sabato 22 giugno 2013

Fiat-Chrysler (1): i pro e contro per l’Italia


L’ultima mossa preparatoria in ordine di tempo dovrebbe essere quella di ricontrattare, con un pool di nove banche americane ed europee (per l’Italia ci sono Unicredit, Intesa e Mediabanca ma potrebbe aggiungersi anche Mps) una linea di credito di 1,9 miliardi di euro (2,6 miliardi di dollari). L’accordo potrebbe essere raggiunto entro fine mese e, secondo le indiscrezioni, potrebbe consentire a Marchionne di sbloccare il divieto che oggi impedisce a Chrysler di pagare dividendi. Se così fosse, Fiat, in quanto azionista di Detroit, otterrebbe nuova liquidità da utilizzare nell’acquisto del 41,5 per cento di azioni ancora in mano al fondo Veba. Ma il dividendo Chrysler potrebbe avere contemporaneamente un effetto sfavorevole a Torino perché consentirebbe anche a Veba di incamerare liquidità e dunque aumentare la sua autonomia nella trattativa con Fiat. Si sa che l’obiettivo principale del fondo è realizzare il massimo dalla vendita del pacchetto per poter finanziare l’assistenza medica e assicurativa dei pensionati di Chrysler. Il fattore tempo gioca dunque a favore di Marchionne mentre è plausibile che il fondo intenda chiudere la trattativa il prima possibile. Il secondo segnale delle ultime settimane è l’annuncio di Exor di cedere una partecipazione storica come la quota in Sgs. Partecipazione alla quale Torino era particolarmente legata perché di Sgs Marchionne continua ad essere presidente. Con l’operazione gli Agnelli hanno incamerato due miliardi di euro in preparazione di un’eventuale aumento di capitale Fiat anche se ufficialmente la finanziaria degli Agnelli ha smentito che la provvista sia legata alla vicenda americana. Ora il Lingotto ha di fronte a sé diversi scenari. Molto dipenderà da quando e come Torino conquisterà la totalità delle azioni Chrysler. Se attendendo il pronunciamento del Tribunale del Delaware sul valore delle azioni, che arriverà plausibilmente entro il 25 luglio. Oppure grazie a un accordo extragiudiziale con il fondo Veba. Di quell’accordo potrebbe far parte anche il pagamento del dividendo Chrysler che la ricontrattazione del debito con le banche potrebbe consentire. Se Marchionne arriverà così a ottenere il 100 per cento di Chrysler, si passerà successivamente alla creazione di una holding americana da quotare a New York in cui far confluire le attività di Fiat e Chrysler. Ma se l’accordo con Veba non si trovasse, i tempi si allungherebbero perché per comperare il 41,5 per cento di Detroit sarebbe necessario attendere la quotazione del titolo in Borsa, «operazione che non potrà essere fatta prima del quarto trimestre di quest’anno», ha dichiarato l’ad di Torino. Qualsiasi scenario si realizzi, è piuttosto probabile che entro fine anno la Fiat di oggi confluisca in una grande società con sede in America. Sarà un vantaggio o uno svantaggio? Sarà quasi certamente un vantaggio per gli azionisti. Le banche di tutto il mondo concedono crediti a tassi più favorevoli a una società U.S.A. di quanto non avvenga, a parità di fondamentali, per una società italiana, soprattutto oggi. Differenze significative, come passare dal 3 al 7 per cento. E certamente la possibilità di essere quotati in una Borsa come Wall Street con una capitalizzazione quaranta volte superiore a quella di Milano, è un gran vantaggio per chi è in cerca di investitori. Quali conseguenze invece per gli insediamenti italiani? Secondo il progetto di Marchionne, la fusione dovrebbe servire a garantire lavoro alle fabbriche della Penisola anche se dovesse continuare l’attuale profonda crisi del mercato europeo. Con la fusione il Lingotto potrebbe trovare in America i soldi necessari per investire negli stabilimenti italiani facendoli produrre per tutti i mercati e non solo per quello asfittico del vecchio continente. Il primo esperimento è in corso da qualche mese alla Maserati di Grugliasco, vicino a Torino, dove si producono Quattroporte e Ghibli, due modelli di lusso destinati ad essere venduti in tutto il mondo. Un esperimento che dovrebbe servire a capire se lo stesso metodo può essere utilizzato, su scala più larga, anche a Mirafiori. In sostanza l’Italia potrebbe perdere una parte del suo ruolo strategico nelle decisioni che riguardano la Fiat (anche se rimarrebbe a Torino la sede delle attività europee del nuovo gruppo) scambiando la perdita del quartier generale e della sede legale con la possibilità di mantenere gli attuali livelli occupazionali. I tempi del merger stringono. Perché per far riuscire l’operazione è necessario sfruttare al massimo l’attuale congiuntura favorevole del mercato americano. Un rallentamento delle vendite e degli utili di Chrysler renderebbe tutto molto più difficile. Ecco perché questa estate sarà probabilmente quella decisiva.
(Fonte: www.repubblica.it - 17/6/2013)

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