mercoledì 18 gennaio 2012

Toledo (Jeep) e il World Class Manufacturing


Come si fa a spiegare la differenza tra le relazioni sindacali in Italia e quelle americane? Proviamo a spiegarla così: dov'è che un sindacalista va a proporre al direttore di stabilimento di cambiare completamente gli orari, gli presenta un progetto con costi e benefici, il direttore accetta, nessuno dei due deve chiedere autorizzazioni ai superiori e il sindacalista non è neppure obbligato a un referendum? La risposta ci porta a Toledo, Ohio, un'ora di autostrada da Detroit e poco di più dal quartier generale di Auburn Hills. Qui sorge una fabbrica Jeep costruita dieci anni fa dalla Chrysler targata Daimler, e che ora Mauro Pino - 52 anni, in Fiat dal 1987 al 2001 e poi di nuovo dal 2008 - sta adattando ai principi del World Class Manufacturing, il sistema di produzione di tutti gli stabilimenti di Fiat e Chrysler. Prima di venire qui, Pino ha diretto la fabbrica di Termini Imerese e quando parla di Toledo fa riferimento anche alla nuova organizzazione di Pomigliano; la linea di montaggio che verrà installata qui l'anno prossimo per l'erede della Liberty, per esempio, avrà una struttura "a farfalla" identica a quella introdotta per la Panda. L'impianto di Toledo della Jeep fu creato dalla DaimlerChrysler a fianco a una vecchia fabbrica poi demolita. I tedeschi andarono al risparmio, e Toledo è fatta in realtà di due fabbriche diverse: una, quella della Jeep Wrangler, è gestita per metà da due fornitori - la Kuka e la Ommc - e la parte in mano a Chrysler lavora su due turni da 8 ore per 5 giorni, separati da due ore in modo da poter far manutenzione e all'occorrenza aggiungere lo straordinario in mezzo. La seconda linea, quella della Jeep Liberty (e della Dodge Nitro venduta in Europa), ha un solo turno di 10 ore per quattro giorni alla settimana. Due organizzazioni diverse, un unico concetto di flessibilità. Con il sindacato in prima fila. Qui a Toledo, come in tutti gli impianti delle Big Three, il sindacato è uno solo - la Uaw, cui è iscritto il 97% dei 1.830 dipendenti. Ed è proprio Dan Henneman, presidente della Local 12 (la sezione locale della Uaw), a raccontarci come è andata con gli orari. "Il passaggio da 8 ore per 5 giorni a 10 ore per 4 giorni è stata una mia idea. Permette all'azienda di risparmiare sui costi di energia, una manutenzione più facile, e così via. Per gli operai c'è una giornata in più con la famiglia e il risparmio sui costi di trasporto. Una situazione win-win, insomma". La proposta è nata nella volontà di evitare altri tipi di taglio dei costi. Ma non ci si stanca di più a lavorare dieci ore di fila? "Beh, un po'. Ma di fatto in molti casi lavoravamo già nove ore con lo straordinario e i vantaggi compensano i costi". La cosa più notevole è che la variazione ha potuto essere concordata semplicemente tra il capo fabbrica e il capo del sindacato locale: niente consultazioni con i rispettivi vertici, niente necessità di approvazione formale da parte dei lavoratori. "Mi hanno eletto loro rappresentante per tre anni - dice Henneman - e in questo periodo ho la delega a decidere". La flessibilità permessa da questo tipo di rapporto con il sindacato emerge da una vicenda più recente. La linea ha lavorato tra Natale e Capodanno (per la prima volta nella sua storia) per un picco di domanda. In questo caso il personale ha fatto una richiesta formale individuale, e i volontari sono stati l'85%. A quel punto sono stati coinvolti i fornitori ed è stata presa la decisione ufficiale. In 10 giorni, tutto deciso. E alla fine ha lavorato il 97 per cento. Nota bene: il costo complessivo per l'azienda delle circa 3mila vetture prodotte è stato superiore al normale, perché la settimana è stata pagata come straordinario il 50% in più, i fornitori hanno chiesto più soldi, e Jeep ha dovuto far arrivare i motori diesel dall'Italia in aereo invece che in nave. Ma con i costi fissi già coperti, all'azienda è convenuto comunque. "In Italia non è che non si possa fare - dice Pino - ma ci vogliono mesi...". Complessivamente, l'anno scorso qui a Toledo circa 2.200 persone (1.830 dipendenti e poco più di 300 esterni) hanno prodotto 270mila Jeep: le 120 auto a testa superano la produttività dell'impianto Fiat di Tychy, in Polonia. L'obiettivo numero uno di Pino è naturalmente quello di ridurre i costi. Come spiega il manager sintetizzando la filosofia di Sergio Marchionne, "il nostro obiettivo numero uno non è produrre automobili, ma profitti; l'auto è solo un mezzo". La gestione Fiat ha dunque avviato tutte le attività di ottimizzazione dei flussi, minimizzazione degli sprechi e ricerca dei risparmi che, perfezionate con le fabbriche giapponesi degli anni '60, sono ormai parte del bagaglio di tutti i costruttori. Quanto conti la ricerca del minimo risparmio (per qualsiasi casa automobilistica, non solo per Fiat e Chrysler) lo dimostra il caso della marmitta della Jeep Liberty. "Le marmitte - ci mostra il caposquadra - vengono prelevate per il montaggio da uno scaffale mobile (detto scherzosamente "limo", ovvero limousine, ndr) a fianco della linea. Sono già disposte in base ai codici di lavorazione nell'ordine esatto delle varie scocche che arrivano sulla linea, a seconda delle caratteristiche di ciascuna auto. Fino all'anno scorso venivano messe in ordine direttamente dal fornitore, che per quest'attività ci addebitava due dollari a pezzo. Ora lo facciamo noi all'arrivo dei pezzi in fabbrica, e ci costa un dollaro e mezzo". Che sarà mai mezzo dollaro in meno? Mezzo dollaro risparmiato per le circa 80mila Liberty prodotte nel 2011 fa 40mila dollari... ed è solo un piccolo risparmio fra i tanti. Il totale nel 2011 è arrivato a 16,5 milioni contro un obiettivo di 10 milioni. In fabbrica il grande nemico si chiama NVAA, "Non Value Added Activities". Tutti lo ripetono come un mantra: eliminare le attività che non creano valore, tipo fare troppa strada a piedi attorno al posto di lavoro per cercare i pezzi da montare e selezionarli. Il grafico che mostra i percorsi lo chiamano "Spaghetti diagram". L'obiettivo è di ridurlo piazzando il maggior numero di pezzi nella cosiddetta "golden zone" - quella che l'operaio ha a portata di mano. "Cerchiamo di eliminare tutte le attività di picking" spiega Pino nel suo anglo-italiano. Sono le attività in cui all'operaio è richiesto di scegliere il pezzo da montare. La riduzione delle possibilità di scelta riduce gli errori: "Il numero di macchine che escono dalla catena senza difetti è salito dal 70 al 95%". Tutte le scelte vengono fatte a monte; l'operaio deve solo inserire, fissare, avvitare. A una velocità di circa un'auto al minuto, e con operazioni parcellizzate, il paragone con "Tempi Moderni" è inevitabile. E giriamo la domanda a Pino: ma così l'operaio non diventa un automa? "Per questo problema serve la job rotation: ognuno degli operai della squadra si alterna su un certo numero di postazioni, per evitare la ripetitività". Intanto, con i tagli dei costi e l'aumento della qualità Toledo si è guadagnata l'aggiunta - a partire dal 2013 - di un nuovo turno di lavoro per produrre l'erede della Jeep Liberty e di circa 1.000 nuovi posti di lavoro.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 13/1/2012)

Nessun commento:

Posta un commento