sabato 5 marzo 2011
Fiat-Chrysler e l'indotto italiano dell'auto (1): le opportunità
Torino e Detroit, Piemonte e Michigan, Italia e Stati Uniti: il denominatore comune resta sempre l’automobile, ma se dal referendum sull’accordo di Mirafiori fosse risultato vincitore il «no», la storia dell’industria del nostro Paese avrebbe subito un pesante contraccolpo. Il baricentro tra le due realtà industriali, separate dall’Atlantico, si sarebbe quasi certamente spostato sul versante americano: l’eventuale risultato negativo della consultazione tra gli operai di Mirafiori, da una parte avrebbe premiato la linea dell’intransigenza adottata dalla Fiom di Maurizio Landini, ma dall’altra avrebbe fatto pericolosamente «saltare» il distretto italiano dell’automobile, a tutto vantaggio del sempre più forte polo industriale delle quattro ruote della Contea di Detroit. La ripartenza di General Motors e Chrysler, insieme alla Ford che ha superato brillantemente il periodo nero della crisi senza attingere fondi dalla Casa Bianca (all’Auto Shouw di Detroit il numero uno Alan Mulally ha per di più annunciato 7mila assunzioni), hanno riacceso i motori del Michigan. «Il clima è tornato positivo - commenta un imprenditore italiano che vive vicino a Detroit - e anche l’esito delle elezioni che ha dato ai repubblicani, sia la carica di sindaco di Motor City sia quella di governatore dello Stato, avrà ricadute positive sul settore automobilistico. Rispetto ai democratici, i repubblicani sono più orientati al business e sapranno meglio sfruttare la riaccensione dei motori di tutto il territorio». Il peso dell’Italia, nella graduale rinascita dell’economia del Michigan, non è secondario. La conquista della Chrysler da parte della Fiat e il rapporto idilliaco che l’amministratore delegato Sergio Marchionne ha saputo abilmente instaurare con le autorità e le forze sindacali, stanno velocemente trasformando il circondario di Detroit in una sorta di «Little Italy». «Marchionne - spiega l’imprenditore - vuole i componentisti vicini alle fabbriche della Chrysler». Ecco, allora, che tra chi ha deciso di puntare sul Michigan e un futuro che vedrà Chrysler e Fiat sempre più un’entità unica, c’è anche Brembo. L’azienda di Alberto Bombassei, neoconsigliere di amministrazione di Fiat Industrial, starebbe trasferendo il proprio Centro ricerche proprio dal Bergamasco alle porte di Motor City. Ma è tutta la Contea di Detroit a stendere il tappeto rosso quando si parla di Italia. Il colpo di Fincantieri, che si è assicurata una commessa di 4 miliardi di dollari per la costruzione di dieci navi militari, darà lavoro a 2.500 residenti del circondario di Detroit. Il cantiere di Marinette Marine si trova al confine tra il Wisconsin e il Michigan e può quindi assorbire manodopera da entrambi gli Stati. «Il ritrovato ottimismo in tutta l’area - aggiunge l’imprenditore - deriva anche dal fatto che Marchionne, fino a questo momento, ha rispettato punto per punto le scadenze del piano di rilancio della Chrysler presentato lo scorso 4 novembre. Nel Michigan la popolazione ama le sfide: è tutta gente forte, che periodicamente è sprofondata nell’abisso per riuscire, in poco tempo, a riemergere e ripartire». In Marchionne e nella Fiat le autorità locali, prima i democratici e ora i repubblicani, con il sindaco di Detroit, Dave Bing e il governatore del Michigan, Rick Snyder, hanno trovato un importante punto di riferimento per dare nuove opportunità al territorio. Non è un caso, al riguardo, che il presidente della Contea di Motor City, l’italo-americano Robert Ficano, abbia dedicato buona parte del suo recente tour in Piemonte alla ricerca di accordi con le piccole e medie realtà industriali del luogo, per lo più aziende della componentistica, quelle del distretto italiano dell’automobile per intenderci. E ancora un italo- americano, il sindaco di Sterling Heights, Richard Notte, ha ringraziato pubblicamente Marchionne, dopo aver ricordato le sue radici ciociare, per aver saputo resuscitare uno stabilimento decrepito e adattarlo, in poco tempo, a ospitare le linee di assemblaggio della nuova Chrysler 200, cioè l’erede della Sebring. Il ringraziamento caloroso era comunque molto interessato visto che l’impianto di Sterling Heights era tra quelli candidati a subentrare a Mirafiori, in caso di successo del «no» al referendum. Ma il legame tra Italia e Michigan non significa solo industria dell’automobile. A Royal Oak, sempre nel circondario di Detroit, Luigi Cutraro fa affari d’oro con il suo ristorante (la cucina è però spagnola) piazzato sull’angolo della Fiat Drive e meta, oltre che di turisti, di manager e tecnici della Chrysler, nonché di uomini d’affari provenienti dall’Italia. «Le autorità del Michigan - ci ricorda ancora l’imprenditore - fanno ponti d’oro a chi vuole investire nello Stato. Le aziende possono contare su forti sgravi fiscali e detassazioni sulle proprietà immobiliari. Il nuovo sindaco di Detroit, prima di darsi alla politica, ha lavorato nel settore della componentistica, e per questo è molto sensibile all’argomento». Dunque, è uno scenario improntato all’ottimismo, grazie anche a un mercato americano dell’auto in ripresa (da 10,4 milioni di unità del 2009 a 11,59 milioni dell'anno passato, con Gm, Ford e Chrysler tutte con il segno positivo) e molto filo-italiano quello che accompagna l’Auto Show di Detroit 2011, aperto al pubblico fino a domenica prossima. «Penso che la vera risposta degli americani alla strategia di Marchionne - ci confessa un manager italiano in pensione che incontriamo al centro commerciale Somerset di Troy, tra Detroit e Auburn Hills - arriverà dall’impatto che la 500 avrà con il pubblico. Conoscendo questa gente non sarà una sfida facile: sono abituati alle auto grandi, Suv e pick-up hanno ripreso a correre. Certi Stati sono legati alle loro tradizioni. Da italiano trapiantato negli Usa spero che la 500 “sfondi”, ma non sarà facile... ». Detroit, intanto, fatica sempre a togliersi di dosso un triste marchio, quello di città pericolosa (tra le prime tre negli Stati Uniti): la media, secondo gli ultimi dati, è di una vittima al giorno in scontri a fuoco per rapine a negozi e distributori di carburante. La periferia di Motor City resta sempre off limits. Il degrado, non è un caso, confina con le fabbriche in disuso delle Big Three, veri monumenti alla paura. Chissà se la svolta arriverà anche qui.
(Fonte: www.ilgiornale.it - 17/1/2011)
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