mercoledì 22 febbraio 2012

Wired: perché Chrysler va meglio di Fiat


Chi porta i pantaloni nel matrimonio tra Fiat e Chrysler? Pochi giorni fa il gruppo italoamericano ha approvato un bilancio 2011 che premia la scelta di Torino di tre anni fa: 59,6 miliardi di euro di ricavi, 2,4 miliardi di utile della gestione ordinaria, 1,7 di utili netti, 20,7 di liquidità e 5,5 (in evidente calo) di indebitamento netto industriale. Insomma, Fiat-Chrysler ha centrato l'obiettivo dei 4 milioni di auto vendute e si è assestata al settimo posto nella classifica mondiale dei costruttori. Ma se andiamo a scorporare i dati relativi alle due case separate, c'è da riflettere molto su chi traina chi. Chrysler, nonostante contribuisca al consolidato Fiat solo da giugno, procura otre un terzo dei ricavi del gruppo (23,6 miliardi di euro) e ha chiuso il bilancio con 183 milioni di dollari di utile, la prima volta dal 1997; nel 2011 ha fatto registrare +26% nelle consegne globali di veicoli e a gennaio 2012 in U.S.A. ha aumentato le vendite del 44%. Fiat, risentendo del calo vertiginoso del mercato europeo, ha ricavi per 28 miliardi di euro, con un calo delle consegne di vetture del 4,6% (ma +7,6% nel settore dei veicoli commerciali); ha perso il 16,9% nelle immatricolazioni di gennaio. Vanno poi considerati i settori dei componenti e sistemi di produzione (+10,1%) e i marchi del lusso e sportivi (Ferrari +17,3%, Maserati in linea con il 2010). Alla fine, senza le auto di Auburn Hills i profitti al massimo andrebbero in pareggio. Da qui il coro dei critici, che sostengono che l'asse del gruppo si è ormai spostato nel Michigan e che Italia ed Europa non interessano più al board guidato da Sergio Marchionne. Ma il manager italo-canadese (che è presidente e amministratore delegato di Chrysler, e ad della Fiat) risponde che addossare tutti i meriti della ripresa a Chrysler sarebbe come definire "infelice" il matrimonio, e che i risultati sono una prova della bontà della scelta di unire le due case. È chiaro a tutti che senza Chrysler oggi Fiat sarebbe un'azienda con segno negativo, ma non è da trascurare che senza quelli di Torino oggi Detroit avrebbe una casa di automotive in meno e decine di migliaia di disoccupati in più. Invece, sulle ali dei risultati positivi, i dipendenti U.S.A. avranno un bonus di 1500 dollari (lo ha scoperto il Detroit News), come concordato nell'accordo stipulato con il sindacato Uaw. Perché Chrysler è più performante di Fiat? Sono molte le variabili da tenere in conto e fondamentalmente la domanda è inutile, secondo la logica del board, che ormai ragiona in termini globali e non più solo italiani. Ecco ad esempio cosa ha detto Marchionne gli operai del nuovo stabilimento di Belvidere, nell'Illinois, che a breve inizierà la produzione della Dodge Dart, realizzata sulla piattaforma della Alfa Romeo Giulietta: "Voi state lavorando al centro di un grande progetto, un progetto che parla di integrazione culturale e di eccellenza produttiva. State lavorando in un impianto che è un esempio del tipo di mosaico che vogliamo creare fra le due compagnie, Chrysler e Fiat. Un mosaico nel quale ogni tassello ha una chiara identità e tuttavia è interconnesso con gli altri pezzi, formando un disegno fortemente unito". Nel frattempo l’ad ha annunciato l'assunzione di altri 1800 lavoratori. Proprio la gestione dei dipendenti è uno dei nodi: in U.S.A. il gruppo assume e premia e americanizza la produzione di nuove auto, perfino di quelle considerate campionesse del made in Italy: il primo Suv Maserati (nome provvisorio Kubang) verrà costruito a Detroit sulla base della Jeep Grand Cherokee. In Italia invece si parla di chiusure di stabilimenti e cassa integrazione. Ma il manager rassicura (più o meno) sul 2012: "Se arriveranno i volumi ipotizzati nel piano, non ci sarà bisogno di altre chiusure oltre a quella di Termini Imerese". E parlando con gli analisti ha auspicato una maggiore flessibilità negli impianti produttivi, avendo come riferimento l'elasticità americana. Sulla questione ci sono anche analisi differenti e meno pubblicizzate, come quella che ci ha proposto il professor Andrea Di Stefano, direttore del mensile Valori, commentatore di Radio Popolare, Personal Economist di "D di Repubblica", collaboratore di Affari&Finanza. Secondo la sua opinione, infatti, una delle ragioni principali dell’andamento a velocità diverse delle due entità del gruppo italoamericano sta nella disomogeneità delle piattaforme industriali che utilizza Fiat: "È molto difficile fare produzioni decentralizzate uguali", spiega, "rispetto a come viene fatto invece in Chrysler: occorre avere delle parti dell’auto che siano uniformi per ottimizzare la produzione".
Come si differenziano il mercato del lavoro americano e quello italiano? Che peso hanno rispetto alle performance di Fiat e Chrysler?
"Non ho mai creduto che il mercato del lavoro negli Stati Uniti abbia un’incidenza minore rispetto al nostro (sia meno caro o altro). Non ho mai pensato che il problema Fiat fosse riconducibile solo alle questioni del lavoro. Capisco che Marchionne le abbia usate sempre in modo, come dire, strategicamente molto efficiente. Lui stesso, in passato, aveva dichiarato che il costo del lavoro aveva un’incidenza non superiore al 7%, e se effettivamente è così, su un’intera produzione automobilistica non si capisce dove sia il problema".
Perché allora questo argomento viene spesso riproposto come nodale?
"Ho l’impressione che si usi questo tema per togliere l’attenzione da altre cose, come successe nel caso di Pomigliano, in cui il manager italo-canadese riuscì a rinviare per un anno gli investimenti, migliorando così i conti e, com’è noto, presentandosi con un bilancio al di là delle previsioni, nonostante il calo di fatturato".
Ma se il problema riguarda la piattaforma industriale poco efficiente di Fiat, perché Chrysler, che ne era già provvista, è riuscita solo ora a fare risultati positivi?
"Ricordiamo che grazie al TARP (Troubled Asset Relief Program) Chrysler, così come General Motors, ha di fatto accollato al pubblico i debiti contratti attraverso la sua macchinosa dinamica pensionistica, che nei conti dei grandi gruppi americani ha avuto sempre un peso notevole. È facile, quindi, riportare gli utili in una società se la liberi di una parte consistente dello sbilancio finanziario passato. Chrysler non è ripartita da zero, ma perlomeno in una condizione ottimale".
Ma allora è giusto o no parlare di ricetta-Marchionne?
"È molto riduttivo. Diciamo che la vera ricetta Marchionne è stata l’abilità di riuscire a fare l’accordo con l’amministrazione presentandosi come l’uomo giusto. Come ha scritto il Financial Times tempo fa, Marchionne è un grandissimo giocatore di poker, che ha giocato ottimamente le carte che aveva in mano".
Intanto, dopo la notizia del bilancio, il titolo vola in borsa e Marchionne ventila ipotesi di nuove alleanze per affrontare la crisi del mercato europeo, anche a smentire chi crede nell'allontanamento del gruppo dal Vecchio Continente. Un rilancio proprio per affrontare la crisi: "È stato un anno eccezionale per il gruppo. Ora possiamo guardare con serenità a un 2012 difficile in Europa". Curiosità: un tournaround di bilancio come quello di Chrysler si è visto nel mondo dell'auto solo nel 2004-2005, a opera della... Fiat di Marchionne.
(Fonte: www.wired.it - 16/2/2012)

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