sabato 10 novembre 2012

Contro la "rottamazione" di Lancia (1): Beppe Severgnini


Il lettore Stefano Dell'Orto è affranto, e non è l'unico. Scrive: «Prima Marchionne squalifica (non ha scritto proprio "squalifica", ndr) il marchio Lancia, assegnando nomi storici come Thema e Flavia a due modelli Chrysler; e poi decide che "Lancia, dobbiamo essere onesti, ha un appeal limitato". Ma come?». Interessante, il sussurro di dolore dei lancisti (fossero alfisti, sarebbe un grido). Con Lancia se ne va un pezzo di storia d'Italia: quella che Sergio Marchionne, per questioni biografiche, fatica a comprendere. Il capo della Fiat sa che, qui in America, Mitt Romney e i repubblicani non lo amano (come i sindacalisti Fiom a Pomigliano, per motivi diversi). Non sa nulla, invece, dello zio Lazzaro, dello zio Mauro e di papà Angelo (classe 1917), che quando chiude le portiere dell'Appia II serie (1957) dice: «Senti. Clic. Come una cassaforte. Auto così non le fanno più». Ora la guida mio figlio Antonio (1992), che ci ha messo quattro minuti ad abituarsi al cambio al volante. Gli piace, ma si sente osservato. I lancisti erano - l'imperfetto è d'obbligo - il nocciolo duro di un'Italia soffice che ha preceduto Lucio Battisti («Sì viaggiare, dolcemente, senza strappi al motore...») e il «cruise control»: papà non aveva bisogno di strumenti, per andare sempre a 90 all'ora. Ci caricava tutti sull'Appia grigio nebbia e partiva per la Versilia e le Prealpi bergamasche. Aveva i guanti da guida in pelle, traforati, anche se oggi nega. Lo zio Lazzaro (1914) era agricoltore, scapolo, sobrio e di poche parole: aveva la Lancia Appia I serie, grigio topo. Poi, alla fine degli anni Sessanta, la botta di vita: Lancia Flavia coupé, grigio ferro. Le zie Francesca (1906) e Laura (1907), profumiere, erano costrette a contorsionismi per entrare in quell'auto, la domenica. Ma per amore del fratello, questo e altro. Lo zio Mauro (1928) era medico: sposato, uomo di lunghi silenzi e tante parole (non aveva vie di mezzo). Aveva la Fulvia coupé, grigio fumo. Non credo abbia mai preso una multa: i suoi rally lo portavano, al massimo, a Piadena e Cappella Cantone. Ma amava quell'auto spregiudicata, forse perché era una Lancia: un ossimoro slanciato e di bella presenza, che brillava nel sole cremonese. Nel 1970 papà ha comprato la Lancia Flavia berlina, grigio asfalto. Ricordo i sedili in similpelle, che d'estate s'appiccicavano alle gambe nude: la discesa dall'auto era accompagnata da scollamenti che sembravano baci (smack!). Su quell'auto-transatlantico ho imparato a guidare, in una spiaggia della Provenza: l'unico posto dove, anche volendo, non potevo investire nessuno, se non un gabbiano distratto. Meno imponente, ma più sexy, la Lancia Delta grigio metallizzato con cui mi sono trasferito a Londra, nel 1984: ha resistito all'ironia britannica e alla mia guida sulla sinistra. Cinquanta sfumature di Lancia, una sola famiglia. Ecco quel che Marchionne, con tutti i suoi numeri, non può capire.
(Fonte: www.corriere.it - 1/11/2012)

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