domenica 15 aprile 2012

Oscar Giannino: "Se Volkswagen premia i dipendenti c’è un perché"


Che cosa pensi del superbonus di 7.500 euro annunciato da Volkswagen ai suoi 90 mila dipendenti nelle sei fabbriche tedesche dopo un utile 2011 di 15,4 miliardi, più che doppio rispetto al 2010? E degli 8.521 euro di bonus ai lavoratori Audi? E dei 7.600 a quelli di Porsche? Che pensare tra quanto avviene nell’auto tedesca e le parole di Sergio Marchionne su altri due stabilimenti Fiat da dismettere in Italia? Domande che ho rivolto a una delle persone di cui mi fido di più al mondo, sull’auto e non solo. Si chiama Riccardo Ruggeri. È un ex operaio torinesissimo, salito su su fino a divenire manager di prima fila del gruppo Fiat. Cresciuto in un’umida portineria, dal basso è salito in Fiat fino al comitato strategico, fino ad acquisire, ristrutturare e guidare quel gioiello della New Holland che oggi si chiama Cnh e continua a fare profitti. Mi fido di lui perché conosce il mondo dell’auto cominciando dalle viti, ha seguito l’azienda torinese in ogni sua trasformazione. E perché, nell’era Marchionne, ha scritto un libro e una ventina di articoli in materia, dosando tanto le parole da farsi accusare di eccesso di misura. Ruggeri mi sorprende. Dice che la crisi del comparto auto ha avuto una ricaduta positiva, mi dice. Ci sono due grandi gruppi al comando, Volkswagen e Toyota. Salvo i coreani di Hyundai-Kia, fenomeno a sé, tutti gli altri sono inseguitori. Chi insegue si agita, si allea, si separa, chiede l’aiuto dei governi. Ma ad aver separato i due gruppi c’è una sola legge, quella del ciclo di rinnovo, l’evoluzione del prodotto in termini di innovazione-qualità-costi d’esercizio. Questa è la discriminante di sempre, tra chi investe molto e chi poco e tardi. Ed è una legge che non perdona. Spesso i follower, in silenzio, saltano un ciclo, risparmiano molti quattrini, distribuiscono dividendi all’azionista e bonus ai manager. Oppure non hanno quattrini, saltano il ciclo e si auto-affossano. Allora cercano alleanze fra di loro, disegnano scenari fantastici e progetti visionari, in cui dicono di risparmiare miliardi sugli acquisti. Come oggi capita tra PSA e GM. Ma le alleanze di saltatori del ciclo non funzionano mai. O quasi. Nissan-Renault va perché sono tuttora separate. Volkswagen e Toyota, invece, hanno tirato dritto. Ma veniamo alla Fiat. Sostiene Ruggeri che Obama, per liberarsi di Chrysler, fallita per la terza volta, la dotò di un ricco plafond normativo-economico, quattrini a fondo perduto, prestiti. Offerta a tanti, solo Fiat accettò. Nel marzo 2009 anch’essa era tecnicamente fallita, per Moody’s. Gli azionisti Daimler pagarono per uscire da Chrysler, Fiat con Marchionne prese una partecipazione scambiandola con tecnologia. Ma di quattrini ne mise, e tanti, Obama. Poiché chi mette i quattrini vince, è la Chrysler di Obama a essersi implicitamente comprata Fiat, dice Ruggeri. E Fabbrica Italia coi suoi 20 miliardi di investimenti su cui da due anni media e sindacati incalzano Marchionne? Una mossa tattica, risponde Ruggeri. Marchionne in sette anni non ha chiesto nessun aumento di capitale agli azionisti. E al governo italiano non chiede niente. Per investire rispettando il ritmo spietato dei cicli di rinnovo, continua Ruggeri, ci vogliono quattrini veri, uomini, reti di vendita. Fiat ha investito 0,7 miliardi per Pomigliano. Conclusione. Fiat, quotata, ha la maggioranza di Chrysler, non quotata, che ha restituito il prestito al Tesoro U.S.A., indebitandosi con banche americane. Ma l’anima di quest’azienda, già fusa, non è più italiana. L’Ipo si terrà a Wall Street e il quartier generale sarà americano. Chrysler-Fiat entrerà in orbita entro il 2014-15, la base di lancio ovviamente americana. Il resto sono solo stadi intermedi, da abbandonare durante la salita nello spazio. Ecco che cosa sono i due stabilimenti da dismettere in Italia, con la domanda flessa e l’eccesso di sovracapacità produttiva europea nell’ordine del 35-40%. L’Italia resterà un interessante mercato, ma deve pensare ad aprire a nuovi stabilimenti auto di puro montaggio. Come fece anni fa il Regno Unito, che ne produce più di allora e più di noi, senza una casa automobilistica nazionale. Voglio sperare che l’Italia non voglia difendere con quattrini pubblici posti di lavoro che il mercato ha da tempo cancellato e che ci sono ancora solo grazie agli utili in Brasile e Polonia. Occorre invece cedere Alfa Romeo, marchio ancora appetibile, con in dote passiva uno stabilimento e relativo personale. Può essere questo l’inizio di un’Italia che si apre al montaggio invece di continuare a perder tempo in polemiche sul ruolo della Fiom. Si potrebbe vendere a Volkswagen, così ci attiriamo in casa uno dei due leader assoluti del mercato e qualche operaio italiano si becca anche lui il superbonus.
(Fonte: http://blog.panorama.it - 22/3/2012)

1 commento:

  1. Conclusione "piuttosto parziale e forzata" per un'analisi ben impostata e facente riferimento ad un testimone sicuramente affidabile. Mi prefiguro i commenti di Marchionne e anche di Monti!!! Propongo la lettura di questo recente articolo Bloomberg su Daimler e BMW http://www.bloomberg.com/news/2012-03-28/mercedes-attacks-bmw-from-hungary-with-europe-s-last-plant-cars.html Saluti

    RispondiElimina