L'autore del saggio "L'uomo che comprò la Chrysler" svela meriti e strategia del capo del Lingotto e dice: "Con Marchionne finisce il rapporto incestuoso tra Stato e Fiat". L'annuncio del dietrofront di Fiat sul piano Fabbrica Italia ha acceso gli animi. Lo stop del progetto di investimenti da 20 miliardi di Euro in Italia ha infatti allarmato il mondo politico e sindacale, ma secondo Marco Ferrante, editorialista del quotidiano il Messaggero e autore di libri di successo sugli Agnelli, Fiat e Marchionne, la risposta di Torino "non era imprevedibile". Ferrante osserva, infatti, che "bisogna partire dalla grande contrazione del mercato, e questo calo riguarda tutto il mondo del settore automotive occidentale. Si tratta di una questione da cui non si può prescindere". Nei primi sette mesi del 2012, ricorda Ferrante, Fiat-Chrysler ha immatricolato in Italia 192mila vetture, il 20% in meno rispetto allo stesso periodo del 2011, con una contrazione delle vendite, nei primi sei mesi, del 16% in Europa. "La flessione verticale del mercato non riguarda comunque solo Fiat: basta considerare che in Italia il mercato nei primi sette mesi è calato del 20%. A giugno il mercato europeo ha registrato il nono ribasso consecutivo, nei primi sei mesi del 2012 c'è stato un calo del 6,3% rispetto allo stesso periodo del 2011. I due principali player europei scontano le loro difficoltà. Volkswagen sta tagliando di 300mila auto la sua produzione a causa della crisi europea. PSA (Peugeot-Citroen) vuole tagliare capacità produttiva. Del resto, è ormai assodato che c'è una sovracapacità produttiva in Europa e non sappiamo come e quando questo mercato riuscirà a riprendersi". Se una delle accuse mosse alla casa di Torino e al suo a.d., Sergio Marchionne, è la mancanza di nuovi prodotti, Ferrante non si dice d'accordo sulla questione dei modelli: "C'è sicuramente un problema su Lancia e Alfa Romeo (anche se Giulietta e Mito sono buoni prodotti) e c'è un ritardo sull'ibrido, ma la 500 ha funzionato e continua a funzionare, c'è la Nuova Panda, è in uscita la 500L, sta andando bene l'operazione Freemont, cioè un'americana con il marchio Fiat. In generale, Fiat sconta ancora un ritardo sugli standard qualitativi maturato negli anni Novanta, periodo in cui invece le Case tedesche e giapponesi hanno fatto un grande salto di qualità. E resta un problema di utilizzo dei marchi Alfa Romeo e Lancia, che non sono sfruttati al massimo delle loro potenzialità". Chi viene tirato in ballo come arbitro per la soluzione della questione è lo Stato che, secondo alcuni esponenti della sinistra e dei maggiori sindacati, dovrebbe impedire a Fiat di abbandonare il suo piano di investimenti nel Paese, tenendo conto delle sovvenzioni che la casa di Torino ha avuto nel corso degli anni. Ferrante, però, osserva che "il sentiero di intervento da parte del Governo con strumenti che possano condizionare Fiat è davvero strettissimo e passa per la negoziazione, una logica da cui si è usciti. Lo Stato e Fiat hanno deciso dunque di rescindere le condizioni di questo rapporto incestuoso con la fine del regime degli incentivi". Piuttosto, secondo l'editorialista, "la domanda principale da porsi è: di chi è la proprietà produttiva installata? Delle aziende o questa capacità produttiva deve essere soggetta a una tutela collettiva? Nel caso in cui gli stabilimenti Fiat non siano sfruttati, o comunque lo siano meno di quanto si sperasse, la collettività ha diritto ad intervenire perché siano utilizzati in modo più intenso? Il "modello Mucchetti" - per dire così - suggerisce un'ipotesi interessante: che in nome di un interesse collettivo il governo incoraggi Fiat a cedere Alfa Romeo più uno stabilimento a Volkswagen, considerando l'interesse dimostrato dalla Casa tedesca". Fiat quindi resterà italiana? "Fiat è un'azienda multinazionale presente sul mercato globale, ma con origini e azionisti italiani. Bisogna capire in che modo queste radici potranno generare nuovi frutti. Ma resta una questione di fondo: come si può condizionare un'impresa da parte dello Stato se non esiste più nessun rapporto di scambio con lo Stato?". Ma Fiat non ha già avuto abbastanza in passato? E' questo che gli viene contestato. "Lo scambio è stato sostanzialmente alla pari - risponde Ferrante - In un sistema economico misto, Fiat ha ricevuto delle agevolazioni dallo Stato e in cambio ha dato occupazione e fiscalità. Negli anni Settanta, quando il mercato del Lingotto ha iniziato a diventare meno redditizio, causa choc petrolifero e recessione, Torino continuava ad assumere fino a 10mila persone all'anno". "Fino alla fine degli anni '90 - aggiunge il giornalista - Fiat è stata al centro di un fitto rapporto di scambio con lo Stato che le veniva dalla sua storia. La prima impresa manifatturiera del Paese aveva influenzato per settant'anni la politica industriale, ne aveva beneficiato e in cambio era stata fonte di sviluppo, progresso e occupazione. Alla fine degli anni '90 Fiat perde centralità nel sistema italiano e diventa una cosa diversa, rischia il fallimento, Marchionne la salva. Ma se guardiamo agli ultimi anni, il rapporto con lo Stato è completamente diverso". Secondo un dossier del 2009 elaborato dal Ministero dello Sviluppo economico, "tra il 1998 e il 2007 Fiat ha ottenuto dallo Stato italiano 1,9 miliardi di Euro tra cassa integrazione, contributi per la ricerca e investimenti. In cambio Fiat ha versato all'Inps 540 milioni di Euro e ha pagato 2,4 miliardi di Euro tra imposte su redditi e Ici. Cioè 2,9 miliardi di Euro versati da Fiat contro 1,9 miliardi ottenuti dallo Stato. Dunque bisognerebbe uscire dalla logica del dato e dell'avuto. Quello era il passato. Oggi dovremmo concentrarci su un punto più generale". E riguarda il sistema italiano nel suo complesso: "Siamo sicuri che oggi - a prescindere dalla questione Fiat - ci sia ancora la possibilità di sviluppare una cultura industriale in Italia e di mantenerne la vocazione? Lo scenario è quello di una gigantesca crisi, in cui anche la politica è confusa e schizofrenica. Prima c'è stato un Governo di centrodestra che ha chiesto a Fiat di rinunciare agli incentivi perché lo si riteneva qualcosa di politicamente insostenibile, perché contrario alla logica di mercato; oggi molti chiedono all'azienda di non lasciare gli stabilimenti. E qualcuno pensa anche che sarebbe auspicabile riattivare un meccanismo di scambio". Sergio Marchionne che farà di Alfa Romeo? Quali sono le sue idee sull'ipotesi di cessione a Volkswagen insieme con uno stabilimento? "Non lo so. Forse sta tentando di alzare il prezzo, forse non intende rafforzare un concorrente, forse ancora sta solo immaginando un piano di rilancio per l'Alfa. Resta il fatto - conclude Ferrante - che nel 2004 Fiat non esisteva praticamente più, che era fallita e che è stato Marchionne a rimetterla in carreggiata. L'operazione Chrysler è stata decisa dall'a.d., il quale ha dato una prova di sé molto buona. Otto anni dopo Fiat è ancora in pista e insieme a Chrysler vende quattro milioni di macchine all'anno".
(Fonte: www.formiche.net - 17/9/2012)
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