sabato 29 settembre 2012

I dubbi su Fiat: intervista a Giuseppe Berta


Vertice Governo-Fiat: ne parliamo con il professor Giuseppe Berta, docente all’Università Bocconi di Milano. Berta è un grande esperto di storia dell’industria e delle relazioni sindacali. Alla “Fiat-Chrysler” ha dedicato un saggio edito dalla casa editrice Il Mulino di Bologna.
Professore, a leggere il comunicato congiunto dell’incontro tra il Governo e la Fiat ci sono più dubbi che certezze. Per lei?
Anche per me, nel senso che l’incontro Governo-Fiat non ha sciolto le aspettative inerenti l’opportunità di conoscere la dislocazione della produzione dell’anno prossimo. Quello che abbiamo saputo è che l’azienda, insieme con il governo, studierà delle misure per favorire l’export, in questo modo in alcuni stabilimenti dovrebbero essere spostate delle produzioni per essere destinate ai mercati internazionali, in primo luogo Nord America. Però siamo ancora agli stadi preliminari, è una premessa, ma non sappiamo in che misura questo sarà possibile e quali appoggi potrà dare il governo per favorire questa operazione.
La Fiat promette di rimanere in Italia. Ma in che modo? Non c’è chiarezza...
Per il momento l’impegno è quello di non chiudere gli stabilimenti italiani. La Fiat si è presa l’impegno di non alterare la capacità produttiva: dunque in questo momento non è a rischio la sopravvivenza di nessun stabilimento in Italia, questo non vuol dire però che venga garantito il lavoro, l’attività per ogni struttura produttiva e vi è il rischio di ulteriori lunghe fasi di cassa integrazione.
Nel documento c’è la conferma che Fiat non investirà prima del 2014. E questo è un punto fondamentale. Cioè come “sopravviverà” Fiat fino a quella data, tenendo conto del crollo del Mercato europeo? Con la cassa integrazione in deroga?
La cassa integrazione in deroga è una delle possibilità, anche se questa misura si scontra con la nuova legge, che regola il mercato del lavoro, voluta dal ministro Fornero, e che postula il superamento della cassa integrazione straordinaria e dunque è difficile immaginare quali ammortizzatori sociali possano essere impiegati per garantire la continuità degli impianti. Diventa problematico stabilire come si potrà andare avanti perché la cassa integrazione almomento non è la via più accessibile. Si vorrebbe aumentare la produzione destinata alle esportazioni ma anche questa strada è da esplorare e da scoprire e da verificare nella sua effettiva praticabilità.
Veniamo un po’ alla storia recente di Fiat. Parliamo dei 20 miliardi di investimenti promessi due anni fa. Oggi, se mai è esistito, quel piano è stato cancellato. Per molti è stato solo un grande “bluff”. Per lei?
Quel piano era stato concepito in un’epoca in cui evidentemente i vertici della Fiat pensavano ci sarebbe stata in Europa una ripresa del mercato dell’auto come c’è stata in America. In America c’è stato un urto molto forte della crisi del 2008 e poi c’è stata una graduale e sempre più intensa ripresa; invece il mercato europeo ha seguito un andamento contrastante, perché ha continuato la sua caduta anche perché sono state adottate dure politiche di austerità e contenimento dei consumi, l’urto più duro si sta subendo adesso. Quanto ai 20 miliardi era una cifra adombrata ma non specificata nelle sue specifiche modalità: i due investimenti più importanti sono quello di circa 800 milioni di euro a Pomigliano d’Arco e quello che sta per essere completato nell’area industriale di Torino, a Grugliasco, dove è aperto lo stabilimento destinato a produrre le auto della Maserati.
Nel suo libro su “Fiat-Chrysler”, il libro è del 2011, affermava: che questa nuova realtà nasce “apolide” e dall’identità ancora “indistinta”. Alla luce degli ultimi avvenimenti conferma o cambia questo giudizio?
Confermo in pieno, perché direi che il radicamento nel contesto italiano non è certo aumentato, non è che la Fiat sia oggi più radicata di quanto lo fosse ieri nel nostro paese, anzi se andiamo a vedere i volumi degli investimenti, essa è più radicata sia in America del Nord con Chrysler che in America Latina col marchio Fiat. Quelle sono le due realtà maggiori di riferimento e in cui si stanno compiendo i maggiori investimenti, non certo in Italia.
Parliamo di Sergio Marchionne: grande manager o grande “scommettitore”?
Direi un grande “negoziatore”, è abilissimo nel negoziare delle opportunità, che favoriscono l’azione della sua impresa: è stato così in America con il presidente Obama e la task force dell’auto, è stato così nell’America Latina dove si è fatto finanziare all’85% il nuovo stabilimento di Betim in Brasile ed è stato così anche in Serbia dove ha ottenuto dallo stato serbo il nuovo stabilimento da cui stanno uscendo le 500L. Purtroppo il nostro paese ha poche risorse da negoziare, dal momento che il governo stenta a trovare i 400 milioni di euro necessari al lancio del decreto sviluppo.
Ultima domanda: senza innovazione di prodotto ci si perde nella competizione globale e, purtroppo, Fiat è carente su questo fronte. Nei giorni scorsi si è parlato di un futuro tedesco per Mirafiori: è possibile questo?
Io non lo ritengo tanto probabile, nel senso che all’inizio dell’anno ci sono stati contatti con Volkswagen e gruppo Fiat per la produzione del marchio Alfa Romeo, è vero anche che il gruppo Fiat chiedeva un altro prezzo per il marchio e non voleva cedere solo il marchio ma anche dare una o due fabbriche insieme al marchio, in modo da vincolare la produzione delle nuove Alfa Romeo che potevano uscire da Volkswagen. Ma questo è in antitesi con l’impostazione tipica della produzione tedesca che tende a costruire, a realizzare i propri impianti .Quasi sempre rimodella gli impianti sulla base della propria visione e funzionalità, ciò che la distacca dalla politica di recepire fabbriche già esistenti, che spesso per i tedeschi non corrispondono ai loro standard di efficienza e qualità.
(Fonte: http://confini.blog.rainews24.it - 23/9/2012)

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