«Abbiamo perso trent’anni e ricominciato da capo. Ma dopo due false partenze, ecco la macchina giusta e un partner affidabile». Sergio Marchionne inquadra così, al Salone di Pechino, la missione cinese di Fiat. Battezza, con il responsabile del brand Olivier François e il dg della joint-venture Guangzhou-Fiat, Jack Cheng, la nuova berlina Viaggio. Un modello ridisegnato a Torino per l’Asia, però gemello della Dodge Dart e nato dalla piattaforma dell’Alfa Giulietta. Lo scorso anno a Shanghai Fiat era confinata in un angolino triste: ora i suoi marchi occupano un intero vivace padiglione. Presenti i 22 membri del GEC (Group Executive Council) che il capo ha radunato in conclave per tre giorni a Pechino. C’è anche Lapo Elkann, come ambasciatore glamour della 500 by Gucci. «Portare tutti qui - spiega l’ad di Fiat e Chrysler - è stato un segnale importante. Bisogna impegnarsi molto per avere successo su questo mercato: gli altri che lo hanno fatto ora vendono milioni di auto». Dice «i nostri amici tedeschi» e pensa soprattutto a Volkswagen «la cui crescita è impressionante». Gli errori del passato (leggi il fallimento delle alleanze con Nanjing e Chery) pesano finanziariamente e rappresentano un tormento per Marchionne: «Intanto ci ripresentiamo, anche se in grave ritardo. Lavoravo da 8 anni per questo. Dobbiamo competere con chi è arrivato molto prima e ora può esportare. Però la Cina è un mercato aperto e noi stiamo ricostruendo, un pezzo alla volta». La nuova fabbrica di Changsha, costruita con GAC, da luglio sfornerà le prime Viaggio e in cantiere c’è molto altro, compreso un secondo stabilimento su cui il manager non si sbilancia. «Prima dobbiamo saturare questo - dice - ma non dimentichiamo la necessità di introdurre qui Jeep e Alfa Romeo, altro brand globale. La riportiamo negli U.S.A., poi toccherà alla Cina. Ci vuole pazienza, e non per colpa dei cinesi: è il mondo che si è complicato, non solo questo scenario che offre condizioni molto diverse dall’Europa. E dove possiamo guadagnare: con Fiat Industrial già lo facciamo, la Viaggio è un investimento positivo». Anche il Dragone tuttavia rallenta e il governo ha tolto gli incentivi agli automobilisti. «Ha fatto bene - commenta il manager - ha dimostrato che è capace di frenare perché il mercato era cresciuto troppo in fretta e doveva calmarsi». Marchionne è sereno, perfino sorridente. Risponde a decine di domande. Sul mercato europeo: «Quel che succederà a Fiat in Cina non interferirà con la situazione particolare dell’Europa. Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo cercato con le esportazioni una soluzione alla situazione produttiva». Nello stand compare Alberto Bombassei, abbracci e strette di mano. «Chi gira il mondo come me e come lui - spiega Marchionne - sa che non si fa nulla senza l’impegno delle parti sociali. L’obiettivo è chiaro, ciò che si deve fare anche. Se la gente non lo vuol fare, me lo dica». Nessuna minaccia, fa notare il manager che oggi partirà per Detroit: giovedì il CDA esaminerà la trimestrale, con i conti sempre più legati al successo dei modelli U.S.A. . Italia (e Fiat) più debole? «L’ho detto una volta da Fabio Fazio, che l’Italia ha una posizione negativa nel bilancio, e mi avete crivellato tutti! Ma la realtà è che stiamo gestendo un’organizzazione globale, in settimana vedremo i risultati e gli effetti della crisi in Europa dove la situazione è orribile. Abbiamo cercato di difenderci ma tutti i giorni troviamo ostacoli: penso all’ultima sentenza del Tribunale di Bari che ha riaperto il dibattito. Torino è da una parte, Bologna dall’altra. L’incertezza non ci aiuta e il mercato italiano viaggia verso 1,5 milioni di vendite. Significa che dal 2007 abbiamo perso il 40%, un milione di macchine». La presenza di Bombassei sollecita domande su Confindustria. Con Squinzi cambierà qualcosa nei rapporti con Fiat? Marchionne è lapidario: «Che sappia io, no. L’avevo detto chiaro che se ci fosse stato Alberto magari si potevamo rivedere certe posizioni, con lui c’erano dei punti di vista che condividevo. Poi ognuno fa le proprie scelte, io non voglio condizionare nessuno. Ma non possono nemmeno imporre a Fiat di comportarsi in un certo modo. Noi dobbiamo preservare gli interessi economici e il futuro dell’azienda».
(Fonte: www3.lastampa.it - 24/4/2012)
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