«I rischi di sovraccapacità nel mercato dell’auto americano sono marginali e se si escludono le preoccupazioni legate alla situazione macroeconomica dormo sonni tranquilli». Così l’amministratore delegato di Chrysler, Sergio Marchionne, ha risposto a un analista che durante la conference call sulla trimestrale della casa U.S.A. controllata dalla Fiat gli chiedeva quale fosse il suo peggior incubo. E ancora: «Il mercato dell’auto U.S.A. è incredibilmente razionale - ha evidenziato Marchionne - e se tutti ci stiamo confrontando con una domanda in aumento, nei nostri siti produttivi l’approccio è molto disciplinato e penso che tutto filerà liscio». I numeri, in effetti, danno ragione al manager italo-canadese. Dati resi noti il 1° maggio dicono che Fiat Chrysler ha guadagnato il 20% nelle vendite in U.S.A., facendo registrare il miglior mese di aprile negli ultimi 4 anni e il venticinquesimo mese consecutivo di crescita, l’undicesimo con una quota superiore al 20%. In particolare, tutti i marchi, dalla Chrysler alla Jeep, dalla Dodge alla Ram Truck, oltre alla Fiat segnano incrementi nelle vendite rispetto all’aprile dell’anno scorso. Infine, il marchio Fiat in U.S.A. fa registrare un aumento nelle vendite record, pari al 336% in più rispetto ad aprile 2011. Eppure, stando ai dati elaborati da uno dei siti economici migliori del mondo, Fred, e immessi nel suo database alla voce “vehicle miles data”, sembrerebbe che il mercato automotive non sia poi così in salute. Guardate questo grafico: mette in paragone la variazione anno su anno delle miglia percorse e quella del Pil. Come potete notare, non si è mai registrato un calo così netto delle miglia percorse in un arco di tempo che non abbia registrato un calo equivalente del Pil. Tant’è, le cifre parlano chiaro. Sicuramente sono la qualità delle auto prodotte (nonostante le quote di mercato parlino chiaro, modelli bread-and-butter come la Ford Fusion sono al top delle vendite) e una strategia di aggressione del mercato al centro di questo successo, ma una componente fondamentale del mercato automotive U.S.A. è rappresentata dalla capacità e volontà dei cittadini statunitensi di indebitarsi per comprare un’automobile e da un nome: Ally Financial. Molti analisti automotive, infatti, a fronte di questi numeri si chiedono: da dove vengono quei soldi? Lo scorso anno le vendite di automobili negli U.S.A. sono cresciute del 10%, a fronte invece di una crescita solo frazionale del mercato immobiliare. Quindi, siamo di fronte a un cambio di abitudini da parte dei consumatori? Ed ecco entrare in scena Ally Financial, la quale è convinta di questo: i consumatori tendono a saltare più facilmente il pagamento di un rata del mutuo della casa piuttosto che quella dell’automobile, almeno così dicono i dati durante tutta la recessione. Due le motivazioni plausibili: le rate per le automobili sono più gestibili a livello di costo di una rata del mutuo, soprattutto se acceso a condizioni borderline prima del 2008. Secondo, il consumatore medio ha bisogno della macchina per lavorare. Nella sola California, in marzo, ci sono stati 29mila pignoramenti di case: forse, quella gente, ha preferito salvare ancora per un po’ l’auto. Insomma, grandi numeri e grandi aspettative per l’industria automobilistica: ma quei numeri snocciolati da Chrysler sono veri profitti oppure l’automotive U.S.A. è soltanto la nuova grande bolla in lavorazione, con prestiti a consumatori che non saranno mai in grado di ripagare quei soldi? Stando all’ultimo report di Experian Automotive, rispetto al mercato dell’ultimo trimestre 2011, il credito al consumo nel settore sta sempre più allentando i cordoni delle garanzie, tassi di interesse per prestiti sia per auto nuove che usate stanno scendendo e la loro durata allungandosi. Inoltre, tutti i cittadini americani vengono valutati in base al punteggio Plus di Experian quando vanno a comprare un’auto, un credit score molto simile al sistema Fico. Le categorie sono cinque: super prime (più di 740 punti), prime (680-739), nonprime (620-679), subprime (550-619) e deep subprime (meno di 550 punti). Bene, per quanto riguarda le auto usate, nell’ultimo trimestre del 2011 il compratore medio aveva rating 670, ovvero nonprime, mentre il finanziamento medio concesso è salito a 26.419 dollari per le auto nuove e 17.404 per quelle usate, con tassi d’interesse scesi al 4,52% per il nuovo e 8,68% per l’usato. Ancora, Experian conferma che rispetto a un anno prima, nell’ultimo trimestre del 2011 gli acquisti di auto nuove da parte di consumatori con valutazione nonprime o ancora più bassa sono saliti del 13,8%, contro il +8% delle auto usate. Stando a dati della CNW, una società di ricerche di mercato dell’Oregon, il rating di credito dei compratori di nuove auto, a metà del 2011 aveva toccato i suoi minimi da cinque anni, con gli acquirenti con valutazione sotto quota 670 punti base che contava per il 14,5% del totale. Anche l’ammontare offerto a questi acquirenti è salito, arrivando a una media di 1.548 dollari per un’auto nuova e 772 dollari per una usata. Tanta è la voglia di vendere auto che i compratori con valutazione deep subprime, la peggiore, nel terzo trimestre del 2011 hanno visto scendere il tasso di interesse richiesto dello 0,89%, toccando quota 12,51%, contro il 9,55% per i subprime, il 6,34% per i nonprime, il 4,54% per i prime e il 3,29% per i superprime. Bene, cosa c’entra Ally Financial in tutto questo discorso? Fino al marzo 2013, Ally gestirà le vendite a rate e finanziamenti al consumo per Fiat-Chrysler, la quale però deve aver capito che certe pratiche rischiano l’effetto bolla se, come sta accadendo, sta trattando per sostituire Ally con una joint venture tra Wells Fargo e Santander Holdings U.S.A. . Ma sono anche altre le banche interessate al business, tra cui General Electric Capital Corp, U.S. Bancorp e JP Morgan Chase: d’altronde, Chrysler genererà prestiti per auto pari a 25 miliardi di dollari l’anno. Insomma, dalla gestione unica di Ally a un approccio multi-sigla per gestire la parte finanziaria. Solo che Ally Financial non è un’istituzione finanziaria come le altre, bensì un banca salvata (meglio nota come GMAC) e ora controllata dal governo U.S.A. al 74%, da cui ha ricevuto 17,2 miliardi di dollari di denaro pubblico per non andare a zampe all’aria per i prestiti immobiliari dell’era subprime. Di più, Ally ha rating al di sotto dell’investment grade, doveva quotarsi in Borsa nel 2011 per restituire parte dei soldi al Governo ma l’Ipo non è andata in porto e pare che stia per decidere la procedura fallimentare per la sua unità mutui, Residential Capital. In compenso, gli affari vanno a gonfie vele: basti dire che i nuovi leasing concessi nel primo trimestre dello scorso anno hanno superato del 59% quelli dell’ultimo trimestre del 2010. Ancora meglio il settore auto usate, con un rotondo +73%. Non ha dubbi sulla bontà della strategia, il presidente di Ally, William Muir, secondo cui «la gente deve scordarsi l’accostamento tra la parola subprime e la parola disastro. Il mercato del prestito auto subprime è decisamente attraente e i margini di profitto dei nostri prestiti coprono ampiamente i rischi in caso di non pagamento da parte del debitore. Inoltre, offrire prestiti sulle auto usate fa affezionare i clienti all’azienda». Sembrano gli stessi argomenti molto in voga nel mercato real estate nel 2003, ma tant’è, Ally sta non solo offrendo sempre più prestiti ad acquirenti subprime, ma anche finanziando sempre più acquisti di auto usate, con il target preciso di salire a quota 50%, dal poco più del 20% attuale. Peccato che rispetto a concorrenti più solidi, Ally non solo ha costi di finanziamento di parecchi punti maggiore, ma utilizza molto denaro proveniente da mercati del credito variabili: nel corso dello scorso anno ha pagato un tasso d’interesse medio del 5,16%, annualizzato, sulle sue liabilities, più di cinque volte quanto pagano JP Morgan Chase o Wells Fargo, secondo prestatore nazionale per il settore automotive: non a caso, i due soggetti che puntano a soppiantare Ally nel rapporto con Chrysler. Inoltre, non avendo un network di filiali, Ally dipende molto dal prestito sul mercato dei bonds e non dei depositi: per attrarre clienti, Ally paga sui depositi l’1,83% contro ilo 0,53% di JP Morgan Chase e lo 0,38% di Wells Fargo. Per tentare di colmare questo gap, Ally aveva pensato di acquisire Ing Direct, che gode di maggior depositi, ma anche in questo caso i costi non erano paragonabili a quelli delle grandi banche. Infine, Ally paga il suo stretto legame con General Motors, la quale nel 2010 è sì pesata per metà dei suoi prestiti, ma ha anche acquisito AmeriCredit, istituto destinato a diventare il suo nuovo finanziatore in-house per il credito al consumo dal 2013, ovvero da quando dovrebbe terminare anche il contratto con Chrysler. «Ally è il tipo di azienda che avrà certamente bisogno dell’ambulanza del governo a un certo punto in futuro, non so quanto presto o tardi ma so che accadrà», ha confermato a Reuters, James Ellman, manager alla Seacliff Capital a San Francisco. Difficile dargli torto, visto che Ally ha avuto bisogno di aiuto governativo per tre volte durante la crisi finanziaria a causa del collasso del ramo mutui subprime. E anche visto il comportamento di altre banche, come ad esempio JP Morgan che nel primo trimestre già dello scorso anno aveva tagliato del 24% i suoi nuovi prestiti per auto rispetto allo stesso periodo del 2010, scendendo a quota 4,8 miliardi di dollari. Di contro, Ally nello stesso trimestre aveva prestato 11,6 miliardi di dollari, su del 93% rispetto all’anno precedente: i prestiti di Ally pesano per il 10% del totale negli U.S.A. per quanto riguarda il ramo automobili, stando a Experian. Sempre nel primo trimestre del 2010, il volume delle auto usate di Ally era salito del 128% rispetto a un anno prima. A conti fatti, Ally ha 56 miliardi di dollari di prestiti per automobili nel suo bilancio, tre volte il suo valore di circa 20 miliardi di dollari. Questa politica di prestito e acquisto ha aiutato non solo la ripresa del mercato automobilistico U.S.A., ma anche il rialzo dei prezzi, ai massimi da sempre lo scorso anno, stando a rilevazioni di Manheim Consulting. «Il rischio, con prezzi a questo livello, è che c’è un solo posto dove possono andare: giù. E un crollo del prezzi delle auto usate potrebbe tramutarsi in più alte perdite, quando i creditori andranno in default», sentenziano alla CRT Capital. Ecco spiegato l’attivismo di Fiat-Chrysler nel dire addio ad Ally, ma anche i numeri record del mercato automotive U.S.A.: durerà o si tratta dell’ennesimo record creato da una bolla? Sarà per seguire questo modello che Peugeot, Citroen e Volkswagen hanno utilizzato i loro rami finanziari per partecipare alle aste Ltro della BCE? Stiamo diventando americani?
(Fonte: www.ilsussidiario.net - 8/5/2012)