lunedì 19 aprile 2010

Ecco i Marchionne-boys alla conquista dell'America


L’aveva già fatto alla Fiat e poi alla Case New Holland, la controllata americana che produce trattori e mezzi per il movimento terra. E lo sta attuando con una cura ancora più energica alla Chrysler, per dimostrare di meritare quella definizione di «nuovo principe di Detroit» che gli ha attribuito il Financial Times. Sergio Marchionne sta applicando un metodo che si basa sulla riorganizzazione della squadra e contemporaneamente sugli interventi sul prodotto, per arrivare rapidamente agli obiettivi fissati ed essere realmente competitivi. Non a caso, in un recente incontro svoltosi a New York, l’amministratore delegato del gruppo Fiat ha ribadito che, per fare in modo che un’azienda come la Chrysler possa sopravvivere a tempi duri e turbolenti, «occorre adottare un’idea di cambiamento costante e creativo». E per sottolineare l’importanza di mettere rapidamente in campo tutte le risorse disponibili Marchionne ha citato i versi di uno dei brani del suo cantante preferito, Bruce Springsteen, che in Thunder Road recita: «We got one last chance to make it real». L’ultima occasione di trasformare e risanare la Chrysler è dunque nelle mani della «band» creata da Marchionne, un gruppo di manager di primo e secondo livello molto preparati e soprattutto molto motivati, che il top manager ha fatto debuttare spesso senza prove (lo dimostra la rotazione che c’è stata dopo la presentazione del primo piano di salvataggio) e che ha finito per rodare e mettere a punto negli spostamenti tra un’«esibizione» e l’altra. Solisti, ottime spalle, voci nuove e talenti collaudati che si sono trovati probabilmente a gestire un tipo di operatività a cui nessuno (o quasi) a Torino era abituato; e che ha sicuramente proiettato il gruppo Fiat in una vera dimensione internazionale del management prima ancora di esserlo a livello competitivo sul piano industriale e commerciale. Le lentezze nell’integrazione delle culture, la necessità di armonizzare le piattaforme di lavoro, le comprensibili gelosie tra reparti di aziende diverse non solo geograficamente, lo smantellamento di rapporti privilegiati con i fornitori del posto e, non ultima, la difficoltà di dialogare con le amministrazioni locali e i sindacati sono stati problemi spesso insormontabili, quando due grandi case automobilistiche si sono unite (lo sa bene la Daimler dopo la disastrosa unione proprio con la Chrysler). Marchionne ha privilegiato, nella scelta della sua squadra, la ricerca di capacità di gestione di queste tematiche, meglio se con budget ridotti all’essenziale. Siamo lontani anni luce da quella Fiat che privilegiava e favoriva lo sviluppo solo al proprio interno, in ambito esclusivamente torinese. Agli antipodi rispetto a una situazione che vide un alto dirigente esaltare la bellezza di «sentir parlare piemontese» in una fabbrica appena costruita in India, il cui direttore non sapeva però una parola d’inglese. Collocando idealmente su una mappa del mondo le bandierine della nazionalità di donne e uomini di questa squadra, della loro formazione universitaria e post-universitaria e delle loro precedenti esperienze di lavoro, si scopre che la Fiat odierna è davvero globale. E questo aspetto è uno dei più promettenti non solo per il salvataggio della Chrysler ma anche per la crescita del gruppo nei prossimi anni.
Il vicepresidente esecutivo e chief technology officer Harald Wester, per esempio, è nato in Germania 52 anni fa e ha iniziato la sua carriera alla Volkswagen, per passare poi all’Audi (sua la gestione del progetto A2, un modello rivoluzionario) e approdare infine alla Ferrari. Wester, che è in Fiat dal 2004, si divide fra Torino e Auburn Hills come responsabile di tutta la struttura tecnica del gruppo. È anche amministratore delegato di Alfa Romeo, Maserati e Abarth. Lo si trova spesso a Belo Horizonte, nello stato brasiliano di Betim, in quanto il centro di ricerca e sviluppo della Fiat Automoveis sta assumendo un ruolo più importante nel processo di delocalizzazione della progettazione e della costruzione dei prototipi. Nel programma di collaborazione Fiat-Chrysler, Wester sta gestendo la progettazione in comune dei nuovi modelli e sta coordinando l’aggiornamento di quelli esistenti (per esempio la Fiat 500) alle norme tecniche sulla sicurezza e sulle emissioni negli Stati Uniti.
Nome tedesco ma origine brasiliana per Stefan Ketter, che è stato chiamato da Marchionne a guidare l’area manufacturing in sostituzione di Antonio Bene. Da Ketter, che alcuni quotidiani americani hanno definito il «manufacturing czar» per ciò che ha già fatto per aumentare produttività e qualità negli stabilimenti della Chrysler, dipendono dunque tutte le scelte sulla fabbricazione delle piattaforme, compresa quella di localizzare la produzione, all’interno dello stesso paese, in uno stabilimento rispetto a un altro, oppure di scegliere per i nuovi progetti una nazione rispetto a un’altra. Pure Ketter vanta un’esperienza nel gruppo Volkswagen. Dopo un primo periodo alla Bmw è stato quality and engineering director in Brasile e poi negli U.S.A. alla Volkswagen of America. Ha 51 anni e si è laureato in ingegneria meccanica a Monaco.
A fianco di Alfredo Altavilla, l’amministratore delegato della Fiat Powertrain Technologies, che è stato con Marchionne uno degli artefici dell’accordo con il governo Obama per il salvataggio della Chrysler, un altro manager proveniente dalla Fiat Powertrain si sta distinguendo in questo momento all’interno dell’alleanza Fiat-Chrysler, è Daniele Chiari, recentemente chiamato alla Fiat per ricoprire la carica di vicepresident con il compito di sovrintendere alle pianificazioni congiunte di auto e motori. Chiari sta realizzando i progetti di adeguamento delle gamme motori Chrysler alle tecnologie Fiat (compreso il MultiAir) e parallelamente sta programmando l’utilizzazione per i modelli Fiat, Alfa e Lancia dei propulsori di origine U.S.A., come i V6 della gamma Pentastar.
Il lavoro di Ketter e di Chiari coinvolge, oggi più che mai, le attività di Gianni Coda, amministratore delegato Fiat Group Purchasing, con la gravosa responsabilità degli acquisti per tutte le aziende dell’alleanza. Coda gode della fiducia di Marchionne in una posizione molto delicata, anche perché la Fiat ai fornitori ha demandato negli ultimi anni molte responsabilità nella progettazione dei sottosistemi e il mantenimento degli standard di qualità. Coda è laureato in ingegneria meccanica ed è uno dei più anziani dal punto di vista aziendale, essendo in Fiat dal 1979. Il suo compito, relativamente alla Chrysler, è migliorare il settore acquisti attraverso l’attivazione delle massime sinergie assieme alla Fiat.
Un nome relativamente nuovo nella squadra di Marchionne è quello di Silvia Vernetti, laureata nel 1988 in informatica all’Universitat Politécnica de Catalunya a Barcellona, che ha assunto la responsabilità del business development e che dovrà estendere il suo orizzonte certamente oltre il Michigan. Durante il negoziato con la task force di Barack Obama, i rappresentanti della Chrysler e i creditori, era stata proprio Silvia Vernetti, assieme all’avvocato Roberto Russo (general counsel Fiat S.p.A., membro del group executive council), a Giorgio Fossati (responsabile general affairs ed esperto di proprietà industriale) e a Massimiliano Chiara (senior manager del team di financial risk management della Pricewaterhouse Coopers), ad affrontare nell’arco di soli 30 giorni un interminabile elenco di problemi. E ora a Vernetti potrebbe toccare il compito, stimolante ma al tempo stesso molto complesso, di gestire i nuovi contratti con i partner locali, con le altre aziende che già collaborano (Tata, Ford, Suzuki) e quelle che certamente arriveranno.
Le attività internazionali dell’alleanza Fiat-Chrysler sono già una delle aree in cui è impegnato un altro degli «oriundi» della squadra di Marchionne, Cledorvino Belini, attualmente responsabile delle attività in Brasile e nel resto del Sud America. Nato in Brasile, Belini è un elemento decisivo nei programmi di sviluppo Fiat, anche in funzione delle sue notevoli capacità manageriali. In Brasile dipendono infatti da lui i 12 mila occupati Fiat dello stabilimento Fiasa di Betim, i 1.300 dell’Iveco, i 3.300 della Case New Holland, i 2.700 della Ftp, i 6.800 della Magneti Marelli, i 2.800 della Teksid e i 6.100 della Comau.
Altra voce solista nella formazione che servirà a realizzare i piani Chrysler e Fiat è quella di Laura Soave, nuovo responsabile per il Nord America del marchio Fiat. Laureata alla Detroit Mercy, l’università cattolica gesuita del Michigan, Soave proviene da importanti esperienze nell’ambito della Ford e della Volkswagen of America e avrà, già dai prossimi mesi, l’incarico di gestire il ritorno del marchio Fiat attraverso la Cinquecento (sarà scritto così e non in cifre) negli U.S.A., in Canada e in Messico. Compito non semplice, anche perché di fatto questo sarà il primo modello della gestione Marchionne che gli americani potranno acquistare.
Altro manager Chrysler sotto pressione in questo momento è Fred Diaz, capo della nuova divisione Ram che è stata dedicata ai pick-up (fra i modelli Chrysler più apprezzati negli U.S.A.) e alla futura gamma di veicoli commerciali, che saranno costruiti su base Fiat Ducato e Iveco Daily.
Compito gravoso spetta a Mauro Pino, prelevato in Sicilia e trasferito a Toledo, nello stato dell’Ohio. Pino era il responsabile dello stabilimento di Termini Imerese e, forse per una sua precedente esperienza negli U.S.A., è stato scelto per dirigere le due linee di fabbricazione Jeep. Gli incarichi di Pino includono da subito l’incremento della produttività in questi stabilimenti. Ma a lungo termine, visti i programmi per produrre le fuoristrada americane in Russia e in altri mercati dell’area Bric, Cina compresa, potrebbero comportare anche il taglio di forza lavoro.
(Fonte: www.panorama.it - 19/4/2010)

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