Sindaco Fassino, qual è la più probabile Torino del futuro? Con la Fiat, senza la Fiat o con la Fiat e un altro costruttore di auto?
"Torino ha già conosciuto una grande trasformazione. Per un secolo è stata città fabbrica. E questa è stata la cifra fondamentale ed esclusiva. Dall'80 ad oggi ha vissuto una grande trasformazione. È una città che non ha più una sola vocazione, è diventata plurale. Continua ad essere una città industriale e noi vogliamo che lo sia. E un pezzo essenziale della sua identità industriale è l'auto. Però è anche una grande città finanziaria, Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno qui due presenze importanti, è una città universitaria e una delle prime capitali di cultura in Italia e questo ha fatto sì che sia diventata una città turistica. Insomma, a Torino oggi esiste una complementarietà di vocazioni. In questo scenario l'industria è fondamentale. Dobbiamo dunque batterci perché continui ad essere forte. Torino è uno dei più grandi distretti mondiali dell'automobile tanto che l'industria dei componenti non è più solo fornitrice Fiat. Per questo quando Marchionne dice "Io non mollo l'Italia" lo prendo in parola e dico che non mollare l'Italia vuol dire non mollare prima di tutto Torino, perché la Fiat qui è nata e se la Fiat non fosse a Torino non sarebbe più la Fiat".
Qual è il suo rapporto con Marchionne? Quando vi siete sentiti l'ultima volta? Oggi che cosa gli chiederebbe?
"Ci sentiamo con una certa periodicità com'è giusto che sia tra l'ad della principale azienda della città e il sindaco. Abbiamo un confronto che definirei franco. In ogni occasione di colloquio ho insistito che noi vogliamo che la Fiat continui a considerare Torino quello che Torino è stata nella storia dell'azienda, che continui ad avere un ruolo strategico e fondamentale per il gruppo. Non sfugge a nessuno che quando Fiat si è sposata con Chrysler è nato un gruppo più grande e anche noi dobbiamo fare i conti con uno scenario più grande. Google ha comperato Motorola, e non rimarranno certo come prima, quando erano due aziende separate. Vale anche per la Fiat. Non tutto deve rimanere com'era, ma il matrimonio si è anche fatto per dare alla Fiat un nuovo slancio. Il mio ruolo come sindaco non è quello di alzare ogni giorno il ditino accusatorio contro Marchionne, ma creare le condizioni perché la Fiat consideri conveniente, importante e strategico stare a Torino e in Italia".
Cosa intende per colloquio franco?
"In tutte le occasioni in cui ho avuto un contatto sia con Marchionne sia con John Elkann, ho avuto la netta sensazione che entrambi considerino fondamentale il valore economico e identitario della permanenza di Fiat in Italia e a Torino. Considero poi positivo l'investimento confermato alla Bertone. É un buon primo passo. Per questo mi aspetto che in autunno venga dato il via al progetto produttivo previsto a Mirafiori".
In una recente intervista a Repubblica, Carlo Callieri ha attribuito la responsabilità della mancanza di modelli agli Elkann che non mettono soldi. Ha ragione Callieri? Qual è il suo giudizio?
"Non è compito di un sindaco dare giudizi o fare pagelle. Gli Agnelli hanno una responsabilità verso Torino e verso la comunità torinese e sono sicuro che abbiano consapevolezza di questa responsabilità ".
Un nuovo patto con la Fiat è possibile? Contrattare la testa di Fiat Europa a Torino?
"Ricordo le dichiarazioni di Elkann e Marchionne alcuni mesi dopo il matrimonio con Chrysler rispetto alle diverse funzioni all'interno del gruppo. Elkann parlava di quattro poli nel mondo e di una funzione di direzione per Torino in ambito europeo. Uno schema che mi sembra interessante e su cui si deve scommettere".
La città cosa può fare di concreto per favorire questo processo?
"Ci sono una serie di strategie rispetto alle esigenze di Fiat che si possono mettere in campo. E faremo tutto ciò che è necessario e possibile fare. Ad esempio trovo interessante il modo con cui le amministrazioni pubbliche incentivano lo sviluppo dell'auto elettrica negli Stati Uniti: ci sono Stati, come la California, che ha introdotto degli obblighi severi sulla circolazione in città. Torino, nel campo della distribuzione delle merci e nel trasporto pubblico nel centro, può diventare la città in Italia dove sperimentare l'uso dei mezzi elettrici. Abbiamo già diversi progetti sul tema e ci sono stati contatti con l'Iveco e con Fiat Auto".
In tutti i Paesi in cui ha stabilimenti, la Fiat ha patti vincolanti con i governi locali. In Italia questo non accade. Non crede che il governo Monti dovrebbe pretendere più chiarezza sul futuro dell'Italia?
"Fino a qualche mese fa avevamo un governo che non si interessava di Fiat e che, anzi, lanciava segnali nella direzione opposta. Tutti forse ricordiamo quando il presidente del Consiglio Berlusconi ha ricevuto i vertici della Fiat non a Palazzo Chigi ma nella sua residenza di Arcore arrivando in ritardo a bordo di un'auto tedesca. Oggi non siamo certo in quella situazione. Penso che il governo debba però pretendere che la Fiat si assuma le sue responsabilità e che rispetti gli impegni presi. Attenzione, però. La Fiat deve avere lo stesso trattamento delle altre aziende, quindi non si può essere concessivi o generosi con altri gruppi ed essere diffidenti quando si tratta di Fiat. Perché la diffidenza non aiuta".
Due anni fa, in occasione del referendum sul futuro di Mirafiori lei disse: "Se fossi un operaio voterei sì?". Ha cambiato opinione?
"No, per due ragioni. La prima è che la crisi è sotto gli occhi di tutti, ed è più violenta e pesante di quello che si poteva immaginare due anni fa. Tutte le case costruttrici, da Gm a Renault alla Toyota, segnano perdite a doppia cifra, talvolta superiori a quelle registrate da Fiat. E poi c'è un secondo motivo. Non c'è nessuno che possa dimostrarmi che Mirafiori sarebbe stata più al sicuro se al referendum avesse vinto il "no". Anzi, credo che avrebbe chiuso. So bene che per i lavoratori è stata una scelta difficile, onerosa, ma è stato un passaggio per avere una prospettiva non appena si uscirà dalla fase di crisi acuta".
"Torino ha già conosciuto una grande trasformazione. Per un secolo è stata città fabbrica. E questa è stata la cifra fondamentale ed esclusiva. Dall'80 ad oggi ha vissuto una grande trasformazione. È una città che non ha più una sola vocazione, è diventata plurale. Continua ad essere una città industriale e noi vogliamo che lo sia. E un pezzo essenziale della sua identità industriale è l'auto. Però è anche una grande città finanziaria, Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno qui due presenze importanti, è una città universitaria e una delle prime capitali di cultura in Italia e questo ha fatto sì che sia diventata una città turistica. Insomma, a Torino oggi esiste una complementarietà di vocazioni. In questo scenario l'industria è fondamentale. Dobbiamo dunque batterci perché continui ad essere forte. Torino è uno dei più grandi distretti mondiali dell'automobile tanto che l'industria dei componenti non è più solo fornitrice Fiat. Per questo quando Marchionne dice "Io non mollo l'Italia" lo prendo in parola e dico che non mollare l'Italia vuol dire non mollare prima di tutto Torino, perché la Fiat qui è nata e se la Fiat non fosse a Torino non sarebbe più la Fiat".
Qual è il suo rapporto con Marchionne? Quando vi siete sentiti l'ultima volta? Oggi che cosa gli chiederebbe?
"Ci sentiamo con una certa periodicità com'è giusto che sia tra l'ad della principale azienda della città e il sindaco. Abbiamo un confronto che definirei franco. In ogni occasione di colloquio ho insistito che noi vogliamo che la Fiat continui a considerare Torino quello che Torino è stata nella storia dell'azienda, che continui ad avere un ruolo strategico e fondamentale per il gruppo. Non sfugge a nessuno che quando Fiat si è sposata con Chrysler è nato un gruppo più grande e anche noi dobbiamo fare i conti con uno scenario più grande. Google ha comperato Motorola, e non rimarranno certo come prima, quando erano due aziende separate. Vale anche per la Fiat. Non tutto deve rimanere com'era, ma il matrimonio si è anche fatto per dare alla Fiat un nuovo slancio. Il mio ruolo come sindaco non è quello di alzare ogni giorno il ditino accusatorio contro Marchionne, ma creare le condizioni perché la Fiat consideri conveniente, importante e strategico stare a Torino e in Italia".
Cosa intende per colloquio franco?
"In tutte le occasioni in cui ho avuto un contatto sia con Marchionne sia con John Elkann, ho avuto la netta sensazione che entrambi considerino fondamentale il valore economico e identitario della permanenza di Fiat in Italia e a Torino. Considero poi positivo l'investimento confermato alla Bertone. É un buon primo passo. Per questo mi aspetto che in autunno venga dato il via al progetto produttivo previsto a Mirafiori".
In una recente intervista a Repubblica, Carlo Callieri ha attribuito la responsabilità della mancanza di modelli agli Elkann che non mettono soldi. Ha ragione Callieri? Qual è il suo giudizio?
"Non è compito di un sindaco dare giudizi o fare pagelle. Gli Agnelli hanno una responsabilità verso Torino e verso la comunità torinese e sono sicuro che abbiano consapevolezza di questa responsabilità ".
Un nuovo patto con la Fiat è possibile? Contrattare la testa di Fiat Europa a Torino?
"Ricordo le dichiarazioni di Elkann e Marchionne alcuni mesi dopo il matrimonio con Chrysler rispetto alle diverse funzioni all'interno del gruppo. Elkann parlava di quattro poli nel mondo e di una funzione di direzione per Torino in ambito europeo. Uno schema che mi sembra interessante e su cui si deve scommettere".
La città cosa può fare di concreto per favorire questo processo?
"Ci sono una serie di strategie rispetto alle esigenze di Fiat che si possono mettere in campo. E faremo tutto ciò che è necessario e possibile fare. Ad esempio trovo interessante il modo con cui le amministrazioni pubbliche incentivano lo sviluppo dell'auto elettrica negli Stati Uniti: ci sono Stati, come la California, che ha introdotto degli obblighi severi sulla circolazione in città. Torino, nel campo della distribuzione delle merci e nel trasporto pubblico nel centro, può diventare la città in Italia dove sperimentare l'uso dei mezzi elettrici. Abbiamo già diversi progetti sul tema e ci sono stati contatti con l'Iveco e con Fiat Auto".
In tutti i Paesi in cui ha stabilimenti, la Fiat ha patti vincolanti con i governi locali. In Italia questo non accade. Non crede che il governo Monti dovrebbe pretendere più chiarezza sul futuro dell'Italia?
"Fino a qualche mese fa avevamo un governo che non si interessava di Fiat e che, anzi, lanciava segnali nella direzione opposta. Tutti forse ricordiamo quando il presidente del Consiglio Berlusconi ha ricevuto i vertici della Fiat non a Palazzo Chigi ma nella sua residenza di Arcore arrivando in ritardo a bordo di un'auto tedesca. Oggi non siamo certo in quella situazione. Penso che il governo debba però pretendere che la Fiat si assuma le sue responsabilità e che rispetti gli impegni presi. Attenzione, però. La Fiat deve avere lo stesso trattamento delle altre aziende, quindi non si può essere concessivi o generosi con altri gruppi ed essere diffidenti quando si tratta di Fiat. Perché la diffidenza non aiuta".
Due anni fa, in occasione del referendum sul futuro di Mirafiori lei disse: "Se fossi un operaio voterei sì?". Ha cambiato opinione?
"No, per due ragioni. La prima è che la crisi è sotto gli occhi di tutti, ed è più violenta e pesante di quello che si poteva immaginare due anni fa. Tutte le case costruttrici, da Gm a Renault alla Toyota, segnano perdite a doppia cifra, talvolta superiori a quelle registrate da Fiat. E poi c'è un secondo motivo. Non c'è nessuno che possa dimostrarmi che Mirafiori sarebbe stata più al sicuro se al referendum avesse vinto il "no". Anzi, credo che avrebbe chiuso. So bene che per i lavoratori è stata una scelta difficile, onerosa, ma è stato un passaggio per avere una prospettiva non appena si uscirà dalla fase di crisi acuta".
È d'accordo con Bersani che ha chiesto a Monti di incontrare i vertici Fiat?
"È utile e opportuno. Non solo per capire quali sono le intenzioni e le scelte del Lingotto, ma per comprendere cosa il governo può fare per la Fiat. Nessuna impresa può farcela da sola".
Lei come sindaco si impegna a non modificare la destinazione industriale dell'area di Mirafiori?
"Noi dobbiamo batterci perché rimangano a Torino non solo la progettazione e l'ideazione delle auto, ma anche gli impianti produttivi".
"È utile e opportuno. Non solo per capire quali sono le intenzioni e le scelte del Lingotto, ma per comprendere cosa il governo può fare per la Fiat. Nessuna impresa può farcela da sola".
Lei come sindaco si impegna a non modificare la destinazione industriale dell'area di Mirafiori?
"Noi dobbiamo batterci perché rimangano a Torino non solo la progettazione e l'ideazione delle auto, ma anche gli impianti produttivi".
(Fonte: http://torino.repubblica.it - 3/8/2012)
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