mercoledì 30 marzo 2011
Tedeschini: "Fiat, non devi fa' l'americana!"
Altro che Parmalat: qui rischiamo di perdere la Fiat, con tutto quel che un’azienda come quella torinese significa in termini di quote del mercato mondiale (circa il 3% nell’auto, molto di più nei trattori e nelle macchine movimento terra) e soprattutto di ricerca, settore nel quale vantiamo ben pochi campioni nazionali. Eppure continuano a fioccare indiscrezioni sull’idea di Sergio Marchionne di spostare il quartier generale in quel di Detroit, nella sede del partner americano Chrysler: è stata la Reuters a rilanciare autorevolmente queste voci, smentite (ma senza troppa convinzione) dal Lingotto. Diciamolo subito: per l’Italia sarebbe una sconfitta storica, francamente incomprensibile. La Fiat è un pezzo di questo Stato che ha appena spento le sue prime 150 candeline, è l’azienda che ne ha accompagnato il boom economico con le sue utilitarie - che si chiamassero Topolino, 500 o Uno - ricevendone in cambio un forte sostegno. Perché mai dovrebbe emigrare? Quando la Renault ha acquisito la giapponese Nissan, nessuno è stato sfiorato dall’idea che la Regie potesse traslocare da Parigi a Tokyo. E mai la General Motors, nonostante le tante marche comprate in giro per il mondo, ha pensato di lasciare Detroit. Perché in questa tentazione dovrebbe cadere la Fiat? Questo sarebbe anzi il momento per insediare a Torino un gruppo di comando forte, che sappia dare il meglio dell’italianità (sissignore, anche in termini di creatività e design) nell’ambizioso piano di Marchionne di entrare tra i primi cinque costruttori al mondo. Che cosa osta a uno sviluppo così naturale? Forse solo il disprezzo che il capo della Fiat ha maturato nei confronti di tutto quanto sa di sindacato e di politica italiana. L’uomo del “senza se e senza ma” detesta gli arzigogoli delle nostre trattative e adora il pragmatismo americano. Una faccenda molto seria, ma non abbastanza seria da farci scivolare via l’unico costruttore che ci è rimasto, con Alfa Romeo, Lancia, Ferrari e Maserati al seguito. Pensiamoci, prima che sia tardi. E diamo anche a Marchionne uno straccio di motivo per amare questo disgraziato Paese.
(Fonte: http://qn.quotidiano.net - 27/3/2011)
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Se il motivo di spostare la sede del nuovo gruppo a Detroit fosse "..solo il disprezzo che il capo della Fiat ha maturato nei confronti di tutto quanto sa di sindacato e di politica italiana.." sarebbe un motivo molto forte perchè le imprese si devono confrontare con il mercato (che oggi è globale) e non con la politica o i sindacati politicizzati che vedono solo l'orticello nazionale. Ci sarà un'azienda quotata negli USA e una in Italia. La leadership di progettazione sulle auto piccole sarà FIAT, sulle auto premium sarà Chrysler.In comune ci saranno le piattaforme gli impianti e le reti di distribuzione. La strada dell'integrazione è appena incominciata, la 500 assemblata in Messico, una linea di motori FPT negli USA, il Freemont progettato a Detroit e montato mi pare a Toluca. Immagino che il gruppo di design centrale sarà un gruppo piccolo ma in continuo movimento. Per un'azienda globale il made in Italy è una riminiscenza obsoleta:sotto la pelle dell'auto cin sono componenti che provengono da tutto il mondo, le competenze si intrecciano, i gusti si mescolano, Obama ha deciso di salvare la Chrysler (e i dipendenti)accettando che la Chrysler da americana diventasse italo-americana.
RispondiEliminaNon dimentichiamo che un'azienda è andata in soccorso dell'altra, quindi anche FIAT da italiana sta diventando italo-americana. Quello che interessa ai due mercati è che nascano prodotti di successo che FIAT-CHRYSLER si piazzi tra le prime sei imprese globali del mercato auto.