosa di diverso». Non è altro che la frase della e-mail di Marchionne indirizzata ai dipendenti Chrysler ripresa nel video. Obama ha poi rincarato la dose durante un discorso proprio in Ohio, Stato chiave per la vittoria delle elezioni: «Non si spaventano i lavoratori americani per conquistare qualche voto - ha detto - Romney preoccupa la gente dell'Ohio. Ma quello che dice non è vero. Tutti lo sanno. È un venditore di talento ma il suo piano economico non è adeguato alle esigenze del Paese». Come se non bastasse, le affermazioni di Romney erano state riprese dal miliardario Donald Trump, innescando un «vivace» botta e risposta su Twitter con il vicepresidente del Dipartimento design della casa automobilistica americana, Ralph Gilles. «Dici solo cazzate (la versione inglese letterale è «you are full of shit»), ha scritto sul social media Gilles rispondendo a un tweet di Trump, secondo cui «Obama è un negoziatore terribile, ha salvato Chrysler e ora Chrysler vuole trasferire tutta la produzione di Jeep in Cina e lo farà». La risposta sopra le righe di Gilles è subito diventata «virale» sui social media, con oltre 2.000 commenti. Il responsabile Chrysler è quindi intervenuto di nuovo, scusandosi per il linguaggio volgare ma sottolineando anche che «le bugie sono solo questo: bugie». Le posizioni dei repubblicani la dicono lunga sul rischio che corrono i rapporti tra U.S.A. ed Europa in caso di successo di Romney. Non a caso, secondo un sondaggio dell'Istituto Piepoli eseguito per conto del "Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Right" di Firenze, il 70% degli italiani fa il tifo per Obama, anche se la fiducia è in calo. Solo il 7% spera che la spunti il repubblicano. Il consenso per Obama nel Vecchio Continente raggiunge addirittura il 90%, secondo un altro sondaggio condotto dall'agenzia britannica YouGov, in sette nazioni: Gran Bretagna, Francia, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia. Per il voto di martedì, tuttavia, l'opinione degli europei non conta nulla e a pochi giorni dall'«election day» i due candidati alla Casa Bianca sono praticamente appaiati. Dunque gli ultimi giorni di campagna elettorale si preannunciano senza esclusione di colpi. Ieri un altro dato economico su un tema tanto delicato quanto sentito ha scatenato un nuovo attacco di Romney. Sono state diffuse, infatti, le cifre sulla disoccupazione negli U.S.A. . Il tasso a ottobre è salito al 7,9% rispetto al 7,8% di settembre, ma sono stati creati 171.000 nuovi posti di lavoro, più dei 125.000 previsti e dei 114.000 di settembre. Da luglio l'economia americana ha creato 173.000 posti di lavoro al mese, rispetto alla media di 67.000 fra aprile e luglio. L'economia ha creato occupazione per 25 mesi consecutivi. Tuttavia, il tasso di disoccupazione quando si è insediato Obama nel 2009 era il 7,8% ed è stato superiore all'8% per 43 mesi, la serie più lunga da quando è iniziata la raccolta dei dati del 1948. I numeri dimostrano, dunque, che il mercato del lavoro, sia pure lentamente, si sta rimettendo in moto. Ma Romney non ha perso l'occasione di attaccare l'inquilino della Casa Bianca. «Questi dati - ha commentato - ci ricordano che l'economia è virtualmente a un punto morto. Per quattro anni le politiche del presidente Obama hanno schiacciato la classe media americana. Quando sarò io presidente otterrò reali cambiamenti, in modo da rendere i prossimi quattro anni migliori di questi. Obama non ha mai capito come si creano posti di lavoro - ha detto durante un comizio nel Wisconsin - Con lui gli U.S.A. potrebbero andare verso una nuova recessione». Immediata la replica del presidente: a ottobre «sono stati creati più posti di lavoro che negli ultimi otto mesi, l'industria automobilistica è di nuovo al massimo, il settore immobiliare è in rialzo, abbiamo fatto progressi reali. Ma finchè ci sarà un solo americano senza lavoro e una sola persona che lotta contro la povertà - ha aggiunto Obama - la nostra lotta andrà avanti». «Credo - ha poi scritto sul sito della CNN - che la prosperità dell'America sia stata costruita sulla forza della nostra classe media. Non abbiamo successo quando pochi ai vertici stanno bene, mentre tutti gli altri lottano per andare avanti. Stiamo meglio quando ognuno ha una possibilità».
(Fonte: www.iltempo.it - 3/11/2012)
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