venerdì 28 febbraio 2014

Fiat: in visita i vincitori di "Design, Future, Accessibility"


I vincitori del concorso “Design, Future, Accessibility” in visita da Fiat. E’ stato Roberto Giolito, vice president design Fiat Chrysler Emea ad accogliere il greco Thanos Pappas, il tedesco Sebastian Grenzhäuser e l’italiano Antonio Paglia, presso la sede del Centro Stile Fiat di Torino. I tre giovani sono risultati vincitori del concorso lanciato lo scorso novembre dall’ACEA (Associazione dei Costruttori Europei di Automobili) in collaborazione con il Gruppo torinese. Questa visita per il terzetto è stata un’esperienza unica in una delle capitali mondiali del design automotive che ha consentito loro di confrontarsi con il team del Centro Stile Fiat che ha giudicato i loro lavori come i più stimolanti e completi tra tutti quelli partecipanti al concorso. Sebastian, Athanasios e Antonio, come pure gli altri giovani partecipanti all’iniziativa, hanno inviato le loro idee alla pagina Facebook di “Our Future Mobility Now”,  il  progetto creato dall’ACEA che  punta ad approfondire le tematiche legate alla mobilità del futuro e alla sua sostenibilità, con l’obiettivo di coinvolgere i giovani di tutta Europa. E proprio nell’ambito del progetto OFMN è nato il concorso promosso da ACEA e Fiat per sensibilizzare le nuove generazioni su uno degli aspetti nodali della mobilità del futuro, ovvero l’accessibilità, in tutte le sue accezioni, finalizzandola alla valorizzazione dei talenti dei tanti giovani appassionati di mobilità. “L’iniziativa – spiegano in Fiat – è partita in “diretta web” dal canale Google Plus e YouTube di Fiat, con Roberto Giolito e i designer del Centro Stile Fiat che hanno fornito spunti, riflessioni e la loro idea di ‘Design, Future, Accessibility’. A partecipare con entusiasmo soprattutto giovani tra i 18 e i 34 anni, provenienti da tutti i Paesi europei, principalmente di sesso maschile ma con una rilevante presenza femminile sempre nella fascia under 34. E’ stata un’altra importante iniziativa che ha visto protagonista la community web di ACEA e Fiat, realtà globali unite sia nello sforzo di pensare alla mobilità e alla sostenibilità del futuro, sia nella volontà di valorizzare i talenti, soprattutto dei più giovani, fondamento del domani”. Il team dei designer Fiat ha poi valutato tutti i lavori pervenuti secondo i canoni di originalità, intuizione e capacità di prevedere gli scenari futuri e sono risultati così vincitori Sebastian, creativo di Amburgo, Thanos, giovane ‘graphic designer’ e Antonio, architetto e designer milanese che hanno avuto l’opportunità di vivere una vera e propria full immersion formativa nel Centro Stile Fiat. Il tour dei tre giovani si è poi concluso con una visita, molto apprezzata, nel suggestivo e rinnovato Museo dell’Auto di Torino.
(Fonte: www.repubblica.it - 21/2/2014)

giovedì 27 febbraio 2014

VM Motori: produzione a pieno regime


Nell’universo FCA c’è una grande fabbrica (oltre 1.200 dipendenti) che lavora anche la domenica. E persino il giorno del santo patrono. Accade a Cento, in provincia di Ferrara, dove i repartidello stabilimento VM Motori – la terza fabbrica italiana di motori dopo Termoli e Pratola Serra – hanno marciato a pieno vapore anche il 3 febbraio, giorno dedicato a San Biagio, protettore della cittadina ferrarese. La spiegazione di quello che di fronte alla crisi generale ha tutte le apparenze di un miracolo è arrivata oggi addirittura dagli Stati Uniti. In mattinata un informatissimo articolo apparso su Autonews riportava questo titolo: “Chrysler, in appena tre giorni, ha ricevuto 8.000 ordini del nuovo pick-up Ram 1.500 appena messo in vendita con il motore eco-diesel dell’italiana VM”. Non si trattava di una indiscrezione. L’articolo riportava le parole ufficialissime del responsabile del brand Ram, Bob Hegbloom: «Sapevamo di aver visto lungo lanciando sul mercato americano questo motore – spiegava Hegbloom – E questa è solo la prima conferma della nostra intuizione». Secondo il dirigente di Ram la pioggia di ordini in così poco tempo è un evento eccezionale: pari a cinque volte i numeri che si verificano normalmente quando si lancia un modello nuovo. Il Ram 1500 Ecodiesel 3.0 a sei cilindri è del resto un modello atteso dagli americani da più di un anno. L’amministratore delegato di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, fautore del diesel fin dall’inizio della sbarco del Lingotto in America, ne ha parlato più volte nei vari saloni dell’auto. E nonostante i ritardi nella messa a punto del lanco del prodotto, il pick-up diesel è stato molto apprezzato dalla critica nelle scorse settimane tanto che la versione Ecodiesel ha portato alla premiazione per il secondo anno consecutivo del Ram 1500 come miglior pick-up americano. Il bello è che nel carniere VM non c’è solo il Ram. La fabbrica ferrarese sforna varie versioni dello stesso motore a 6 cilindri per la Jeep Grand Cherokee che dall’anno scorso viene venduta con il diesel anche in America e anche per le sportivissime Maserati Quattroporte e Ghibli fabbricate in Italia, in quel di Grugliasco, per i mercati europei. Il paradosso vuole, adottando tutti gli scongiuri del caso, che VM lavori per modelli di grande successo. E così, per quel che si capisce, la bella fabbrica emiliana sta vivendo una specie di fase magica: non riesce a star dietro agli ordini e, nonostante investimenti consistenti in nuovi macchinari, l’innesto di ingegneri e personale proveniente da altre fabbriche Fiat e oltre 100 assunzioni (e altre in arrivo) deve fare un notevole ricorso agli straordinari per la gioia dei dipendenti che percepiscono buste paga meno anemiche del solito. Per ora VM ha confermato ai sindacati l’obiettivo di far crescere la produzione dai 90 mila motori costruiti nel 2012 ai 110 mila di quest’anno. La crescita prevista sarebbe del 22% ma siamo solo a metà febbraio.
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 23/2/2014)

mercoledì 26 febbraio 2014

Jeep B-SUV: si chiamerà Renegade?


Al Salone di Ginevra, il 4 marzo, si vedrà il primo «Small SUV» di Jeep, la più piccola e compatta della serie. E sarà la prima Jeep progettata negli Stati Uniti ma prodotta fuori dal continente americano: sarà costruita in Italia, nello stabilimento di Melfi, e distribuita in più di 100 nazioni nel mondo dal gruppo guidato da Sergio Marchionne. La nuova vettura amplia la gamma del marchio statunitense e porta, per la prima volta, il brand nel crescente segmento B dei SUV. Una fascia di mercato sempre più eterogenea, che si posiziona al terzo posto dopo le citycar e le utilitarie, superando le berline compatte. Nel 2013 il suo mercato è aumentato, in Europa, di circa l’85% rispetto al 2012, raggiungendo le 519.000 unità immatricolate. E si prevede che la crescita continuerà nei prossimi anni, superando nel 2014 la quota di 600.000 vendite, fino a raggiungere le 800.000 unità nel 2017. Anche in Italia, nonostante la difficile situazione economica, nel 2013 il segmento «I0» (così è chiamato nel mondo) ha registrato una crescita del 72% rispetto al 2012, assestandosi a 63.000 nuove consegne. Per il futuro dovrebbe seguire un’evoluzione simile a quella del resto d’Europa, con importanti sviluppi, anno su anno, fino al 2017. Tutti i costruttori stanno cercando di inserirsi in questa categoria. Anche i coreani di Hyundai potrebbero lanciare una nuova serie di SUV compatti, uno dei quali pensato per l’Europa. Allan Rushforth, il capo di Hyundai Europa, ha confermato che il gruppo sta valutando un progetto di SUV ultracompatto, costruito in Brasile su un nuovo pianale, che potrebbe diversificarsi molto rispetto all’attuale concetto di prodotto. Chi ha dato il via a questa tendenza è stata Fiat che nel 2009 aveva lanciato la Sedici, elaborata in collaborazione con Suzuki che aveva presentato, a sua volta , la SX4. Un filone consolidato dalla Nissan Juke e dalla Mini Countryman, a cui sono subentrate la Renault Captur, la Peugeot 2008, la Chevrolet Trax, sorella della Opel Mokka. Si tratta di piccole auto derivate da utilitarie. Oggi sul mercato si inseriscono anche le «world car» come la Ford EcoSport prodotta in Cina, in Brasile, in Thailandia e in India: un panorama affollato anche dalla Mitsubishi ASX, dalla Mazda CX-5, dalla Citroen C4 Aircross , dalla Suzuki S-Cross, per arrivare alla Mercedes GLA, versione SUV della Classe A. Questo è il campo di battaglia che affronta la Small SUV Jeep. Tra le sue caratteristiche ci sono un dispositivo che disconnette la trazione posteriore e il cambio automatico a nove rapporti. I motori saranno italiani, i diesel MultiJet II costruiti a Pratola Serra ed i benzina MultiAir a Termoli. Questa Jeep non ha ancora un nome ufficiale. Tre le opzioni sul tavolo: Jeepster, Laredo e Renegade. Il primo è stato scartato da Sergio Marchionne, il secondo ricorda troppo le serie limitate prodotte negli anni bui del brand. Non resta che il terzo, nome storico della Casa.
(Fonte: www.corriere.it - 20/2/2014)

martedì 25 febbraio 2014

Maserati: il piano di espansione negli U.S.A.


Non è rimasto lettera morta - e non poteva essere altrimenti - lo spot della Maserati Ghibli per il Super Bowl 2014. La pubblicità che ha di fatto portato per la prima volta il marchio del Tridente nelle case degli americani, a ben vedere, conteneva una vera e propria dichiarazione d'intenti: la Casa, questo era il messaggio dello spot, punta a un rilancio negli U.S.A. che passerà per la sfida diretta ai giganti del lusso, Mercedes-Benz e BMW in testa.
Vendite da triplicare entro fine 2015 - "Ci siamo preparati, ora colpiremo": una vera e propria minaccia all'establishment del settore premium negli U.S.A. . Che tradotta in termini concreti significa due cose ben precise: ramificare drasticamente la rete di vendita e moltiplicare i numeri attuali del marchio. Due numeri, per inquadrare la questione: secondo le informazioni raccolte da Automotive News, gli showroom americani Maserati dovranno passare da 75 a 125 entro la fine dell'anno e le vendite - negli obiettivi della dirigenza - dovranno triplicare nel giro di due anni.
Americani al timone - Gli uomini scelti da Sergio Marchionne per guidare il piano d'espansione hanno un passato in Chrysler e (soprattutto) esperienza diretta del mercato locale. Due saranno le figure chiave per raggiungere gli obiettivi: la prima è quella di Peter Grady, a lungo responsabile dell'espansione della rete di vendita Chrysler, e da novembre al vertice delle operazioni Maserati nelle Americhe; la seconda è quella di Saad Chehab, ex-numero uno del marchio Chrysler e attualmente responsabile globale del marketing del Tridente.
Una Maserati su due negli U.S.A. - Il target della nuova "squadra", in sostanza, è quello di condurre la Maserati (che l'anno scorso ha venduto 4.981 auto negli U.S.A., contando su Quattroporte, GranTurismo e GranCabrio) ben oltre i suoi attuali volumi, fino a raggiungere all'incirca le 22.500 unità l'anno. In altri termini, a fine 2015 gli U.S.A. rappresenteranno il 45% della domanda globale per la Maserati, che negli obiettivi di Marchionne dovrà raggiungere i 50.000 ordini al termine dell'anno venturo.
Lo scatto bruciante della Ghibli - Il grosso del lavoro, naturalmente, ricadrà sulle spalle della Ghibli, ordinabile negli U.S.A. da ottobre, ma di fatto disponibile solo dalla fine di dicembre (come ha spiegato Peter Grady), e consegnata in quantità significative a partire dallo scorso mese di gennaio. Nel periodo in questione è risultato subito lampante il contributo che la nuova berlina potrà dare alla causa: nel gennaio 2013 la Maserati aveva venduto 172 auto negli U.S.A. . Quest'anno la sola Ghibli ha totalizzato 335 unità, portando il totale del marchio a quota 567 pezzi in un mese.
Sud e Midwest nel mirino - Peter Grady, parlando con Automotive News, ha reso nota la sua intenzione di ampliare la rete di vendita in quelle aree del Paese dove la Maserati non è ancora presente: i 75 showroom attuali si concentrano sostanzialmente lungo le coste atlantica e pacifica, mentre quasi non coprono il sud e il Midwest, dove pure sorgono aree metropolitane importanti (quali ad esempio quelle di Chicago e Houston, ndr).
Un programma già partito - "In alcune aree dove il marchio intende espandersi", ha spiegato Grady "ci sono grandi città con uno o due punti vendita, mentre ce ne servirebbero quattro o cinque". Il programma di ampliamento è già partito: i nuovi concessionari Maserati hanno iniziato a seguire il programma di training presso la Chrysler Dealer Academy, e il management ha aperto le trattative con Santander Consumer U.S.A. per aprire la controllata Maserati Capital, struttura finanziaria che sarà parallela a quella di Chrysler Capital.
(Fonte: www.quattroruote.it - 10/2/2014)

lunedì 24 febbraio 2014

Fiat risponde alle richieste di Consob su ricavi, indebitamento e sede fiscale

Fiat prevede di chiudere il 2014 con ricavi in crescita del 7% rispetto al consuntivo 2013 a «circa 93 miliardi di euro». Lo si legge in una nota diffusa a seguito di una richiesta della Consob dopo il taglio del rating a B1 da parte di Moody's lo scorso 11 febbraio. L'obiettivo di indebitamento netto industriale per l'anno in corso è compreso tra i 9,l8 ed i 10,3 miliardi. Fiat precisa che «a seguito della riduzione del rating di un notch da Ba3 a B1 con outlook stabile comunicata da Moody's Investor Services lo scorso 11 febbraio non sorge alcun obbligo di rimborso anticipato dell'indebitamento esistente, nè si è registrato alcun aumento del costo dell'indebitamento ad eccezione del marginale incremento della commitment fee su una linea di credito revolving sindacata di Fiat per 2,1 miliardi di euro, attualmente non utilizzata. Con riferimento alla raccolta futura si ritiene che la riduzione del rating in questione possa avere un impatto limitato». Il chiarimento di Fiat arriva su richiesta di Consob che, con una lettera del 13 febbraio, ha chiesto al gruppo automobilistico informazioni in materia di obiettivi 2014, cash flow 2014, merito di credito, accesso alle risorse finanziarie di Chrysler Group Llcc e riorganizzazione societaria. L'accesso alle risorse finanziarie di Chrysler da parte di Fiat è soggetto ad alcune limitazioni «tipiche delle operazioni di finanziamento sui mercati statunitensi». Così il Lingotto in risposta alla richiesta di informazioni da parte della Consob. Le limitazioni «più significative», precisa Fiat, sono «un tetto alla distribuzione di dividendi pari al 50% degli utili netti accumulati a partire dal primo gennaio 2012 in aggiunta a una distribuzione una tantum di 500 milioni di dollari». Le distribuzioni, aggiunge Fiat, «sono anche soggette alla condizione che la liquidità di Chrysler ecceda una soglia minima di 3 miliardi di dollari (a fine 2013 la liquidità ammontava a 14,7 miliardi di dollari) che il gruppo non ritiene avrà impatto sulla capacità di Chrysler di effettuare distribuzioni». Sono invece esclusi da limitazioni i finanziamenti intercompany di Chrysler, «fatta salva la soggezione alla disciplina contrattuale relativa alle operazioni con parti correlate», precisa Fiat. Fiat ritiene che «i fabbisogni per gli investimenti previsti nel 2014 siano più che coperti dalle risorse generate dalla gestione, al lordo degli interessi», prescindendo dall'operazione di riacquisto delle quote di minoranza in Chrysler. Lo precisa il Lingotto, rispondendo alla richiesta di informazioni da parte della Consob e aggiungendo che «la liquidità di cui il gruppo dispone, la possibilità di attivare linee di credito precedentemente stipulate a fronte di investimenti industriali, particolarmente in America Latina, e la capacità del gruppo di accedere ai mercati finanziari, confermata anche dalle recenti emissioni obbligazionarie, sono di per sè più che sufficienti a sostenere i fabbisogni previsti». Il target di Fiat di ricavi 2014 a 93 miliardi di euro, in rialzo di circa il 7% rispetto all'anno prima, «potrà derivare principalmente dalla presenza commerciale nell'area Nafta dove il mercato è atteso ancora in rialzo rispetto al 2013, se pure con un tasso di crescita più contenuto rispetto agli anni precedenti». Così precisa Fiat rispondendo alla richiesta di informazioni da parte della Consob sull'obiettivo in materia di ricavi per il 2014. Sempre nell'area Nafta il gruppo «ha l'obiettivo di aumentare il fatturato soprattutto grazie al progressivo consolidamento delle vendite di modelli introdotte sul mercato egli ultimi 12 mesi, principalmente la Jeep Cherokee e anche la nuova Chrysler 200, che sarà lanciata nel secondo trimestre del 2014». Fiat precisa che la regione Apac (Asia/Pacifico) «potrà contribuire nel 2014 all'obiettivo di fatturato in misura maggiore rispetto allo scorso anno», mentre gli obiettivi per l'area Emea (Europa, Medio Oriente, Africa) a livello di volumi e fatturato «sono sostanzialmente allineati ai risultati consuntivati nell'anno appena trascorso e si basano sulla prospettiva che la domanda resti complessivamente stabile e che la competizione sui prezzi, in particolare per i segmenti mass-market, continui a essere un fattore decisivo». In America Latina, inoltre, il gruppo prevede di «mantenere sostanzialmente inalterato l'attuale posizionamento». Anche i marchi del lusso, infine, contribuiranno all'obiettivo di crescita dei ricavi 2014 grazie all'apporto dei nuovi modelli lanciati nel 2013, in particolare Maserati». Fiat prevede che «la residenza ai fini fiscali nel Regno Unito non comporti effetti significativi sul carico fiscale del gruppo, le cui società industriali, incluse quelle che hanno sede in Italia, continueranno a essere soggette ad imposizione fiscale nei vari Paesi in cui operano». Il lingotto aggiunge che «il reddito tassabile della società holding riveste scarsissima importanza rispetto alla posizione fiscale dell'intero gruppo in ragione della natura delle attività della holding». Quanto all'imposizione per gli azionisti, Fiat indica che «i dividendi distribuiti dalle società fiscalmente residenti nel Regno Unito non sono normalmente assoggettati a ritenuta d'imposta» e conclude che «ovviamente, i dividendi percepiti continueranno a essere soggetti ad imposizione in base alle regole dei Paesi di residenza degli azionisti medesimi». Sempre sui target 2014, Fiat ribadisce l'obiettivo fissato a livello di indebitamento industriale netto a fine 2014, compreso tra 9,8 e 10,3 miliardi di euro, e indica che, «esclusa l'operazione di riacquisto delle quote Chrysler dal fondo Veba, che ha comportato un esborso per il gruppo pari a cira 2,7 miliardi, nonchè l'effetto negativo per circa 0,3 miliardi legato al consolidamento del debito relativo a joint operations a causa dell'applicazione del nuovo principio contabile Ifrs 11, il saldo atteso tra le risorse generate dalla gestione e gli investimenti di periodo evidenzia un modesto assorbimento di cassa compreso tra 0,1 e 0,6 miliardi». Fiat aggiunge che l'obiettivo a livello di Ebitda «è atteso in crescita, coerentemente con il target di trading profit e l'incremento degli ammortamenti». Quanto al capitale di funzionamento, gli obiettivi «riflettono un contributo positivo al flusso di periodo, se pure inferiore a quello del 2013». Nel confronto con l'esercizio appena chiuso, precisa il Lingotto, «vanno tenuti in considerazione sia il livello di internazionalizzazione, che comporta una crescita fisiologica nel magazzino dei prodotti finiti, sia la particolare stagionalità del 2013, che ha visto una concentrazione nell'ultimo trimestre dei volumi di vendita e di produzione di Chrysler, in particolare attribuibile al lancio della nuova Jeep Cherokee».
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 18/2/2014)

domenica 23 febbraio 2014

Fisco: non è solo FCA ad "emigrare" in UK


Sulla rete e nei social media il trasloco del Lingotto da Torino a Londra è stato l’ennesima occasione per lanciarsi contro questa classe politica e dirigente. In realtà la fuga dal fisco di casa propria per emigrare in regimi fiscalmente più convenienti non riguarda solo l’Italia. Sul tema basta dire che la delocalizzazione delle multinazionali U.S.A. costa ogni anno al Tesoro a stelle e strisce più di 500 milioni di dollari e che hanno seguito le stesse tracce di FCA la multinazionale del petrolio Esco International Inc., la società di consulenza Aon Corporation, una che si occupa di trivellazioni – la Rowan Cos. – e la Liberty Global Inc., uno dei tanti giganti delle telecomunicazioni. Le ragioni della scelta sono semplici: il governo inglese nel 2010 ha avviato una serie di misure che avevano l’obiettivo di "fare del Regno Unito il miglior posto al mondo per stabilizzare un’impresa". La corporate tax è passata dal 28% al 23% nel 2013, quest’anno si scende al 21% e nel 2015 al 20%. Sempre di più del 12,5% dell’Irlanda, ma molto meno del 31%, 33% e 40% di Italia, Francia e U.S.A. . A questo bisogna aggiungere le snelle pratiche burocratiche, le agevolazioni sul segmento Ricerca e Sviluppo e una tassa sul capital gain al massimo del 28% (a differenza del 34,5, 40 e 45% di Francia, Irlanda e Germania). Non sarebbe ora di evitare questa guerra tra Stati?
(Fonte: http://economia.leonardo.it - 8/2/2014)

sabato 22 febbraio 2014

FCA: il nuovo logo spiegato in un video


Il logo FCA fa parte della nuova immagine coordinata del gruppo nato dalla fusione tra l'italiana Fiat e gli americani di Chrysler. Il risultato finale è frutto dello studio sul nome e sullo stile del nuovo brand, con l’obiettivo – spiegano dalla Robilant – di esprimere concetti come forza espressiva e potere evocativo, sfruttando forme essenziali ed universali come quadrato, triangolo e cerchio. Il filmato mostra come questi concetti di base si sono trasformati nelle lettere del logo. In particolare la lettera F, oltre a rappresentare la Fiat, viene dalla parola “Feel”; la lettera C che rappresenta la Chrysler deriva dal verbo “Create”; infine la A di Automobiles riprende il senso espresso dalla parola “Act”. La sigla FCA rappresenta quindi sia l’acronimo delle due case costruttrici, sia l’insieme dei valori espressi dalla nuova società di diritto olandese che sarà quotata in borsa a Milano e New York ed avrà sede legale nel Regno Unito. Il lavoro della Robilant ha portato ad un marchio istituzionale estremamente semplice e lineare, adatto all’utilizzo in contesti corporate. Come sempre accade, però, la rete si è scatenata in commenti e critiche non sempre lusinghieri. Non sono poi mancate le battute più o meno triviali sulle possibili interpretazioni dell’acronimo...
(Fonte: www.autoblog.it - 7/2/2014)

venerdì 21 febbraio 2014

Ram "scende in camper" grazie a Fiat


Il rilancio di Chrysler passa anche per i camper. E anche in questo caso la collaborazione con Fiat è decisiva. È infatti dal 2009 che la divisione Ram Trucks del gruppo americano e quella Fiat Professional lavorano in sinergia, anche per i camper, che nascono tutti dal pianale di Fiat Ducato. I nuovi camper 2014 di Chrysler sono Itasca Viva! (col punto esclamativo) e Winnebago Travato. Entrambi sono costruiti sul telaio Ram ProMaster, ma appartengono a categorie differente: più ricco e a due piani di abitabilità Itasca Viva!, a un solo piano Winnebago Travato. Il mercato americano è sicuramente appetito dai costruttori e allestitori di camper. Il territorio vasto, sterminato, per certi versi fatto per essere percorso in lunghi viaggi coast-to-coast, attira molti camperisti. È in U.S.A. che sono nati i motorhome, evoluzione dei camper e talvolta vere e proprie seconde case che si muovono su gomma, o spesso veri e propri uffici ed officine mobili. Chrysler entra nella bagarre con questi due nuovi modelli, che montano un motore classico della Casa, il V6 Pentastar di 3,6 litri con cambio automatico a 6 rapporti. Il modello Itasca Viva! ha un look deciso e vivace, anche per le innovative luci a LED, ma la taglia compatta lo rende piuttosto maneggevole. Si caratterizza per l’uso intelligente dello spazio, con una soluzione StudioLoft che all’occorrenza trasforma uno spazio studio in un letto in più, solo premendo un pulsante elettrico. Di grande raffinatezza le finiture in pelle. Winnebago Travato 2014 condivide telaio e motore col fratello maggiore, ha però una stazza più piccola (ed è forse ancora più agile).
(Fonte: www.tgcom24.mediaset.it - 9/2/2014)

giovedì 20 febbraio 2014

Ferrari: il marchio resterà a Maranello


È parte del gruppo Fiat-Chrysler ma non seguirà la stessa strategia, quella di inseguire il vantaggio fiscale che l'ha portata a trasferire la sede fiscale in Olanda. Ferrari resta dove è nata e non lascerà Maranello. È quanto tiene a precisare la Casa del Cavallino Rampante, replicando ad indiscrezioni di stampa secondo le quali il marchio di sarebbe trasferito in Olanda. «La Casa modenese - dicono in Ferrari - smentisce in modo categorico le indiscrezioni secondo cui il marchio sarebbe trasferito in Olanda. La notizia è destituita di ogni fondamento. Ferrari è dal 1947 a Maranello, dove rimarrà con le sue vetture e il suo marchio». Secondo organi di stampa nazionale, infatti, Ferrari potrebbe operare questa scelta portando il celebre marchio verso il Paese che ha la tassazione più vantaggiosa. Il gruppo Fiat-Chrysler, si legge nella prima pagina di un quotidiano, «trasferisce il marchio Ferrari in Olanda. Un altro pezzo di Italia prende il volo con i suoi 100 milioni di fatturato». L'indiscrezione smentita dalla Casa automobilistica di Maranello arriva all'indomani dell'ufficializzazione dello scorporo del marchio, con cui sono state separate le attività automotive da quelle legate allo sfruttamento del brand. Stando alle stime del management, il ramo d'azienda (che conta su 64 contratti di licenza stipulati in tutto il mondo e 28 di franchising distribuiti nei cinque continenti) dovrebbe chiudere l’annata 2013 con un giro d'affari di 92,5 milioni di Euro, un margine operativo lordo di 52,4 milioni e un risultato netto che è pari a 50,8 milioni di Euro.
(Fonte: http://gazzettadimodena.gelocal.it - 8/2/2014)

mercoledì 19 febbraio 2014

Chrysler: 5 miliardi di dollari a Veba per il rimborso anticipato delle obbligazioni


In anticipo rispetto alla scadenza fissata, Chrysler ha chiuso la pendenza di 5 miliardi di dollari nei confronti del fondo Veba. Il costruttore ha raccolto i fondi necessari mediante il regolamento dell'emissione di obbligazioni senior garantite (operazione da tre miliardi) e di finanziamenti senior garantiti (per un totale di altri due miliardi). La cifra corrisposta al Veba Trust è comprensiva degli interessi maturati e non ancora pagati relativi all'obbligazione non garantita che venne emessa il 10 giugno del 2009 in favore di Veba, per un ammontare originario di poco inferiore ai 4,6 miliardi di dollari. Il rifinanziamento comporterà un risparmio di costi per interessi pari a 134 milioni di dollari l'anno tra il 2014 e il 2016.
(Fonte: www.quattroruote.it - 11/2/2014)

martedì 18 febbraio 2014

FCA: il controllo resterà italiano grazie all’Olanda


Sembra un paradosso, ma il trasferimento della sede legale di Fiat Chrysler Automobiles da Torino ad Amsterdam consentirà al gruppo di conservare la sua proprietà italiana, molto più di quanto non sarebbe possibile farlo, restando in Italia. Sappiamo che Fiat Chrysler si quoterà a Wall Street, trasferirà la sede fiscale a Londra e quella legale in Olanda. Finora, si è sostenuta la tesi che sia tutta una questione di soldi: nel Regno Unito si pagano meno tasse. Questo è vero, ma spiega solo in minima parte la strategia di Sergio Marchionne. Con la sede fiscale nel Regno Unito, certamente si pagherà una corporate tax del 20% sui dividendi, mentre gli utili delle controllate sono quasi esentasse e le spese di ricerca e sviluppo detassate. Questo ci fa capire perché conviene pagare le tasse a Sua Maestà e non a Roma. Ma non ci voleva un economista raffinato per intuirlo. Altra questione, ben più importante, forse, riguarda la sede legale. Quale vantaggio offre l’Olanda a Fiat, che l’Italia non potrebbe darle? Risposta: la presumibile certezza del controllo della società da parte degli Agnelli, anche nel caso di diluizione del capitale. Lo schema di fusione tra Fiat e Chrysler segue il modello già sperimentato per Cnh Industrial. In quest’ultimo caso, infatti, con il 27,2% di capitale, Exor – la holding di casa Agnelli – esercita il 40,25% dei diritti di voto in assemblea, grazie all’emissione di 474 mila azioni speciali, ossia con diritto di voto multiplo, di cui 366 mila sono andate alla finanziaria torinese. Un altro 3% è esercitato, poi, da Fiat. Anche per Fiat Chrysler è stata prevista l’emissione delle azioni con diritto di voto multiplo in assemblea e che saranno distribuite ai soci che manterranno il titolo fino alla fusione ufficiale e per un periodo successivo di almeno tre anni. In questo caso, con il 30% del capitale, Exor potrebbe esercitare in assemblea oltre il 50% dei diritti di voto, blindando la proprietà e rendendola non contendibile, tenendola lontana da scalate ostili. Ciò vale a maggior ragione che Fiat avrà bisogno di attingere a nuovi capitali per rilanciare Alfa Romeo, come ha promesso di fare Marchionne. Gli Agnelli potrebbero partecipare anche per meno del 30% a un ipotetico aumento di capitale, restando pur sempre con un pacchetto di controllo inattaccabile. Certo, dovranno rinunciare al dividendo sul 2013, per rafforzare il patrimonio, ma al contempo, l’incasso di 2 miliardi dalla vendita della partecipazione di Exor nella svizzera Sgs (1,5 miliardi la plusvalenza) permetterà di distribuire qualcosa ai soci. Grazie alla strategia di ottimizzazione societaria perseguita da Marchionne, Fiat potrà guardare con maggiore serenità alle alleanze internazionali, necessarie per contrastare colossi come Volkswagen e Toyota. Potrà cercare un partner in Europa (Peugeot?) o in Asia, certa che la legislazione olandese consentirà agli Agnelli di non perdere il controllo del gruppo. Paradosso vuole, quindi, che l’italianità di Fiat sia assicurata dall’Olanda.
(Fonte: www.invesitreoggi.it - 12/2/2014)

lunedì 17 febbraio 2014

Elkann: "Con Chrysler è un matrimonio, ora Fiat è ancora più italiana"


Dopo la nascita del gruppo FCA, Fiat è «ancora di più italiana». Così John Elkann, presidente del gruppo Fiat Chrysler e vicepresidente della Fondazione Giovanni Agnelli, ha risposto agli studenti nel corso dell'incontro “Cosa, dove e perchè studiare” nella sede della Banca Popolare di Sondrio. Il fatto che oggi FCA sia una società unica «rende la componente italiana molto più forte. Questo è importante capirlo, il mondo offre grandi opportunità. Siamo contenti e soddisfatti che la componente italiana si sia molto sviluppata. Oggi quello che possiamo fare in Italia è molto di più di quello che potevamo fare prima», ha spiegato Elkann. «Fiat non ha fatto un'alleanza con Chrysler, ma si è sposata con Chrysler» e «l'insieme delle opportunità che sono nate sono straordinarie». Così John Elkann ha risposto a chi gli chiedeva perchè per Chrysler l'alleanza con Fiat è la migliore. «FCA è il settimo gruppo al mondo, ha una gamma completa dalla 500 fino ai grandi pick-up americani, siamo presenti in tutti i mercati del mondo. Ora con i nostri marchi riusciamo a fare cose che non facevamo prima», ha detto Elkann, spiegando che per Chrysler con «Mercedes non c'era integrazione, sono marchi troppo diversi, Mercedes è un marchio troppo alto, non esisteva la complementarietà che c'è nella nuova società che si è formata ora con Fiat». Entrare in Fiat «non è stata una scelta forzata. Non ho una avuto una famiglia che impone le cose, ma che cerca di accompagnarti nelle tue aspirazioni. È stata una scelta voluta», spiega Elkann agli studenti. «Essendo entrato in un momento molto difficile, quello che mi ha guidato negli ultimi dieci anni è che Fiat era in condizioni estremamente difficili e la sua sopravvivenza era in grandissimo dubbio. Sono contento di essere riuscito, con Marchionne e gli altri, a creare FCA: aver contribuito a dare una vita a Fiat con la creazione di FCA è qualcosa di molto importante».
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 16/2/2014)

domenica 16 febbraio 2014

Tra Stato e mercato: storia della Fiat che fu


La costituzione formale di Fiat Chrysler Automobiles rappresenta l’approdo di una robusta operazione industriale e finanziaria che, per chiamarla col suo nome, è stata una manovra di salvataggio. Non lo nasconde, peraltro, il giovane presidente di Fiat, John Elkann, che conferma con candore al quotidiano di famiglia che “una squadra che ormai lottava solo per la salvezza è risalita nella parte alta della classifica”. La metafora calcistica, per una volta, è calzante: dieci anni fa tutti gli osservatori internazionali mettevano Fiat fuori dall’elenco della dozzina di grandi imprese automobilistiche destinate a sopravvivere alla selezione di un mercato sempre più competitivo. Oggi FCA è al sesto posto tra i produttori, in grado di competere. A questo approdo (naturalmente provvisorio ma comunque assai significativo) Fiat è arrivata con un sostanziale capovolgimento della sua filosofia aziendale tradizionale, quella, per intenderci, che Gianni Agnelli compendiava nella formula “quel che è bene per Fiat è bene per l’Italia”. In un passato non troppo lontano Fiat viveva (non sempre prosperava, anzi) sostanzialmente in simbiosi con lo Stato-imprenditore, che le aveva graziosamente ceduto Alfa Romeo per evitare l’ingresso in Italia della concorrenza di Ford, col sistema finanziario governato da Enrico Cuccia nel cui salotto buono gli ospiti torinesi erano trattati con immenso rispetto (condito con un pizzico di condiscendenza, soprattutto per le incursioni in territori, dalle assicurazioni ai supermercati, estranei alla cultura e alla capacità imprenditoriale di Fiat), col sistema mediatico nel quale progressivamente Fiat ha consolidato un ruolo centrale che conserva tuttora, con le quote protezioniste antigiapponesi. Qualche decennio fa l’architrave su cui si era costruito l’edificio del compromesso politico era stato l’intesa interconfederale degli anni Settanta tra Gianni Agnelli e Luciano Lama sulla scala mobile e altro, pesantemente negativa per le possibilità di crescita economica, soprattutto del Mezzogiorno privato dei differenziali salariali, e di evoluzione professionale, schiacciata dall’egualitarismo degli incrementi salariali eguali per tutti, ma costitutiva di una sorta di pace sociale sulla quale fu possibile costruire il consociativismo tra Dc e Pci. La fine di questa stagione, peraltro, fu segnata anch’essa dalla reazione polemica dei quadri intermedi di Fiat a una fase particolarmente aspra della lotta in fabbrica, che segnò l’inizio del declino del potere sindacale senza peraltro fornire nuove basi solide a una crescita imprenditoriale nei settori tradizionali (che invece si realizzò parzialmente in quelli “nuovi” della moda, del design, in generale della produzione più legata a impulsi estetici). La Fiat simbiotica con uno Stato che produceva soprattutto debiti perdeva rilievo internazionale e assumeva i vizi di un sistema protetto, che la portarono più volte sull’orlo del fallimento, evitato spesso con operazioni finanziarie funamboliche, come quella del “convertendo”, cioè di una cessione virtuale della proprietà della società alle banche creditrici, o la sceneggiata della penale pagata da General Motors per evitare di assumere il controllo di Fiat, considerata una causa persa e pericolosa. In questa dimensione provinciale (e nelle affannose manovre internazionali di piccolo cabotaggio che non erano mancate) non c’era lo spazio per un'azione di salvataggio di grande respiro, e il merito di Sergio Marchionne è stato quello di trovare a Detroit il bandolo della matassa ingarbugliata in Italia dove, peraltro, le relazioni sindacali e quelle finanziarie diventavano sempre più difficili per la dissoluzione dei centri decisionali politici ed economici tradizionali. La Fiom scesa sul sentiero di guerra senza le reti di controllo tradizionali del Pci e della Cgil, i governi che non si sono dimostrati in grado neppure di definire le norme della rappresentanza nella contrattazione, mentre oscillavano tra inutili sostegni come le rottamazioni e improvvisi irrigidimenti, rappresentano i caratteri più evidenti di un panorama del tutto nuovo, in cui l’antica simbiosi si era capovolta in un tendenziale e paradossale rigetto da parte dell’establishment dell’azienda che ne era stato per decenni la spina dorsale. L’uscita di Fiat da Confindustria, un fatto che solo dieci anni prima sarebbe apparso impensabile, ha suggellato questa situazione nuova, mentre l’appoggio del fondo pensione dei sindacati americani al salvataggio Chrysler ha segnato la svolta che ha caratterizzato il colpo d’ala di Marchionne e il salvataggio di Fiat.
(Fonte: www.ilfoglio.it - 31/1/2014)

sabato 15 febbraio 2014

Il senso del logo FCA secondo Proforma


La fusione di Fiat e Chrysler passa anche da un nuovo logo. Essenziale, minimalista, composto da tre sole lettere tutte maiuscole, FCA, che stanno per Fiat Chrysler Automobiles. Analizzato da Miki De Benedictis, art director e designer dell’agenzia di comunicazione Proforma.
Quale il suo giudizio nel complesso sul nuovo logo?
Parliamo di grandissimi professionisti. Senza conoscere il brief, il contesto, i tempi, rischierei di esprimere giudizi superficiali. C’è poi un equivoco di fondo iniziale, che riguarda le finalità e i destinatari di questo marchio. Si tratta del logo di un gruppo aziendale: Fiat e gli altri marchi storici non scompariranno. La sua visibilità sarà per così dire limitata ai documenti ufficiali del gruppo. Difficilmente entrerà nell’immaginario dell’acquirente medio della Panda. Affermare che “Fiat cambia logo” è dunque sbagliato.
Ma c’entra l’obiettivo secondo lei?
Il compito di un marchio non è quello di descrivere un’organizzazione ma di evocarne lo spirito, la vocazione, i valori. Un lavoro per nulla facile. In questo senso potrei azzardare che se lo scopo era cercare di evocare i valori di solidità, forza, dinamicità, l’uso di caratteri inclusi in forme geometriche semplici, basiche, leggibili nel cosiddetto spazio negativo mi sembra, insieme alla scelta del carattere, una soluzione corretta.
Quanto c’è dello "stile Marchionne" in questo logo?
Forse una leggera "spigolosità" del carattere”?
Sul web si sono scatenate le ironie per il doppiosenso che richiama l’acronimo in italiano. Effetto previsto o gaffe?
Gaffe limitata solo all’Italia. Non credo che “Ef Sii Eii”, così come presumibilmente verrà letto all’estero, rischi di scatenare il medesimo immaginario salace e goliardico. Non credo che l’effetto fosse previsto, ma in ogni caso si tratta di un riferimento involontario a un articolo di grandissimo successo...
In questi anni Fiat si è concentrata molto sulla “brand awareness” con gadget con la scritta “Fiat”, come la felpa indossata da Lapo Elkann, icona di stile della famiglia. Il nuovo logo non rischia di creare confusione nel pubblico?
Non credo che verrà mai realizzato del merchandising con quel marchio per le ragioni che raccontavo all’inizio. I clienti dei diversi marchi lo incontreranno raramente, piccolissimo e in calce solo su alcuni documenti.
Non si rischia di perdere il simbolo della storia centenaria della Fiat e la centralità dell’Italia rispetto all’azienda?
Fiat insieme ad Alfa Romeo, Jeep, Lancia ecc. sono marchi leggendari. Sono la storia dell’automobile. Quale strategia di gruppo potrebbe pensare di rinunciarvi?
In questi anni, qual è stato il logo più bello a suo avviso?
Uno solo? Ce ne sono di meravigliosi. Il lavoro di Stephen Sagmaister e Jessica Walsh sulle identità cosiddette dinamiche, loghi mutevoli ma sempre riconoscibili, come il logo di EDP, una società energetica portoghese, o il logo realizzato alla fine degli anni ‘90 per la “Casa da Musica”, un Auditorium di Porto. I loghi dei maestri che continuano a ispirare per la loro semplicità e capacità comunicativa. La ricerca del segno essenziale, il segno capace al contempo di evocare lo spirito e i valori. Un intero mondo. Penso a Saul Bass, a Bob Noorda (il logo COOP, il logo ENI), Massimo Vignelli e tantissimi altri. Il logo più bello di sempre per me è però un logo mai utilizzato, forse perché non ben capito. Una delle proposte di Noorda per la metropolitana di Milano. La “M” sovrapposta ad un’altra identica riflessa. Il mondo sotterraneo della metro...
(Fonte: www.formiche.net - 30/1/2014)

venerdì 14 febbraio 2014

VM Motori: confermati i piani di produzione


Indubbiamente la notizia dell’unione tra Fiat e Chrysler ha destato qualche preoccupazione tra i lavoratori di VM Motori, che da novembre è interamente proprietà Fiat. La proprietà ha tuttavia rassicurato i sindacati durante un incontro che si è tenuto proprio nello stabilimento di Cento. Rassicurazioni che riguardano l’impegno rispetto alle prospettive di produzione. L’incontro aveva però per i sindacati soprattutto lo scopo di presentare, ai sensi dell’accordo raggiunto lo scorso maggio, la piattaforma per il rinnovo del contratto. “Su questo punto – ha riferito Mario Nardini, segretario provinciale della Fiom-Cgil – i nostri interlocutori non si sono sbilanciati, dicendo che dovranno verificare con la proprietà i contenuti, effettuare le opportune valutazioni, quindi, in una fase successiva, farci sapere”. Una risposta che poteva essere messa in conto visti i recenti cambiamenti societari di Fiat, che con l’unione con Chrysler ha dato vita a FCA (Fiat Chrysler Automobiles), portando la sede legale in Olanda e quella fiscale in Gran Bretagna. E se il timore dei lavoratori riguarda il volume di commesse per motori diesel che arriverà a Cento dopo l’operazione di internazionalizzazione di Fiat, quello dei sindacati riguarda anche l’atteggiamento che la nuova proprietà vorrà tenere in termini di relazioni sindacali e di rispetto degli accordi assunti in precedenza. “I lavoratori, ovviamente, preoccupati lo sono – commenta Nardini – poi si tratterà di vedere di quanto ci si deve preoccupare. L’amministratore delegato ha confermato l’impegno rispetto alle prospettive di VM Motori, mentre per quanto riguarda l’accordo della scorsa primavera mi aspetto che vi sia altrettanta coerenza. Quando è stato raggiunto, infatti, Fiat era proprietaria di VM Motori al 50% ed è dunque firmataria di quell’accordo. Non mi risulta che, mancando ora il proprietario del restante 50% acquisito sempre da Fiat, le intese non siano più valide”. Si tratterà in ogni caso di attendere un cenno della proprietà in merito, dato che si è presa il tempo per valutare la proposta di piattaforma presentata dai sindacati. In ballo ci sarebbe anche il completamento delle 280 assunzioni malcontate (inizialmente 300) da portare a compimento entro la prima metà del 2015 (ora siamo a nemmeno la metà, spiega Nardini). La buona notizia riguarda comunque l’impegno al mantenimento dei volumi produttivi, che hanno come obiettivo per il 2014 circa 110mila motori.
(Fonte: www.estense.com - 7/2/2014)

giovedì 13 febbraio 2014

Alfa Romeo 4C: successo di critica e pubblico


E' stata appena premiata a Parigi come la più bella auto europea nata nel 2013. Ma per l'Alfa Romeo 4C, la due posti da 60.000 mila Euro ultimo gioiello dell'ingegneria italiana del gruppo Fiat-Chrysler, ora arriva un'altra buona notizia: la produzione 2014 sarà aumentata e, dal 2015, se la domanda resterà alta, potrebbe superare quota 5.000 pezzi annui veleggiando verso il raddoppio rispetto alle prime stime. Se i nuovi obiettivi di produzione sono ancora ufficiosi, sono certi invece gli effetti positivi sull'occupazione del successo della 4C. A Modena, nello stabilimento Maserati dove l'ultima Alfa viene assemblata assieme ai coupé del Tridente, nelle prossime settimane saranno aggiunti oltre 100 nuovi posti di lavoro ai 600 attuali. Posti al momento destinati ad altrettanti cassaintegrati del gruppo Fiat richiamati dalle fabbriche di Mirafiori, Cassino e Melfi per periodi individuali di sei mesi. E' la prima volta nella storia della mitica fabbrica emiliana che viene istituito un secondo turno. Come previsto da un accordo firmato con i sindacati modenesi, la turnazione riguarderà solo gli addetti al modello Alfa anche se la riorganizzazione della fabbrica emiliana comporterà un leggero aumento della cadenza di produzione delle Maserati che passeranno da 18 a 19 pezzi al giorno. La produzione della 4C, invece, dovrebbe aumentare a una ventina di vetture giornaliere, un centinaio o poco più a settimana. I numeri precisi restano riservati per due ragioni. La prima è tecnica: la nuova organizzazione del lavoro prevede un orario di sette ore e mezzo per turno (alle quali si aggiungerà la mezz'ora di pausa mensa) mentre oggi il turno unico Maserati è di 8 ore, dunque si prevede una fase di assestamento. La seconda ragione è più complessa: Fiat-Chrysler ha esplicitamente sottolineato ai sindacati di voler mantenere un profilo di estrema prudenza sulla 4C. «Il marchio Alfa Romeo è poi in una fase molto delicata e vogliono capire se l'ottima risposta del mercato mondiale durerà - spiega William Manfredini della Uilm di Modena - L'impiego di manodopera non locale per ora va bene anche perché diamo una mano a lavoratori in cassaintegrazione. Fra qualche mese rifaremo il punto sperando che questi nuovi posti di lavoro ancora “provvisori” diventino stabili». A leggere in filigrana la prudenza dei dirigenti dello stabilimento Maserati di Modena si intravedono questioni complesse. Non è ancora stata scelta ufficialmente, ad esempio, la rete commerciale che distribuirà la 4C in America. In passato, si era parlato di affidarne le vendite alla settantina di concessionari U.S.A. della Maserati che ormai raccolgono fino a 1.500 ordini al mese per le berline Ghibli e Quattroporte. Ma anche i 210 concessionari americani di Fiat, o almeno i più brillanti fra loro, vorrebbero fregiarsi del marchio Alfa Romeo e di una coupé che già fa sognare gli americani facoltosi appassionati di guida sportiva. La questione è rimasta in sospeso in attesa che tagliasse il traguardo l'acquisto del 100% di Chrysler da parte di Fiat. E il marketing Alfa è rimasto privo di indicazioni precise per completare il dossier dello sbarco della 4C in America nel quadro del ritorno delle berline Alfa Romeo sul mercato statunitense, previsto per il 2015-2016 ma in data ancora imprecisata. Finora, stando ai "vecchi" documenti ufficiali, a regime le 4C dovevano essere distribuite così: 1.500 pezzi annui a Europa, Golfo Arabico e Africa, 1.200 al Nordamerica e 800 al resto del mondo. Ma ora è possibile che gli equilibri distributivi cambino anche perché è stato superato l'ostacolo tecnico che finora impediva di ipotizzare una maggiore produzione: la disponibilità limitata delle scocche in carbonio. Com'è noto la 4C pesa pochissimo (meno di 850 chili) anche perché il suo telaio è interamente in fibra di carbonio. Un materiale avanzatissimo ma “difficile” da assemblare. L'Alfa ha potuto istituire il secondo turno della 4C perché il costruttore delle scocche, il gruppo Adler che le fabbrica ad Airola, un piccolo centro in provincia di Benevento, è riuscita ad industrializzare un processo di lavoro che fino a qualche mese fa era artigianale e fatto esclusivamente a mano. «E' vero - conferma Paolo Scudieri, titolare della Adler - Meno di un anno fa abbiamo aperto la fabbrica con 150 dipendenti . Dopo la fase di rodaggio riuscivamo a produrre solo 7 scocche al giorno. Poi, anche grazie ai fondi della Regione Campania e alla collaborazione degli inglesi della AmberComposite, abbiamo trovato il sistema per aumentare la produzione venendo incontro alla forte domanda registrata per la 4C. Stiamo assumendo altre 80 persone, anch'esse in gran parte cassaintegrati campani del gruppo Fiat». Ma le 80 nuove assunzioni di Airola sono provvisorie o a tempo indeterminato? «Sono posti fissi - risponde Scudieri - Anche perché se già oggi forniamo componenti in fibra anche a Ferrari e Maserati penso che in futuro aumenteremo il livello di collaborazione con il marchio Alfa. Ma non posso dire di più». Chiaro il riferimento alla produzione in Italia dei prossimi modelli dell'Alfa Romeo che Sergio Marchionne, l'amministratore delegato della neonata Fiat Chrysler Automobiles, dovrebbe annunciare a maggio. Un progetto al quale la Adler, un gruppo sconosciuto al grande pubblico ma che può contare su ben 58 stabilimenti in tutto il mondo, sta già lavorando. Chiaro il segnale per gli alfisti: il “dopo 4C” è già iniziato.
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 9/2/2014)

mercoledì 12 febbraio 2014

Jeep Cherokee: debutto al Salone di Ginevra per la versione europea


La principale differenza tra la variante americana - che già imperversa sul mercato U.S.A. - e quella europea della nuova Jeep Cherokee, è nascosta sotto il cofano: il modello per i nostri mercati, che debutterà il 4 marzo al Salone di Ginevra 2014, avrà in dotazione il 2.0 MultiJet II con Start&stop, unità di derivazione Fiat che non è offerta oltreoceano.
Diesel e nove marce automatico insieme - Il quattro cilindri italiano, per la prima volta in assoluto, sarà abbinato al nuovo cambio automatico a nove marce della ZF, che proprio la Cherokee (contemporaneamente alla Range Rover Evoque) ha portato al debutto globale. Disponibile nelle versioni a trazione anteriore o integrale, la nuova Suv americana arriverà in concessionaria nel secondo trimestre di quest'anno. Nel nostro Paese saranno tre i livelli d'allestimento: Longitude, Limited e Trailhawk.
La gamma motori - Anche la gamma motori si declinerà su tre offerte: oltre al 2.0 MultiJet II da 170 CV e 350 Nm da 1.500 giri (con cambio automatico a nove marce), si potranno scegliere la variante meno potente dello stesso motore (capace di 140 CV e 350 Nm e abbinata al cambio manuale a sei marce) e il nuovo 3.2 V6 Pentastar a benzina, dotato anch'esso della nuova trasmissione automatica e capace di erogare 272 CV e 315 Nm a 4.300 giri. Il Pentastar è disponibile solo sulla Trailhawk, mentre i due diesel sono offerti con i soli allestimenti Longitude e Limited.
Le dotazioni dei tre allestimenti - Dotata di gruppi ottici inediti che fanno ampio ricorso alla tecnologia Led, la nuova Cherokee monta cerchi da 17" (solo sulla Limited sono da 18") e offre il nuovo optional del CommandView, il tetto panoramico apribile, che si estende fino alla seconda fila di sedili. Gli allestimenti interni cambiano a seconda dell'allestimento: sulla Longitude i rivestimenti sono in tessuto, sulla Trailhawk in misto pelle/tessuto, e sulla Limited in pelle Nappa.
La linea di accessori Mopar - La dotazione può essere completata attingendo al catalogo di accessori Mopar, che comprende circa cento parti, tra cui il Cargo Management System, due diversi tipi di cerchi in lega (da 17" o da 18"), il Black Hood Decal o le Black Steel Rock Rails, per i carichi sul tetto.
Tre sistemi di trazione integrale - Quello che più conta, tuttavia, su un modello del marchio Jeep, sono le doti in off-road, e la nuova Cherokee non fa eccezione. Sono ben tre i sistemi di trazione integrale offerti sulle varie versioni del modello: il più semplice è il Jeep Active Drive I, disponibile sulle versioni Longitude e Limited e dotata di un'unità di trasmissione della potenza a una sola velocità. Più specialistico il Jeep Active Drive II, con presa di forza a due velocità e marce ridotte, mentre al vertice si trova il Jeep Active Drive Lock: di serie sulla sola Trailhawk, questo sistema a quattro ruote motrici aggiunge all'equazione il bloccaggio del differenziale posteriore per affrontare gli ostacoli più ardui.
Selec-Terrain e Selec-Speed Control - Di serie per tutte le Cherokee c'è il sistema Selec-Terrain che permette di scegliere fra quattro modalità di guida: Auto, Snow, Sport, Sand/Mud. Sulla Trailhawk, in più, c'è la quinta modalità Rock. Il quadro di questa versione pensata per il fuoristrada "duro" è completato dal Selec-Speed Control, comprensivo di Hill-ascent e Hill-descent Control.
L'architettura - Costruita sulla nota piattaforma Cusw di Fiat Chrysler Automobiles, la nuova Cherokee fa ampio uso di acciai altoresistenziali, che rappresentano il 65% dell'intera struttura e si affida all'architettura McPherson per quanto riguarda le sospensioni anteriori e a un multi-link per il posteriore. Lo sterzo è a servoassistenza elettrica.
La sicurezza attiva e passiva - Per quello che riguarda la sicurezza, la nuova Cherokee offre di serie sette airbag, Esc con controllo antiribaltamento e Abs. A richiesta ci sono ParkSense Park Assist, Forward Collision Warning Plus, Adaptive Cruise Control Plus, Lane Departure Warning Plus, Blind Spot Monitoring e Rear Cross Path Detection.
Il sistema di infotainment - A seconda dell'allestimento, l'infotainment di bordo prevede uno schermo da 3,5" o da 7" nel quadro strumenti. Di serie su Limited e Trailhawk, inoltre, c'è lo Uconnect di ultima generazione, con comandi vocali e al volante, e touch screen da 8,4" sulla console centrale, che può essere integrato a richiesta con il navigatore satellitare e l'impianto audio Alpine da 506 W con nove altoparlanti e subwoofer. Sulla "base" Longitude, si trova invece il più semplice Command Center con schermo da 5".
(Fonte: www.quattroruote.it - 5/2/2014)

martedì 11 febbraio 2014

FCA da record negli U.S.A.: 3 marchi fra i 5 che crescono di più


L’evento è piccolo ma significativo. Uno di quegli avvenimenti “numerici” che non capitano mai, ma quando capitano ti fanno capire di botto come cambia il mondo. Ma bando alle ciance e veniamo alla notizia: a gennaio fra i primi cinque marchi automobilistici che hanno registrato il maggior aumento delle vendite ce ne sono ben tre italiani o legati all’industria italiana attraverso Fiat Chrysler Automobiles. Il bello è che non stiamo parlando del mercato italiano (117.802 vetture vendute a gennaio) ma di quello americano (1.011.187). La classifica americana parla da sola. Maserati è al primo posto con una impennata delle vendite del 230% rispetto al gennaio 2013. Jeep è terza con una crescita del 38% e Fiat è quinta con un +29%. A suo modo, senza esagerare nel trionfalismo perché le cifre assolute sono relativamente piccole, si tratta di un bel battesimo del fuoco per il neonato gruppo FCA. Il cui dominio fra i “best sellers” U.S.A. del mese è inframmezzato dall’ottimo risultato della Lincoln (marchio premium di Ford) con un notevole +43% e dal +31% della prestigiosa Jaguar (società britannica controllata da alcuni anni dagli indiani di Tata). Va sottolineato che i numeri in gioco sono relativamente piccoli. Maserati cresce a tre cifre percentuali, è vero, ma a gennaio ha venduto “solo” 567 pezzi. L’impennata si spiega con le modestissime 167 vetture del Tridente distribuite a gennaio 2013, quando non erano ancora disponibili le nuove Quattroporte e Ghibli assemblate in quel di Grugliasco. Anche i numeri Fiat sono poca cosa rispetto alle dimensioni del mercato U.S.A.: circa 2.493 “500”, 10 in meno rispetto al gennaio 2013, e 700 “500L”. Queste vetture, italiane come passaporto ma costruite in Serbia, fanno la differenza e consentono al Lingotto di agguantare la quinta posizione fra i marchi più brillanti sul mercato U.S.A. . Diverso invece il discorso sulla Jeep che offre numeri di tutto rispetto. Il marchio icona dell’auto “Made in U.S.A.” ha piazzato ben 41.910 pezzi nel gennaio 2014 contro i 30.318 dello stesso mese di un anno fa. Merito soprattutto della nuova Cherokee (che a marzo sarà presentata a Ginevra nella versione europea) che per il terzo mese consecutivo ha superato quota 10.000 nelle vendite. Il boom Jeep è figlio anche di un effetto statistico: a gennaio 2013 furono vendute solo 2.000 Liberty, modello rimpiazzato dalla Cherokee. Jeep, infine, è stata trainata anche dalla spinta che sembra inarrestabile di Grand Cherokee (12.207 pezzi venduti) e Wrangler (9.553). Cifre che devono aver messo d’ottimo umore Sergio Marchionne, amministratore delegato di FCA, che recentemente a Detroit ha detto di voler anticipare al 2014 l’obiettivo di un milione di vendite mondiali per il marchio Jeep finora fissato per il 2015. L’anno scorso Jeep, pur crescendo, si è fermata a quota 732.000 vetture vendute contro le 701.000 del 2012. Ma l’anno scorso Jeep non ha potuto contare su Cherokee, se non da novembre, e non ha potuto contabilizzare neanche la nuova mini Jeep “Made in Italy” che dall’ormai imminente estate sarà fabbricata in Italia, nello stabilimento lucano di Melfi. Fonti sindacali indicano un obiettivo di produzione 2014 fissato fra le 30 e le 50 mila vetture. Le somme globali di Jeep si tireranno fra un anno ma per ora Marchionne – e anche chi ha a cuore il futuro dell’industria italiana – può già godersi la strepitosa classifica del mercato americano. Un risultato impensabile fino a poco tempo fa.
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 5/2/2014)

lunedì 10 febbraio 2014

Marchionne: «In U.S.A. ristrutturazione OK, salvaguarderemo l'integrità dei marchi»


Archiviata la 48esima edizione del Super Bowl, in cui ha mandato in onda tre spot, il gruppo Fiat Chrysler Automobiles si prepara a voltare pagina. La pubblicità dedicata alla nuova Chrysler 200 con protagonista la rock star Bob Dylan chiude infatti un cerchio iniziato con lo spot che nel 2011 aveva visto protagonista il rapper Eminem. Allora, ha spiegato il numero uno del gruppo automobilistico Sergio Marchionne ai microfoni della stazione radio WJR, il messaggio era il riflesso del processo di ricostruzione che era appena iniziato, quando l'America e il settore auto stavano tentando di risollevarsi dalla peggiore crisi dalla Grande Depressione degli anni '30. Lo spot di ieri è «la celebrazione del fatto che quella ricostruzione è completata» e «del lavoro fatto da uomini e donne in tutti i gruppi auto di Detroit, non sono il nostro». Dicendosi «incredibilmente orgoglioso di quanto abbiamo raggiunto», dei «chilometri di passi avanti fatti», il manager italo canadese ha dichiarato che ora «dobbiamo voltare pagina». L'obiettivo per il gruppo nato dalla fusione tra Fiat e la controllata Chrysler è «affrontare la sfida globale con cui tutti facciamo i conti» consapevoli del fatto che «la competizione è sempre più dura». E così il tema raccontato dal video con protagonista Eminem - il cui claim era «Imported from Detroit», importato da Detroit - giunge a «una conclusione naturale» con lo spot «America import» con Dylan. «Abbiamo spiegato in termini chiari che il settore auto americano è tornato» in salute. «Ora ci possiamo muovere in un mondo diverso, con un differente insieme di opportunità» all'orizzonte e forti dei risultati compiuti, ha continuato Marchionne, pronto a «sfruttare a livello internazionale quanto fatto per portare quanto di meglio possiamo fare in giro per il mondo». Consapevole del bagaglio che Fiat e Chrysler portano con sè nel diventare un unico gruppo - Fiat Chrysler Automobiles (FCA) - il numero uno Sergio Marchionne torna a ribadire che «le radici storiche», «le persone e i marchi che i due gruppi rappresentano» non devono essere intaccate. Dagli stessi microfoni, quelli della stazione radio WJR, da cui al Salone dell'auto di Detroit, in Michigan, aveva ricordato «il fenomenale bagaglio di esperienze» che Fiat, 115 anni, e Chrysler, 90 anni, portano con sè, il manager italo-canadese ha spiegato che la vera sfida «è mantenere Chrysler tanto americana quanto lo è sempre stata». Il rischio, anzi «la cosa peggiore che potremmo fare», è «diluire quell'eredità statunitense». Così come i marchi americani di FCA verranno preservati, così verrà fatto per quelli italiani, ha promesso Marchionne. Ricordando lo spot da 90 con protagonista la Maserati Ghibli andato in onda ieri durante il Super Bowl, Marchionne ha precisato che «il marchio Maserati è italiano quanto la pizza, è impossibile prelevare il carattere d'italianità di quel brand. Non lo vogliamo fare». Anche se FCA assume una portata sempre più internazionale, «dobbiamo ricordare chi siamo», ha continuato il manager dicendo che «non possiamo diluire la natura dei marchi» del gruppo. Essi «portano con sè una quantità fenomenale di storia, conoscenza ed esperienza e una natura peculiare dei veicoli stessi». Marchionne vuole essere certo che «ogni auto che produciamo sia fedele alla sua eredità». In questo contesto, il manager ha dichiarato che il Grand Cherokee e il Wrangler «continueranno ad essere costruiti esclusivamente negli Stati Uniti. Credo che essi rappresentino il meglio che di ciò che il marchio Jeep e la manifattura americana possano offrire». «Per noi è stato un mese fenomenale». Con queste parole l'amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, ha commentato i dati di vendita di gennaio del gruppo di Detroit, che ha messo a segno un +8% (migliore gennaio dal 2008) contro le stime degli analisti ferme a un +5,4%. Per il manager italo-canadese, le immatricolazioni di Chrysler sono state «migliori di quanto avessimo originariamente previsto». Marchionne è stato intervistato da Paul W. Smith nel corso di una trasmissione di WJR, stazione radio di Detroit, Michigan.
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 5/2/2014)

domenica 9 febbraio 2014

I commenti su FCA (2): la grande partita


La vecchia Fiat, quella che tutti abbiamo conosciuto, non c’è più. Era nata a Torino nel 1899. Quasi per gioco. Un gruppo di aristocratici si era innamorato di quello strano veicolo con quattro ruote, il volante e il motore e alla domenica organizzavano delle corse fra di loro. Poi si trovavano in piazza San Carlo e commentavano. Le auto venivano dalla Francia. Dopo cercarono di farsene una loro, fondando una prima casa automobilistica. Ma non ebbero successo. Alla fine, diedero vita alla Fiat e chiamarono Giovanni Agnelli, un ufficiale del Savoia Cavalleria, che però era interessato da tempo più alla tecnologia che ai cavalli. Agnelli, a differenza dei suoi amici aristocratici, si rende subito conto che l’auto non è un gioco o un divertimento. E’ l’inizio di un mondo nuovo. La Fiat è l’occasione della sua vita. Decide allora che deve liberarsi dei soci, più interessati a sfidarsi in sciocche gare domenicali che a produrre automobili. E li caccia via. Con metodi un po’ sbrigativi, tanto è vero che ci sarà un processo. Ma il fondatore vince e la Fiat è sua. Finalmente può fare quello che vuole, anche se il vero boom avverrà molti anni più tardi e non con lui. Giovanni Agnelli segna la strada. E scopre anche di essere non di destra, come molti pensano, ma un buon socialdemocratico. Il vecchio Agnelli aveva studiato l’esperienza di Ford ("I miei operai devono guadagnare tanto da potersi comprare le auto che producono") capendo che l’auto e Fiat avrebbero avuto futuro in una società in evoluzione. Il fascismo molto agricolo e guerresco, non gli piaceva. Lui era tutto tecnologia e modernità. La cosa era talmente clamorosa che il Duce lo fece redarguire dal prefetto di Torino perché si ostinava a trattare col sindacato di sinistra e non con quello fascista. Si difese dicendo che i fascisti non avevano iscritti e che lui aveva una fabbrica da mandare avanti. Ma dovette piegarsi. Come ultimo gesto di ribellione, personale e privata, quando arriva l’obbligo della camicia nera, dice alla moglie, Clara Boselli, prendine una bianca e tingila di nero, quando questa pagliacciata sarà finita, la faremo lavare. Poi arrivano le guerre e la lunga parentesi fascista e tutto si complica. Alla Liberazione, gli proibiscono di tornare a dirigere la fabbrica. E lui (morirà poco dopo, nel 1945) alla sera, insieme alla moglie, dalla collina di Torino, guarda la fabbrica. Fuori Agnelli, le redini passano al professor Vittorio Valletta, l’artefice del “miracolo” Fiat del dopoguerra. Uomo molto abile e molto spregiudicato. Sequestrato in fabbrica dagli operai in rivolta, al processo dirà: "Sequestrato? No. Insieme stavamo difendendo la fabbrica". Però sono anni difficili. La palazzina uffici dentro la grande fabbrica di Mirafiori è dotata di pesantissime porte d’acciaio, che si chiudono se c’è odore di contestazione. In quella palazzina gli Agnelli hanno sempre avuto un ufficio, anche se raramente ci sono andati. Valletta è il manager che a Roma si sente dire che l’Italia deve puntare più sull’artigianato che non sui grandi complessi industriali. Lui ascolta, pensa che quelli sono matti, torna a Torino e lancia le prime utilitarie. Aveva ragione lui. L’Italia si riempie quasi subito di 600 e di 500. Sul fronte degli azionisti Valletta non ama avere grane e quindi consiglia al giovane Gianni Agnelli di divertirsi: "Tanto qui ci sono io". E infatti la Fiat guadagna montagne di soldi, il giovane Agnelli scorrazza per l’Europa col suo jet (che ha il permesso di usare le rotte Nato), è considerato uno dei più ricchi del Vecchio Continente, colleziona fidanzate, vive gran parte dell’anno nella più bella villa della Costa Azzurra, fa spesso un salto in America, paese che lui considera la sua vera patria ("Pensa in inglese — dicono i suoi amici — e poi traduce in italiano"). Valletta, però, era anche un duro, durissimo. Ottenuta dall’America la commessa di costruire parte di un aereo, in un solo giorno licenzia tutti i dipendenti di quell’azienda, meno uno. È stato anche l’inventore dell’officina Osr, un capannone dentro il quale non c’era assolutamente niente: ci mandava i sindacalisti più duri. A metà degli anni Sessanta, però, l’infanzia deve finire e i due Agnelli, Gianni e Umberto, cercano di prendere in mano il timone della Fiat. Un’azienda gestita fino a quel momento da Valletta come una specie di vigna. Nell’ufficio contabilità potevano entrare solo lui o la sua segretaria. Ricordo ancora Umberto Agnelli, nel suo ufficio in corso Marconi, davanti all’organigramma dell’azienda: tanti quadratini, uno per ogni controllata, con righe che portavano a chi le controllava. Ma molte righe non portavano in nessuno posto: nessuno sapeva a chi diavolo rispondessero quelle aziende. "Per trasformare questo immenso pasticcio in un’azienda moderna — disse più tardi un collaboratore di Umberto — dovremo spargere molto sangue, tagliare molte teste". La stagione felice dei due Agnelli dura però pochissimo. Prima scoppia il ’68, poi c’è la crisi petrolifera. Di fronte alla prima Gianni e Umberto reagiscono male. Non sanno cosa sia un conflitto industriale e non hanno nessuno che sappia gestirlo. La crisi petrolifera, con le domeniche a piedi, crea altro scompiglio. Un cronista della “Gazzetta” di Torino sente dire che l’Avvocato Agnelli si è suicidato e, diligentemente, telefona in villa e l’Avvocato lo invita a prendere un caffè. Il cronista torna in città e dà la buona notizia: Agnelli è vivo, sta bene, e anche di ottimo umore, abbiamo parlato di sport tutto il pomeriggio. La Fiat, per fortuna, non accetta di lasciare l’auto. Ma naviga sempre in cattive acque e sta in piedi grazie all’appoggio di Mediobanca e di Cuccia (che a un certo punto manda Romiti). In questa lunga stagione disastrata l’Avvocato fa un solo colpo, ma decisivo: assume Vittorio Ghidella. Ghidella veniva dalla Riv-Skf e era considerato un genio degli stabilimenti. Infatti smonta Mirafiori come un Lego e rifà tutto nuovo. Inventa la Uno e rilancia la Fiat. A quel punto tutto sembra a posto. L’avvocato decide che, dopo di lui, Umberto sarà il presidente e Ghidella l’amministratore delegato: il futuro della Fiat è assicurato. Non sarà così. Una faida interna obbliga Umberto e Ghidella a andarsene. Ricordo che all’inizio degli anni Novanta incontro l’Avvocato e che mi sembra rassegnato alla fine di tutta l’avventura: «Il matrimonio di Fiat con Torino e la Fiat è durato cento anni. È una bella durata per un matrimonio». Poi le cose precipitano tutte insieme. Muore il giovane figlio di Umberto, che doveva essere l’erede designato. E nel 2003 muore anche l’Avvocato, probabilmente l’ultimo uomo del Rinascimento italiano. Nel giro di un anno muore anche Umberto. In azienda restano i “ragazzi”: gli Elkann, i figli del primo matrimonio di Margherita. E resta Susanna, probabilmente la persona più determinata e saggia della famiglia. Intanto, è arrivato come amministratore delegato Sergio Marchionne, che molti descrivono come uno dei 3-4 manager migliori d’Europa. Il primo colpo di Marchionne è ai danni della General Motors. La Fiat, qualche anno prima era stata venduta (in parte) alla casa americana, ma con l’obbligo (su richiesta Fiat) di comprare tutto il resto. L’azienda torinese va male e gli americani vogliono sfilarsi di corsa: Marchionne va in America e li lascia andare, dopo che gli hanno dato un miliardo e mezzo di dollari. Infine, il colpo di genio. Arriva la grande crisi e Marchionne (italo- canadese cresciuto in America) convince Obama a affidargli la Chrysler. All’inizio sembra una storia di pazzi: tutte e due le aziende vanno male. Ma poi Chrysler si riprende e si arriva alla fusione. A questo punto la vecchia Fiat dell’ufficiale del Savoia Cavalleria, che l’aveva sfilata agli aristocratici torinesi, non c’è davvero più. Al suo posto c’è un player internazionale dell’auto. Partita non facile, ma che partita!
(Fonte: http://qn.quotidiano.net - 30/1/2014)

sabato 8 febbraio 2014

I commenti su FCA (1): oltre la demagogia


Davvero la holding che cambia pelle e prende sede sociale in Olanda e sede fiscale in Gran Bretagna diventa nient’altro che un gruppo apolide? Scattano riflessi ideologicamente condizionati, si regolano vecchi e presunti conti, una parte della politica sceglie la via sicura della dichiarazione indignata e subito la nebbia fitta della demagogia avvolge ogni fatto. Nelle fabbriche americane del gruppo Chrysler, da Toledo in Ohio a Jefferson North in Michigan, là dove si guarda alla nuova società dall’altra parte dell’Atlantico, restano «proud to be American», come recitano i manifesti sui muri, e non si turbano – anzi – del fatto che l’italiana Fiat sia passata da una maggioranza relativa al 100% del gruppo, se questo significa il salvataggio da un passato impossibile e la promessa di un futuro migliore. Negli interminabili corridoi della sede Chrysler ad Auburn Hills – solo 7000 dipendenti nel 2009 quando il fallimento incombeva e più del doppio adesso – restano ovviamente la bandiera a stelle e strisce e il memoriale «per i nostri soldati», con l’elmetto e un paio di anfibi a simboleggiare il milite ignoto Usa. Sulle linee di produzione il pragmatismo ha la meglio sull’ideologia e lo si vede nella collaborazione quotidiana tra i manager e gli operai iscritti al sindacato Uaw. Del resto quanto può pesare il passaporto della proprietà se – come è successo a Toledo, nella casa della Jeep – i posti di lavoro passano da duemila a oltre quattromila nel giro di un anno? Non diverse dalle voci dall’America sono quelle che si sentono anche negli stabilimenti italiani del gruppo dove già vedono i primi effetti di un’integrazione che significa anche migliore e maggiore accesso a nuovi mercati. La Maserati di Grugliasco, di cui abbiamo raccontato anche ieri sul giornale, quando fu rilevata da Fiat nel 2009 era uno stabilimento abbandonato che sfornava solo – e non è un modo di dire – topi; adesso da qui escono berline di lusso che vanno soprattutto in Cina e negli Stati Uniti e chi ci lavora non pare temere un futuro comune con il resto del nuovo gruppo. Come è ovvio la scommessa – quella di azionisti e management prima di tutto – è che lo stesso effetto virtuoso si abbia anche con la rinascita del marchio Alfa Romeo destinato a occupare la fascia «premium» del mercato, con l’arricchimento della famiglia della 500, con la piccola Jeep che arriverà presto da Melfi, con il Suv della Maserati per il quale a Mirafiori sono già partiti investimenti per circa un miliardo. Ma pare davvero difficile vedere dietro questo progetto di una Fiat più forte, anche se policentrica, un’Italia e una Torino più deboli. E soprattutto si stenta a capire quale alternativa possa proporre chi, di fronte a una fusione internazionale che aspira a garantire il futuro del gruppo, grida alla «fuga» dell’azienda dall’Italia. Certo, anche in America qualcuno – lo ha fatto il blog di una celebre rivista di settore come Automotive News – si chiede se si possa ancora parlare di una Chrysler americana e se Detroit avrà ancora tutte quante le sue «Big Three» dell’auto ora che una di esse sposta il suo baricentro sociale verso l’Europa. Ma proprio questi dubbi, speculari a certi timori italiani che si sentono oggi, rivelano quel che è ovvio: ossia che in una grande fusione, progettata ed eseguita per essere competitivi su scala globale, ci sarà sempre chi si sente abbandonato e preferirà guardare indietro invece che avanti; si attaccherà a ciò che teme di perdere invece che a quello che spera di guadagnare. Non esattamente una ricetta per il successo in una fase storica in cui non solo le aziende, ma anche i Paesi, competono tra di loro in cerca di capitali – quelli sì – sempre più mobili.
(Fonte: www.lastampa.it - 31/1/2014)

venerdì 7 febbraio 2014

FCA e l'Italia: la critica di Luciano Gallino


Il piano di Marchionne, per Luciano Gallino, sociologo ed esperto di processi economici e del lavoro, «è possibile che funzioni». Ma funzionerà «solo per la Fiat», semmai, mentre a noi dovrebbero interessarci «i posti di lavoro che questa ha ancora in Italia». Il governo ha delle responsabilità, per Gallino, perché «assiste senza muovere un dito allo smantellamento dell’industria automobilistica». In Germania, invece, «hanno un formidabile e interventista ministero dell’economia e un sistema bancario attento all’industria e non alla speculazione».
Gallino ora è ufficiale, la Fiat se ne va. Società olandese e sede nel Regno Unito. Era inevitabile?
«Sì, ma solo perché dipende dalle priorità che un’azienda si dà o che le sono imposte dal governo. Ed è chiaro che, in questo caso, il governo italiano non ha minimamente influito sulla Fiat e che questa ora va quindi dove le pare, dove le conviene di più: ha scelto queste priorità. Va dove si pagano meno imposte, dove trova meno leggi, dove può costruire al miglior prezzo. Il governo italiano da dieci anni e più assiste senza muovere un dito allo smantellamento dell’indisutria automobilistica».
Chiamparino e Fassino, entrambi, hanno detto che non conta la sede legale, né conta quella fiscale, ma conta solo la produzione. E’ veramente così?
«Sbagliano, i due, e l’Electrolux dovrebbe dirgli qualcosa. Fintanto che le cose vanno bene la sede di un’azienda può non essere importante, se l’impresa trova vantaggio a produrre in uno stabilimento all’estero la sede può essere indifferente. Ma nel momento in cui le cose si complicano, come in questo momento, la nazionalità è molto importante, perché una corporation non chiude normalmente gli stabilimenti vicini alla casa madre ma comincia da quelli più periferici».
Anche il premier Letta ha però detto «oggi la Fiat è un attore globale e la questione della sede legale è secondaria». Cosa cambia per un governo tra il trattare con un’azienda italiana e farlo con una con sede estera?
«Cambia moltissimo, evidentemente. Ma per il governo italiano non c’è alcuna differenza, ma solo perché non ha mai trattato nulla con la Fiat. Non vedo questo tipo di preoccupazione in Letta, né capisco perché dovrebbe muoversi oggi per condizionare le scelte di Marchionne, quando non l’ha fatto finora. Quello che dicono le cifre è chiaro: la Fiat produceva in Italia, nel 2003, più di un milione di macchine l’anno, l’anno scorso sono state circa 370 mila. Marchionne ora ha promesso il rilancio e forse la cifra un po’ salirà ma tra i marchi storici internazionali, Fiat è l’unico che ha ridotto così tanto nel suo paese d’origine».
Cosa avrebbe potuto fare il governo?
«Avrebbe potuto fare qualcosa che somigliasse ad una politica industriale, come fanno tutti gli altri paesi. Se in Germania c’è ancora un’industria non è solo perché gli ingegneri sono bravi e gli operai volenterosi, no. E’ soprattutto perché hanno un formidabile e interventista ministero dell’economia e un sistema bancario attento all’industria e non alla speculazione. Negli Stati Uniti l’industria dell’auto era fallita, ed è stata slavata e rilanciata dal governo».
Tanto nella vicenda Fiat quando nella vicenda Electrolux, parte delle colpe vengono date alle relazioni sindacali, giudicate «novecentesche»
«E’ un pretesto abbastanza banale e molto datato, fermo alla retorica della Thatcher. In Italia le imprese hanno potuto fare tutto ciò che volevano, negli ultimi anni, a cominciare dalla Fiat che ha chiuso Termini Imerese e ha fatto l’accordo di Pomigliano, su cui non mi pare ci siano state chissà quali resistenze sindacali».
Magari a danno dell’Italia, ma per la nuova Fiat Chrysler Automobile funzionerà il piano di Marchionne?
«E’ possibile che funzioni, perché la Chrysler è pur sempre il terzo produttore americano e la Fiat in Turchia, Polonia e Brasile ha stabilimenti importanti, capaci di produrre molto, come ha riconosciuto oggi Marchionne. Il punto però non dovrebbe interessarci più di tanto. Noi non dovremmo preoccuparci del futuro della Fiat ma specificatamente dei posti di lavoro che questa ha ancora in Italia. Non è più l’impresa che era un tempo, è vero, ma ci sono ancora 25 mila lavoratori, impiegati in Fiat, e la loro forza lavoro è satura al meno del 30 per cento. C’è già così un 70 per cento di forza lavoro da recuperare, e solo per tener fermo quel numero. Il piano di Marchionne difficilmente può riuscirci: partiamo da una situazione in cui a Torino, ad oggi, lavorano 3 giorni al mese».
(Fonte: http://espresso.repubblica.it - 29/1/2014)

giovedì 6 febbraio 2014

Maserati: a Modena arrivano i "rinforzi"


Ormai è ufficiale: non FIAD (Fabbrica Italiana Automobili Detroit) come qualcuno aveva ironicamente ipotizzato, ma FCA, Fiat Chrysler Automobiles. Il gruppo converge sempre più verso gli Stati Uniti, ma non solo. FCA, infatti, è il nuovo gruppo nato dall'unione della casa torinese e la Chrysler di Detroit. E le novità non finiscono qui, perché la sede sarà in Olanda, quella fiscale a Londra (la cui tassazione sui dividendi è più vantaggiosa) e la quotazione a New York. Una piccola rivoluzione, per quanto annunciata. In attesa di capire se e cosa cambierà, a Modena qualche novità emerge, in particolare per lo stabilimento Maserati di Viale Ciro Menotti, dove si prevede l'aumento dei volumi produttivi e anche l'arrivo di un centinaio di lavoratori da Melfi, Torino e Cassino. «Non importa dove sia la sede, ma che vengano mantenute le attività produttive in Italia – è il commento di Claudio Mattiello, segretario provinciale della Fim/Cisl di Modena – La nuova società crediamo porti opportunità di sviluppo e ripresa per la realtà italiane, perché se Fiat non avesse fatto operazioni internazionali sarebbe stata condannata al declino. Quello che chiediamo è la conferma dei nuovi modelli annunciati». I nuovi modelli di vetture sono il punto cruciale, anche per Modena. Nel piano proposto da Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo, si prevedono entro il 2016 quattro nuovi modelli Maserati e altri sette modelli Alfa Romeo. «Questo – prosegue Mattiello – ci tranquillizza ancora di più riguardo il mantenimento produttivo e occupazionale su Modena». Nello stabilimento di Viale Ciro Menotti, infatti, oggi vengono prodotte le Maserati Gran Cabrio e Gran Turismo e l'Alfa 4C. E l'incontro avvenuto lo scorso 17 gennaio tra la dirigenza aziendale e i sindacati lascia ben sperare. «L'azienda – spiega Mattiello – ha prospettato un piano di lavoro che passa da un turno giornaliero di otto ore alla turnazione su due turni di 7 ore e mezza, pagate otto. Questo è per noi un aspetto positivo, perché il motivo di questo cambio è dovuto al fatto che aumenteranno i volumi della Alfa 4C e anche una macchina al giorno per quanto riguarda Maserati». E le novità non finiscono qui. Nel primo semestre di quest'anno è previsto l'arrivo di un centinaio di lavoratori in cassa integrazione degli stabilimenti Fiat di Melfi, Cassino e Torino, proprio per fare fronte a questo aumento dei volumi produttivi.
(Fonte: http://gazzettadimodena.gelocal.it - 31/1/2014)

mercoledì 5 febbraio 2014

Termini Imerese: nuove speranze da FCA?


Palazzo Chigi interverrà sulla vicenda della Fiat di Termini Imerese. Lo ha assicurato al sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Filippo Patroni Griffi. Lo ha comunicato lo stesso primo cittadino del capoluogo siciliano, nonché neo presidente dell’ANCI Sicilia: «La vertenza Fiat di Termini Imerese e del suo indotto – ha detto Orlando – non è una questione periferica ma è da considerarsi una vertenza nazionale. Per questo, esprimo anche il mio apprezzamento per la sensibilità mostrata sul tema dal Ministro Zanonato a conferma che ermini Imerese è un sito a vocazione industriale assolutamente importante e strategico per l’intero settore». Solidarietà anche da parte di Rifondazione Comunista: «Le ragioni del sindacato e dei lavoratori – affermano Antonio Marotta, Franco Ingrillì e Frank Ferlisi, rispettivamente segretario regionale, segretario provinciale e responsabile lavoro – sono completamente condivisibili: il problema è nazionale e se ne deve occupare direttamente e in prima persona il Presidente del Consiglio Letta; la cassa integrazione deve essere erogata per dodici mesi e non per sei e, se necessario, anticipata dalla Fiat; il sito dell’azienda non va lottizzato, ma assegnata a un’impresa che intende svolgere attività industriali; la riassunzione di tutti i lavoratori dello stabilimento Fiat e dell’indotto; la ricerca di un’impresa che intende rilevare lo stabilimento non può avere tempi biblici». Rifondazione comunista aggiunge, inoltre, che «un ‘intera comunità e il suo territorio non possono essere abbandonati e quindi, ove nessun privato manifestasse un interesse vero per assumere l’azienda, l’unica alternativa che resta è l’intervento pubblico. Il Governo – proseguono i tre esponenti politici- imponga alla Fiat di rimettere in funzione lo stabilimento con una missione industriale credibile o, in alternativa a Finmeccanica di rilevare gli stabilimenti di Termini Imerese e di Avellino (Iribus). Come ha ben detto la rappresentante dei lavoratori dello stabilimento campano nell’assemblea tenuta nell’aula consiliare di Termini Imerese in un’affollata assemblea dei lavoratori lo scorso 30 gennaio, non si possono impunemente abbandonare intere comunità al proprio destino in territori dove l’unica alternativa sarebbe mettersi al servizio delle mafie e delle camorre».
(Fonte: www.cronopolitica.it - 1/2/2014)