domenica 26 agosto 2012

L'esperienza lo dimostra: rinverdire i fasti di marchi prestigiosi è possibile (e redditizio...)


In un panorama automobilistico globalizzato, dove le sinergie produttive sono d'obbligo per consentire la sopravvivenza anche dei gruppi potenzialmente più forti, i rischi di omologazione e di appiattimento dei contenuti dell'offerta sono evidenti, con difficoltà crescente a differenziare i prodotti e ad attrarre clientele anch'esse tendenti ad atteggiamenti conservatori. I marchi, la loro storia e il loro potenziale d'immagine, rappresentano dunque un valore assolutamente non trascurabile e le tante operazioni di "recupero" e di rilancio alle quali abbiamo assistito negli anni lo stanno a dimostrarlo. Abbandonati da proprietari in crisi o in perenne dissesto economico, tanti nomi blasonati sono riusciti a vivere seconde e terze vite, riportando al successo bandiere gloriose che rischiavano di essere ammainate per sempre. Esempio eclatante, all'inizio degli anni Duemila, il successo del redivivo marchio Mini targato BMW, ma anche la straordinaria campagna acquisti della Volkswagen, iniziata a suo tempo con il recupero di Audi, abbandonata dalla Mercedes, per proseguire in un incredibile crescendo che ha visto conquiste prestigiose, dalla Lamborghini alla Bugatti, dalla Bentley alla stessa Porsche, fino alla Italdesign di Giugiaro. Una politica che ha pagato in contanti un gruppo oggi sparato verso la vetta della leadership mondiale. Ma a rivitalizzare marchi altrimenti destinati alla scomparsa sono scesi in campo negli ultimi anni aziende e costruttori dei paesi asiatici emergenti. In evidenza l'indiana Tata che, nel 2008, a fronte delle difficoltà del colosso Ford, ha acquisito per 2,3 miliardi di dollari Jaguar e Land Rover, come dire un pezzo importante di storia dell'auto e di quell'industria britannica di settore che ha segnato tappe decisive. Oggi le lussuose sportive inglesi e le icone del fuoristrada sono così tornate ad occupare un posto di riguardo nelle rispettive categorie, alla ribalta con modelli come la Range Evoque o la prossima F-Type, erede della mitica E. Colpo grosso anche per i cinesi della Geely che nel 2010 sono riusciti a mettere le mani sulla svedese Volvo, acquistando un potenziale tecnologico che nel prossimo futuro potrà essere riversato anche su modelli più popolari destinati ai mercati in via di sviluppo. Tornando ai marchi britannici, favorevoli i risultati per l'Aston Martin, entrata nell'universo Ford e poi acquistata da una cordata capeggiata da David Richards, mentre più complessa è la vicenda della Lotus, passata più volte di mano per arrivare agli attuali proprietari malesi, ma comunque con interessanti possibilità future se si riuscirà a sviluppare un fitto programma di nuovi prodotti già impostati. E qualche segnale viene anche da MG, il celebre blasone delle più classiche spider d'Oltremanica, che torna a dare segni di vita dopo un lungo oblio seguito all'acquisto da parte della cinese Shanghai Automotive. Tanti, dunque, i "salvataggi" e le nuove prospettive nel segno di una memoria che non vuole arrendersi al confino nei musei ma che, anzi, dimostra come un pedigree illustre è in grado di confrontarsi al meglio con l'attualità. Purtroppo, però, a fronte di una realtà nel complesso positiva, bisogna registrare anche qualche dolorosa sconfitta, come nel caso della svedese Saab, costretta alla chiusura dopo l'insuccesso del tentativo targato Spyker e le tramontate speranze di trovare qualche investitore cinese. Nell'ambito dei grandi gruppi continuano, invece, a svolgere un forte ruolo d'immagine marchi sportivi legati ai prodotti di fascia medio-bassa, come Abarth per Fiat e Gordini per Renault, mentre, per restare in Francia, si parla del ritorno in campo a breve di Alpine, con una compatta granturismo dagli accenti corsaioli.
(Fonte: www.repubblica.it - 24/8/2012)

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