Il mercato europeo è troppo difficile, specialmente nei segmenti più affollati: meglio cambiare strada e puntare sull'alto di gamma con Alfa, Maserati e Jeep. Questa la nuova strategia Fiat per salvaguardare gli impianti in Italia. In realtà la scommessa sull'Alfa Romeo non è così nuova: era già contenuta nei piani Fiat del 2006 e poi del 2010, con obiettivi di vendita estremamente ambiziosi che non si sono mai concretizzati. Non è nuova neppure l'idea di partire dal mercato americano: l'Alfa lavora al ritorno negli U.S.A. da quando Sergio Marchionne è al Lingotto. Cosa è cambiato perché il mercato possa ora avere fiducia nel successo? I mercati europei sono in condizioni molto peggiori, e lo resteranno – prevede Fiat – anche nel 2013, con una ripresa lenta negli anni successivi. Quando parla di esportazioni, Marchionne punta a vendere le vetture in Nordamerica e in Asia. Stavolta non ha fornito troppe cifre, salvo l'obiettivo di utilizzare «fino al 15% della capacità per l'export». Il 15% di una capacità che è stata progressivamente ridotta, non è una cifra esagerata: diciamo 150mila auto (su un milione di capacità annua su due turni) che diventano poco più di 200mila se si intende la capacità massima dell'impianto. Sono numeri coerenti con il piano Alfa del 2010 (85mila vetture per gli U.S.A.) e presuppongono che la Giulia – finora prevista negli U.S.A. – rientri in Italia. La strategia presenta un altro problema. Di qui al 2016 l'Italia perderebbe le attuali Delta e Bravo (prodotte a Cassino) ma soprattutto, se il piano resterà quello presentato ieri, la Punto: della sua erede non c'è traccia fino al 2016, almeno per quanto riguarda la produzione italiana. La probabile emigrazione della Punto si basa su considerazioni strettamente economiche: secondo Marchionne, nessun costruttore è in grado di produrre un'auto di queste dimensioni in Europa occidentale con margine positivo. La Punto è stata storicamente il modello a volumi più elevati della Fiat nel nostro Paese: al suo debutto, l'attuale versione valeva oltre 300mila unità. Basteranno a sostituirla le otto Alfa Romeo e i derivati di Panda e 500? Quale sarà, in termini di volumi, il risultato netto dell'operazione per una produzione in Italia che già ora langue ben al di sotto di quota 500mila? "Last but not least", gli analisti (e il mercato, come dimostra la reazione della Borsa) sono preoccupati per l'aumento del debito e il volume di investimenti che il piano comporta. Marchionne ha detto ieri che in effetti i fondi potrebbero non bastare ad acquistare la quota residua in Chrysler per salire al 100% (e mettere così le mani sul cash flow dell'azienda americana) e ha aggiunto: «Le altre opzioni sono tutte sul tavolo». Qualche analista ha già suggerito misure per raccogliere fondi, a partire da un collocamento in Borsa della (sempre profittevole) Ferrari. Non basta. Se si aggiungono l'incognita del dollaro (il piano è costruito su un tasso previsto di 1,25-1,30 rispetto all'euro) e le difficoltà di penetrare con successo mercati nuovi, Marchionne sa perfettamente che l'execution risk è elevato. Non a caso ha scritto l'avvertenza nero su bianco nell'ultima pagina della presentazione: «Questo piano non è per i deboli di cuore».
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 31/10/2012)
Nessun commento:
Posta un commento