domenica 23 giugno 2013

Fiat-Chrysler (2): parole chiave della fusione


Invaderanno gli articoli di giornale e i lanci di agenzia. Sono le parole chiave della fusione prossima ventura tra Fiat e Chrysler. Ecco un breve vocabolario per interpretare quella che si annuncia come la più significativa operazione finanziaria nella storia recente dell’industria manifatturiera italiana.
CALENDARIO - Il tempo è il fattore decisivo fin dalla nascita dell’alleanza nel 2009. Il voluminoso contratto che porta la firma delle due società, delle amministrazioni americana e canadese e dei sindacati dell’auto nel Nordamerica, prevede precise scadenze. Nel giugno 2009, due mesi dopo l’accordo, Fiat ottiene il primo pacchetto del 20 per cento di Chrysler cui ne seguiranno altri tre del valore del 5 per cento ciascuno legati al trasferimento di tecnologie ecologiche (come l’adozione di motori a basso consumo) o al raggiungimento di obiettivi di mercato e fatturato. Tutti i pacchetti di azioni legati al trasferimento tecnologico sono stati ottenuti da Fiat tra il gennaio 2011 e il gennaio 2012. Nel 2011 Fiat ha anche rilevato la quota del 7,5 per cento di azioni in mano ai governi di U.S.A. e Canada e ha acquistato, esercitando un’opzione call, un ulteriore 16 per cento di quota. Oggi Fiat ha il 58,5 per cento di Chrysler e il fondo Veba il rimanente 41,5. Secondo l’accordo del 2009 Fiat può acquistare da Veba pacchetti di azioni del 3,3 per cento al ritmo di uno ogni sei mesi fino a raggiungere, nel 2016, un ulteriore 16,6 per cento
CHRYSLER - La più piccola delle tre sorelle di Detroit ha rischiato seriamente di scomparire alla fine del 2008, come GM. «Siamo sull’orlo dell’abisso» dichiara a novembre l’ad di GM Richard Wagoneer chiedendo prestiti ponte per le industrie dell’auto all’amministrazione Bush ormai al termine del mandato. Il presidente repubblicano li concede il 19 dicembre. A Chrysler vanno 4 miliardi, l’ossigeno necessario per arrivare a marzo. Nel frattempo si cerca una soluzione: l’alleanza con la Fiat di Marchionne. Il turnaround è notevole. L’azienda di Auburn Hills, che aveva dovuto licenziare decine di migliaia di dipendenti nel 2007 e 2008, riapre le fabbriche a partire dal 2010 e oggi rappresenta la parte sana del bilancio Fiat: nel 2012 ha realizzato un utile di 2,7 miliardi di euro contro un utile di 700 milioni del gruppo Fiat (America latina e polo del lusso compresi). In Europa Fiat ha invece perso 700 milioni.
DELAWARE - La Chancery Court di Wilmington, presieduta dal giudice Donald Parsons, deve dirimere il contenzioso tra Fiat e Veba sul valore delle azioni Chrysler. Deve farlo dando l’interpretazione esatta dei parametri fissati nell’accordo del 2009. A Wilmington hanno sede molte società U.S.A., tra le quali anche Chrysler, grazie al regime fiscale di favore praticato dallo stato del Delaware. Il 25 marzo scorso Parsons ha annunciato che intende studiare la questione in modo approfondito avvalendosi anche del parere di consulenti. La sentenza è prevista per il 25 luglio.
FIAT - Anni decisivi per la Fabbrica Italiana Automobili Torino. Superato il secolo di vita nel 1999, è incappata all’inizio del 2000 nella crisi più grave della sua storia. La svolta nel 2004 con l’arrivo di Marchionne nel ruolo di amministratore delegato. Ora la discussione è su che cosa rimarrà dopo il merger con Chrysler. «Dovete scordarvi della vecchia mamma Fiat, oggi siamo un’impresa globale », ha detto l’ad nei giorni scorsi. Dal gennaio 2011 la vecchia Fiat si è divisa in due: le attività non auto sono confluite in Industrial recentemente fusa con Cnh. Cnh-Industrial avrà sede in Olanda e quotazione principale a Wall Street. Molti immaginano che così accadrà anche per Fiat-Chrysler.
FUSIONE - Perché fondere? «Perché conviene», è la risposta del Lingotto. La fusione tra Fiat e Chrysler non è obbligatoria. Se Marchionne riuscisse a conquistare il 100 per cento delle azioni di Auburn Hills potrebbe tenere la casa di Detroit nel bilancio del gruppo come una controllata ma non sarebbe una mossa che il mondo finanziario americano accetterebbe con gioia. Con la fusione invece, e la creazione di una holding Usa di controllo, la disponibilità delle banche d’oltre Atlantico a finanziarie il nuovo gruppo salirebbe di molto. Uno degli interrogativi della fusione riguarda il nome della futura società. Difficile che Marchionne accetti lo schiaffo di lasciare Chrysler ed escludere Fiat. Più probabile la ricerca di un acronimo che accontenti le diplomazie delle due sponde dell’oceano.
IPO - Minaccia e opportunità, l’Ipo è uno dei nodi da sciogliere nella fusione. La questione non è naturalmente se andare in Borsa ma quando andarci. Creare la holding e portare a Wall Street la nuova società o andare in Borsa e lì realizzare l’acquisto delle quote ancora in mano al Veba? Marchionne propende ovviamente per la prima soluzione mentre il fondo pensioni del sindacato preferirebbe la seconda per incamerare una parte del prevedibile aumento di valore che il titolo Chrysler avrebbe rispetto ad oggi. Il Veba ha anzi minacciato di voler portare in Borsa il suo 41,5 per cento e ha dato il via alle pratiche burocratiche per arrivarci. Ma in Fiat ritengono che si tratti una mossa tattica per tirare sul prezzo e realizzare comunque la vendita prima di arrivare a Wall Street.
MARCHIONNE - Sergio Marchionne è evidentemente il perno dell’intera operazione. Senza di lui sarebbe stato impossibile arrivarci ed è anche impensabile che, almeno nei primi anni, Fiat-Chrysler possa consolidarsi senza il manager italiano più apprezzato negli U.S.A. . Anche per questo non stupisce il recente annuncio di John Elkann: «Ho parlato con Marchionne, resterà con noi ancora a lungo». In ogni caso pare chiaro che l’obiettivo dell’ad è quello di arrivare alla fusione entro il 1° giugno 2014, a dieci anni esatti dal suo insediamento al vertice operativo del Lingotto.
MERCATI - Sono, indirettamente, il fattore decisivo per decidere i caratteri della fusione. Se, alla fine, la nuova società avrà il suo baricentro in U.S.A. è anche perché in questi anni il mercato del Nordamerica si è rapidamente ripreso dalla crisi del 2009 e torna ad incrementare vendite e utili. Nel frattempo in Europa il crollo delle vendite è stato drammatico. Nel 2012 le consegne del gruppo nel Vecchio continente sono scese del 14 per cento mentre nell’area Nafta sono salite dell’11. «La ripresa del mercato europeo - ha detto recentemente Marchionne - non arriverà prima di tre-quattro anni». Europa e America Latina insieme (in sostanza il gruppo Fiat senza Chrysler) consegnano circa 2 milioni di pezzi, centomila in meno del solo Nordamerica.
QUARTIER GENERALE - Non è una questione di forma, ma di sostanza. Non c’entrano l’orgoglio nazionale, la storia, le radici. Conta il business. Non esiste alcun gruppo al mondo che non abbia un quartier generale in cui si prendono le decisioni strategiche. Così come non esistono giornali senza la prima pagina. Se cercate un facile guadagno scommettete sul fatto che il quartier generale del nuovo gruppo rimarrà in Italia: i bookmaker vi pagheranno molte volte la posta. Per quartier generale non si intende né la sede legale (Fiat Auto l’ha già avuta per un certo periodo in Olanda senza apprezzabili conseguenze sulle scelte strategiche) né il domicilio fiscale (la scelta di Chrysler di portarlo in Delaware non ha provocato rivolte a Detroit). Si intende invece il luogo in cui si coordinano le diverse strategie regionali del gruppo, la stanza dei bottoni in cui si compiono le scelte decisive. Essere a migliaia di chilometri dal quartier generale può avere conseguenze negative nel medio periodo: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. La riprova? Provate ad annunciare a Detroit che il quartier generale della nuova società sarà al Lingotto.
VEBA - Il Voluntary Employee Beneficiary Association è un trust che si occupa dell’assistenza sanitaria e pensionistica degli ex dipendenti di Chrysler. In origine Veba era un fondo unico che si occupava dell’assistenza degli ex dipendenti di tutte e tre le case di Detroit. Ma dopo il fallimento pilotato di Chrysler e GM nel 2009, i fondi Veba sono diventati tre, ciascuno con una sua gestione autonoma. Questo per tutelare gli ex dipendenti Ford che, a differenza dei colleghi delle altre case, non erano sull’orlo del fallimento. Il Veba di Chrysler ha rilevato il 67,7 per cento delle azioni Chrysler dopo il fallimento, cedendole gradualmente a Fiat nel corso del tempo. La scommessa di Veba è che, risanata la società, quelle azioni tornassero ad acquistare valore e potessero essere trasformate in denaro per pagare l’assistenza medica dei pensionati. Obiettivo di Veba è dunque quello di uscire dal capitale di Chrysler al più alto prezzo possibile.
WALL STREET - La borsa di Milano capitalizza circa 400 miliardi di euro. Wall Street capitalizza circa 14.000 miliardi di euro (18.000 miliardi di dollari). Potendo scegliere, dove quotereste la vostra nuova società? In quale delle due piazze andreste a cercare capitali per investire? Quello dalla quotazione in Borsa della nuova holding che nascerà dalla fusione non sembra essere un gran dilemma per Marchionne. Che probabilmente applicherà alla fusione Fiat-Chrysler lo stesso metodo già scelto porterebbe la quota del Lingotto al 75 per cento. Ma sul valore di quei pacchetti del 3,3 è in corso la causa di fronte al tribunale del Delaware. Il giudice del Delaware Donald Parsons per Cnh-Industrial: quotazione principale a New York e quotazione secondaria a Milano. Ma è evidente che a Milano rimarrà più per questioni di immagine che di sostanza.
(Fonte: www.repubblica.it - 17/6/2013)

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