Da queste parti lo chiamano "restringimento delle città". Basta venire a Detroit per capirlo. Negli anni '60 aveva 1,6 milioni di abitanti e oggi viaggia intorno ai 900 mila. Era grande come Milano, Novara e Alessandria messe insieme e oggi ha gli stessi abitanti di Torino. Gli effetti sono clamorosi: il sole tramonta dietro i vetri rotti dei grattacieli del centro e una parte del territorio urbano è invaso dalle sterpaglie. Le strade sono evidentemente sovradimensionate e per questo quasi sempre semideserte. Il sindaco, Dave Bing, è stato eletto con un programma ambizioso: "Ridare densità al centro". Abbattendo le costruzioni non più recuperabili e in questo modo ricreando la massa critica per ridare slancio alla città. In questi giorni il programma potrebbe subire una battuta d'arresto: il bilancio piange e Bing rischia di dover tagliare servizi essenziali, come gli autobus alla domenica, piuttosto che incrementarli. In più il nuovo governatore repubblicano del Michigan non dà una mano e segue alla lettera la dottrina di cui la destra è orgogliosa, non solo da queste parti: è meglio avere le sterpaglie e le tasse basse piuttosto che aumentare il prelievo fiscale ai ceti abbienti e tagliare l'erba. Per uscire da questo scenario apocalittico molti osservatori a Detroit indicano quello che chiamano "il modello Torino". A quel modello il sindaco di Detroit crede molto. "Ho visitato recentemente Torino e ho visto che anche voi avevate gli stessi problemi. In parte stiamo cercando di imitarvi". Ma, va detto, nel momento più difficile della sua crisi, Torino ha avuto a disposizione più soldi pubblici. E' possibile ripopolare il centro di Detroit solo con i denari dei privati? "Non credo proprio, non voglio immaginare uno scenario di questo genere", risponde Bing. Sarà. Ma intanto sul palco dell'annuale festa dei ragazzi, nello splendido parco di Belle Isle, l'isola che guarda direttamente la frontiera canadese, tutti applaudono un manager della At&t che arriva con un grande cartellone su cui è riprodotto un assegno da 25.000 dollari. "Tutti speriamo in un futuro migliore per la nostra città", dice il presentatore nell'entusiasmo generale. Il sindaco stringe mani e prende in braccio i bambini come i suoi colleghi di ogni latitudine. Come far rivivere il centro? "Il centro di Detroit è già oggi il cuore degli affari della città, non è un deserto. Dovremo trovare il modo di tornare a popolarlo, spingere più persone a venire ad abitarlo". Un programma che in Europa si chiamerebbe di ricucitura sociale. Un programma di cui si valutano soprattutto gli effetti pratici: "In questo modo - spiegano gli amministratori di Detroit - si risparmierebbero anche una parte degli investimenti pubblici". Perché radunare la popolazione in centro significa ridurre la rete dei servizi, ancora oggi estesa come all'epoca della massima estensione della città in quartieri attualmente semiabbandonati. In alcune parti di Detroit alla sera non c'è l'illuminazione. Ma spingere le persone a spostarsi non è facile: "Uno dei problemi - dice il sindaco - è quello del mercato immobiliare". Prima della grande crisi molti hanno acceso mutui per acquistare case che oggi valgono la metà. Chi può continua a pagare il mutuo e non si trasferisce sperando che la ripresa di valore della case gli consenta di recuperare almeno una parte del denaro. Nonostante queste grandi difficoltà, alla sua rinascita Detroit crede con entusiasmo. Nel mezzo del suo tentativo di rinascita propone un volto contradditorio che può certamente affascinare per l'indubbia vitalità che sprigiona come certi scorci di archeologia industriale torinese. A Royal Oak, uno dei sobborghi a nord della città dove i bianchi sono fuggiti dopo la rivolta dei neri nel 1967, la libreria Barnes & Noble ha una nutrita sezione sulla storia e i problemi dell'area urbana. Se capita di acquistare uno dei molti testi sui moti razziali del 1967, il commesso propone con un sorriso anche un piccolo libro: "Legga anche questo, riguarda il futuro". In "Ricostruire Detroit" l'autore, John Gallager, suggerisce alcune soluzioni e dedica diverse pagine a Torino: "La Fiat era quasi morta, la città aveva perso negli ultimi vent'anni il 25 per cento della sua popolazione - scrive Gallager - e fabbriche abbandonate deturpavano il paesaggio cittadino". Sembra la fotografia di Detroit negli ultimi decenni. "Poi Torino si è tirata su le maniche, si è scossa dalla sua depressione e si è messa al lavoro". Il libro racconta la storia delle Olimpiadi, attribuisce grande importanza al lavoro della Film Commission per ricostruire l'immagine della città "che oggi non si immagina più pesante e vecchia, ma giovane e piena di nuove speranze". In conclusione una dichiarazione di Valentino Castellani: "Paradossalmente la crisi più profonda si è trasformata in una grandissima opportunità per cambiare e innovarsi". Il commento finale è però affidato a Beth Ardisana, presidente e amministratore delegato della Asg Renaissance, membro del direttivo della Camera di Commercio della città: "Una volta la gente chiamava Torino la Detroit italiana. Oggi sarebbe un bel risultato che Detroit venisse soprannominata la Torino degli Stati Uniti". Un obiettivo che potrebbe essere favorito proprio dall'arrivo della Fiat a Auburn Hills. I vertici di Chrysler sono ancora molto impegnati nel rilancio della società ma non escludono, nel prossimo futuro, di impegnarsi direttamente per dare una mano a Detroit a ricostruirsi intorno al suo centro storico. In fondo lo slogan della campagna pubblicitaria del rilancio Chrysler, quello che campeggia sul grande palazzo del centro direzionale, è un omaggio alla città: "Imported from Detroit".
(Fonte: http://torino.repubblica.it - 16/7/2011)
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