domenica 6 marzo 2011

Fiat-Chrysler e l'indotto italiano dell'auto (2): le incognite


Dopo gli impianti, prego, il catalogo con le nuove auto. Gli operai e gli impiegati di Torino hanno detto sì all'accordo fra azienda e sindacati, ad eccezione della Fiom-Cgil. Ora Sergio Marchionne dovrà spesare i soldi messi da parte per Mirafiori (un miliardo di euro). Come, peraltro, ha già iniziato a fare a Pomigliano d'Arco (in tutto 700 milioni). Fra il gesto di adesione della gente di Mirafiori e l'ingegnerizzazione finanziario-manifatturiera dei nuovi investimenti da parte del manager italo-canadese, c'è la complessa questione di cosa voglia dire fabbricare auto in un paese: montare pezzi di vetture pensate altrove oppure pensare il modello, idearlo insieme al sistema della fornitura e quindi metterlo in linea per la produzione di serie. Due alternative secche, due diversi destini. Tutte le case automobilistiche fanno convergere il maggior numero di modelli sul minor numero di piattaforme. Quanto più la cella, il telaio e i componenti sono comuni, tanto più aumentano i risparmi e crescono le efficienze industriali e organizzative. Piattaforma in Italia? I componentisti locali se ne avvantaggeranno perché verranno coinvolti nella ideazione dell'auto e dei suoi componenti, la parte più succulenta del filetto meccanico. Piattaforma non in Italia? La fabbrica sarà ridotta a una gigantesca chiave inglese, zero pensiero e macchine in azione. Bene per l'occupazione diretta. Meno per la filiera. Riflette a questo proposito Giuseppe Russo, responsabile dell'Osservatorio sulla componentistica istituito presso la Camera di commercio di Torino: «Da tempo è in corso una razionalizzazione delle piattaforme fra Fiat e Chrysler. La convergenza societaria e strategica fra Torino e Detroit sta nelle cose. E questo vale anche per l'attività di ideazione e di manifattura». Il problema è di medio lungo periodo. Nella partita competitiva fra Torino e Detroit, sulla questione delle piattaforme, le caratteristiche strutturali dei due gruppi peseranno non poco. E, così, a meno di una rifocalizzazione forzata su Auburn Hills, gli ingegneri e i progettisti torinesi dovrebbero continuare a fare quello che hanno sempre saputo fare bene: le macchine piccole. Idem i loro colleghi a Detroit con le grandi. «Il problema - dice Russo - si porrà soprattutto con le auto medie che gli uomini di Marchionne metteranno in cantiere nei prossimi anni. Lì si che scatterà la competizione fra Auburn Hills e Torino». A Pomigliano d'Arco la progettazione della plancia della nuova Panda è affidata alla Teknosud di Amerigo Marano, 45 anni e una laurea in geologia all'Università Federico II. Questa impresa, che fattura 5 milioni di euro e dà lavoro a 120 addetti (95 a tempo indeterminato, 30 dal nord Italia, con un fenomeno di emigrazione al contrario), si occupa di progettazione e di prototipazione nell'automotive, nell'alta velocità ferroviaria e nell'aeronautica. La sede è nell'area industriale di Pomigliano d'Arco, a trenta metri dall'Alenia e a 50 metri dalla Fiat Elasis. «Il travaso di tecnologie e di competenze con la Elasis e con il Centro Ricerche Fiat di Torino è fondamentale - dice Marano - e vale in entrambe le direzioni». Oltre alla plancia della nuova Panda (un affare da un milione di euro), insieme ai team di Fiat e di altri fornitori di primo livello la Teknosud sta lavorando ad altri parti della carrozzeria, della scocca e del telaio. Intorno alla Panda ruotano acquisti per quasi mezzo miliardo l'anno, quanto basta per riaccendere i volumi produttivi delle filiere in Campania, Lazio e Abruzzo. E così nello stabilimento Sigit di Lacedonia, nell'Avellinese, da qualche settimana non si lavora più solo per Melfi: l'azienda si è aggiudicata i rivestimenti plastici della Panda e, se le previsioni verranno rispettate, punta «a rinforzare gli organici nel 2012», dice il presidente, Pierangelo Decisi. La Sigit è uno dei fornitori italiani di primo livello impegnati anche a Kragujevac, in Serbia. «Abbiamo condiviso il piano strategico con Fiat, stiamo realizzando là un nuovo stabilimento che sarà operativo entro la fine del 2011», dice ancora Decisi. La piccola monovolume L0 è un prodotto concepito in Italia, la piattaforma è italiana, l'investimento è realizzato oltreconfine. Ma la Serbia è vicino all'Italia. Dunque, per questo sarà pure possibile rifornire lo stabilimento serbo direttamente dall'Italia. Anche se, nella partita serba, il rischio è che ciascun fornitore italiano corra in solitudine, al di fuori di una logica di sistema. «Operazioni come questa richiederebbero una grande coesione tra i diversi pezzi della filiera», osserva a questo proposito Umberto Cornaglia, titolare con il fratello delle omonime officine (nove stabilimenti, 200 milioni di fatturato). Gli effetti di una "delocalizzazione", dall'Italia, della parte concettual-ingegneristico-creativa e di una "rilocalizzazione", sempre in Italia, della fase produttiva, si toccheranno con mano con il suv targato Alfa Romeo. Perché l'auto verrà assemblata in Italia, ma la progettazione sarà in gran parte americana, così come la piattaforma. La vettura entrerà in produzione a Mirafiori nella seconda metà del prossimo anno, le prime assegnazioni ai fornitori si stanno definendo in queste settimane e, per i componentisti, si tratta di capire quanti e quali spazi avranno a loro disposizione. «Dovremo essere bravi a farci largo», ammette Paolo Scudieri, ad del gruppo Adler. La holding, con base a Napoli, ha 18 stabilimenti in 50 paesi e 8.200 addetti. In vista del suv, l'azienda campana può giocarsi una carta importante: «Abbiamo un centro ricerche in Michigan, quindi puntiamo a seguire la fase di progettazione ed engineering dalle sue battute iniziali», dice Scudieri. Il punto, in fondo, è questo: visto che il suv approderà a Mirafiori con le attività di engineering e stile in gran parte già concluse, per avere la certezza di entrare nella supply chain ai fornitori non resterà che spostarsi negli Stati Uniti e seguire il programma fin dai primi passi. Da soli, come ha scelto di fare Adler, o in compagnia: «Abbiamo appena siglato un accordo con una multinazionale americana che già lavora sulla piattaforma U. S.A. », interviene ancora Decisi di Sigit: «In questo modo saremo pronti a fare la nostra parte quando il suv verrà prodotto in Italia». Esattamente come vorrebbe fare il gruppo Sila, specializzata nei cambi manuali: «Sappiamo che la piattaforma è progettata negli Stati Uniti, per questo nel 2011 prevediamo di basare in America un team di ingegneri», spiega Edoardo Brero, direttore delle operazioni del gruppo. Per Sila seguire il suv fin dai suoi primi passi non equivale soltanto a garantirsi le commesse quando approderà in Italia: «Vediamo la possibilità di avviare la produzione in serie anche dei cambi automatici, che in passato abbiamo realizzato in non più di 12mila pezzi l'anno». Di qui l'idea di cercare un partner americano al quale offrire know how in cambio di un posto al sole dalle parti di Auburn Hills. In fondo, sarebbe in sedicesimi lo stesso schema con cui Marchionne ha acquistato Chrysler: equity a fronte di tecnologie e di competenze.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 28/1/2011)

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