mercoledì 31 ottobre 2012

Piano Fiat 2013-2016: ecco i dettagli


Sergio Marchionne ha delineato i dettagli del piano industriale del Gruppo Fiat per i prossimi anni. Dopo la presentazione dei risultati finanziari, dunque, è arrivato il momento di parlare di marchi e prodotti. Le notizie sono tante e interessanti. Ecco i punti principali dei programmi del Lingotto, che ha innanzi tutto confermato l'intenzione di non chiudere fabbriche in Italia.
Diciassette nuovi modelli - Il piano prodotto passa in particolare per il lancio di 17 nuovi modelli da oggi al 2016: tre verranno presentati l'anno prossimo, sei nel 2014, cinque nel 2015 e tre nel corso del 2016. Fiat nei prossimi anni spingerà con più convinzione sui modelli di maggiore prestigio: è questa la chiave per incrementare i margini e scongiurare la chiusura di una o più fabbriche, che altrimenti sarebbe diventata una realtà.
Quattro marchi globali - Dal quadro complessivo emerge con chiarezza come il piano di Marchionne passi per quattro punti cruciali, che corrispondono a quelli individuati dalla dirigenza come i marchi dal respiro globale attualmente nelle mani del Gruppo: Alfa Romeo, Maserati, Jeep e 500, con quest'ultimo che darà vita a una vera e propria famiglia dalla specifica personalità, differenziata da quella del marchio Fiat.
Ritorno al prestigio - Alfa Romeo e Maserati diventeranno il fulcro di un'operazione di recupero del prestigio avuto in passato, che porterà a un riposizionamento dei marchi tramite la spinta sui nuovi prodotti. "Non c'è solo la Ferrari", afferma Marchionne: "abbiamo almeno tre marchi in grado di competere nei segmenti più elevati del mercato, quelli in grado di garantire i margini più elevati.
Il potenziale del Biscione - "A gennaio lanceremo la nuova Quattroporte, e poi tra il 2013 e il 2014 verranno presentate altre due novità di prodotto, che contribuiranno a ridare forza alla Maserati tra i più importanti Costruttori internazionali di auto sportive", ha affermato Marchionne, che ha poi parlato di Alfa Romeo nei termini del marchio "dal potenziale più elevato" in ottica futura.
Produrre per esportare - Il rilancio dei due marchi italiani sarà reso possibile dalle decisioni prese nei primi tre anni del matrimonio tra Fiat e Chrysler, che hanno portato allo sviluppo delle piattaforme necessarie a dare vita ai nuovi modelli, da un lato, e all'apertura di nuovi mercati, dall'altro, per la precisione il Nord America e la regione Asia-Pacifico.
Il futuro di Fiat - Ciò detto, va comunque chiarito che l'attenzione per i marchi e i prodotti generalisti non verrà meno: Fiat si concentrerà sui suoi punti di forza, che di fatto oggi sono tutti concentrati nel segmento A. Tra le citycar, il marchio ha per le mani due veri e propri "sub-brand", dalle vocazioni molto diverse fra loro. Uno è quello della Panda, l'altro è quello della 500 che, come detto, darà vita a una vera e propria famiglia di prodotti destinata a essere commercializzata su molti mercati internazionali.
Il destino incerto di Lancia - Le note dolenti sono quelle riservate al marchio Lancia, che vedrà significativamente ridotto il suo ruolo all'interno del Gruppo. Per il marchio torinese Marchionne ha avuto parole di asciutto realismo: "La Lancia di un tempo non tornerà", ha affermato l'ad, che ha poi ribadito comunque l'importanza della Ypsilon. Oltre alla piccola, la Casa offrirà in gamma i modelli derivati dalla produzione Chrysler, laddove possano garantire un ritorno economico.
Le piccole Jeep "europee" - Venendo ai marchi americani, l'unico in grado di sostenere il ruolo di "global brand", nel piano di Marchionne, è Jeep. La Casa vedrà crescere la propria offerta verso il basso, con prodotti pensati per il mercato europeo che avranno un ruolo centrale nei piani di "saturazione" delle fabbriche europee, dalle quali usciranno molti dei prodotti dei quattro marchi globali.
"Riempire" le fabbriche italiane - Con questa soluzione Fiat conta di risolvere, da un lato, la questione produttiva europea e, dall'altro, di rispondere al problema diametralmente opposto degli stabilimenti nord/sudamericani, che già viaggiano al massimo delle loro capacità e che sono chiamati ad assorbire la produzione dei nuovi modelli Chrysler attesi da qui al 2015.
Il prestigio resta qui - Secondo le previsioni, almeno il 15% della produzione nelle fabbriche europee sarà destinata all'export, e proprio la piccola Suv della Jeep sarà centrale in questo senso. In sostanza, l'obiettivo è quello di tenere i modelli di maggior valore, compresi naturalmente quelli a marchio Alfa Romeo e Maserati, nelle fabbriche italiane e portare fuori dai confini nazionali le linee dei modelli Fiat di normale produzione.
(Fonte: www.quattroruote.it - 30/10/2012)

martedì 30 ottobre 2012

Maserati Ghibli: basata sulla Lancia Thema?


La Maserati Ghibli sarà una vettura molto importante per Maserati, piazzandosi nel segmento E aprirà le porte ad una nuova clientela, aumentando così l’appeal del marchio verso il pubblico ed innalzando il volume di vendite. Posizionandosi al di sotto della Maserati Quattroporte, sia per dimensioni, sia per prezzo, la nuova Maserati Ghibli rappresenterà la nuova entry level del Tridente e secondo le prime indiscrezioni potrebbe arrivare già alla fine del 2013 ed avere un prezzo di partenza stimato che si aggirerebbe attorno ai 60 mila euro. Secondo le prime fughe di notizie, sembra che la Maserati Ghibli utilizzerà un telaio modificato da Maserati e basato su quello della Chrysler 300, lo stesso della Lancia Thema, a sua volta sviluppato partendo dal telaio della Mercedes Classe E w210 e creato nel periodi di alleanza Daimler-Chrysler. Alcune fonti parlano di diverse motorizzazioni per la Maserati Ghibli, che comprenderebbero un V6 Turbo ed un V8, sempre turbo, derivato da un propulsore Ferrari, oltre ad un propulsore a gasolio che rappresenterà probabilmente la versione d’ingresso della gamma. L’entry level a benzina della Maserati Ghibli dovrebbe essere un V6 turbo ad iniezione diretta da 390 cavalli. Questo motore potrebbe riprendere alcune parti dagli attuali Pentastar di Chrysler ma sarà sviluppato quasi da zero dal marchio Maserati ed in futuro potrebbe arrivare anche su vetture del gruppo Chrysler e forse anche su qualche Alfa Romeo, soprattutto per il mercato americano. Il top di gamma della Maserati Ghibli dovrebbe invece essere una versione depotenziata del V8 turbo ad iniezione diretta di origine Ferrari che dovrebbe spingere anche la nuova Maserati Quattroporte. Il propulsore potrebbe essere un 3.8 litri e dovrbbe sviluppare una potenza attorno ai 490 cavalli: entrambi i motori dovrebbero essere abbinati unicamente al cambio automatico ZF, con convertitore di coppia, ad otto rapporti.
(Fonte: www.caranddriver.com - 18/10/2012)

lunedì 29 ottobre 2012

Jeep Wrangler: ora si può "ritagliare"


Sul sito Jeep (www.jeep-official.it) è disponibile una curiosa applicazione sviluppata da Wedoo che permette di configurare la fuoristrada americana secondo le proprie necessità. E fin qui, niente di nuovo, ce l'hanno tutti. Al termine della selezione del colore, degli accessori eccetera fa la sua comparsa la funzione "Papertoy" che permette di stampare un vero e proprio cartamodello dell'esemplare scelto e di costruirlo, con un po' di pazienza, in versione 3D. Armati di forbicine e di colla, dopo aver stampato a colori la rappresentazione 2D, bisogna tagliare lungo i bordi e piegare secondo le linee tratteggiate. Il modello prevede la parte superiore nella tinta e con le opzioni scelte e il sottoscocca con dettaglio degli organi meccanici (con una leggera imprecisione: una foto della Wrangler viene usata per tutti i modelli, anche quelli 4x2). Insomma, in mancanza del "capitale" per l'acquisto ci si può consolare con una piccola flotta di Jeep in scala 1:35.
(Fonte: www.quattroruote.it - 18/10/2012)

domenica 28 ottobre 2012

Industria dell'auto: incremento dell'età media della forza lavoro. La ricetta di BMW


Il gruppo Bmw pensa al futuro dei suoi lavoratori. Un patrimonio inestimabile soggetto al fenomeno del "cambiamento demografico", l'invecchiamento della popolazione in molte società industriali dell'Occidente, che pone molte sfide all'economia e alle aziende in questi paesi, sia in termini di clienti e di mercati sia per quanto riguarda la politica delle risorse umane. Ecco come il marchio tedesco affronta la difficile sfida. Secondo studi autorevoli si stima che in molte aziende tedesche la percentuale di dipendenti che superano i 50 anni d'età costituirà oltre la metà della forza lavoro complessiva già nel 2015. Per questo motivo, già nel 2004 Bmw ha lanciato il programma preventivo "Oggi per domani" per affrontare in modo adeguato il mutamento demografico e per assicurare la competitività e l'innovazione anche se la forza lavoro sarà mediamente più anziana. Gli aspetti principali di questo piano interessano la "Gestione della salute sul posto di lavoro", "Leadership e livello di qualifica", "Ambiente di lavoro", "Modelli di pensione" e "Gestione della comunicazione e dei cambiamenti in atto". Secondo gli esperti della casa di Monaco: "La questione centrale - a parte la creazione di modelli di pensionamento flessibili (accordo aziendale per quanto riguarda il lavoro part-time durante un periodo di prepensionamento) - era come riuscire a mantenere la salute e le performance della forza lavoro. Questo perché, com'è stato dimostrato da studi scientifici, le capacità non diminuiscono necessariamente con l'età; anzi, possono essere specificamente stimolate e mantenute. Inoltre, secondo gli studi, i dipendenti più anziani possono contare su un'esperienza considerevole, un alto grado di lealtà, una grande consapevolezza della qualità e via di seguito. In una prima fase del programma, argomenti come l'ergonomia, la cura della salute, la leadership e la formazione sono stati individuati e trattati come principali aree di attività e come sotto-progetti". Così è stato avviato il programma di integrazione dei contenuti del progetto "Oggi e domani" nella produzione presso gli stabilimenti. Per quanto riguarda il design delle postazioni di lavoro/l'ergonomia si è proceduto in questo senso: "Postazioni di lavoro progettate ergonomicamente e situate, secondo le analisi della Aba Tech1, nella "green area" dove i dipendenti non siano sottoposti ad eccessivi stress fisici o psicologici (per esempio ripiani troppo elevati o troppo ampi, pesi eccessivi). Miglioramento ergonomico dei materiali (in collaborazione con TU München); Analisi ergonomica delle postazioni di lavoro mediante AbaTech; Possibilità di stare seduti per far riposare temporaneamente i muscoli e la struttura ossea; Tavoli regolabili che si adattino all'altezza dei lavoratori; Pavimenti in legno per un miglior assorbimento; Piani inclinati per una sistemazione ottimale dei materiali; Monitor flessibili, nonché scritte con caratteri più grandi". In tema di organizzazione del lavoro è stata prestata particolare attenzione ad aspetti come "Un design "intelligente" del sistema complessivo, basato, per esempio, sul "micro-decoupling", la rotazione tra postazioni di lavoro ottimizzata per combattere lo stress (come un "corso di fitness"), momenti per socializzare (per esempio mediante pause di lavoro effettuate in gruppo) ed il rafforzamento del senso di responsabilità del gruppo, modelli per turni e orari "socialmente accettabili". Passando a salute e prevenzione "Le prestazioni umane, sia fisiche che mentali, non diminuiscono necessariamente con l'avanzare dell'età. Possono essere conservate grazie a misure di prevenzione. Anzi, possono anche essere aumentate. Creare impianti ed attrezzature per il recupero attivo e passivo vicino al posto di lavoro ("active area" e sala di risposo); l'offerta di fisioterapia in loco, l'insegnamento di esercizi correttivi nei posti di lavoro; l'addestramento mirato e seminari dedicati alle tematiche dell'età e della salute (per es.: seminari su "l'Età Biologica", "l'Esercizio e la Dieta", "lo Stress"); una scelta variata e salutare degli alimenti presenti nelle mense e nei distributori automatici; informazioni sulle risorse per la cura preventiva della salute fornite dalla Bkk (fondi per l'assicurazione sanitaria dell'azienda)". Infine in materia di leadership e organizzazione sono state fatte le adeguate considerazioni: "Il compito dei manager è capire quando sorgono gli stress fisici e mentali e impegnarsi insieme ai dipendenti per migliorare la situazione, ottimizzando l'ambiente lavorativo (stile di management partecipativo); i manager devono rendersi disponibili e promuovere la consapevolezza delle tematiche. I manager sono anche responsabili per il training dello staff. Ciò è importante poiché: a) una formazione inadeguata o l'imposizione di pretese eccessive è stressante per i dipendenti e b) buone qualifiche sono essenziali per la rotazione". Insomma il Gruppo tedesco non pensa solo a produrre nuovi modelli di auto e moto ma si preoccupa di preservare un capitale preziosissimo composto dai suoi tanti operai e dalla loro grande esperienza.
(Fonte: www.repubblica.it - 16/10/2012)

sabato 27 ottobre 2012

"Maserati Classiche": ritorno alle origini


"Gentile Estimatore del marchio, è con grande piacere che la Maserati comunica la nascita dell'Ente Maserati Classiche, dedicato alle vetture d'epoca del marchio del Tridente. Il principale obiettivo è quello di promuovere il grande patrimonio storico aziendale e di supportare le iniziative degli appassionati del nostro marchio nonché dei Maserati Club."
Riaperto l'archivio - Ecco il benvenuto dell'Ente Maserati Classiche ai suoi ammiratori. Da oggi, Maserati Classiche ritorna alle origini e apre le porte del suo prezioso archivio storico fatto di numerosissimi documenti, disegni tecnici e progetti dal 1926 a 1985. All'inizio del ventesimo secolo, quando la velocità infiammava gli animi degli appassionati, l'automobile, oggetto riservato a pochi, diventò soprattutto il simbolo di libertà ed emancipazione. A quell'epoca nel mondo dell'auto fecero la loro apparizione i fratelli Maserati, che scrissero il primo capitolo di una storia lunga un secolo. Un passato da riscoprire e possedere.
Un tuffo nel passato - Già, così Maserati Classiche propone ai suoi clienti un tuffo nel passato che permette di "entrare" in un grande archivio contenente documenti di ogni genere, attestati che raccontano la storia di molte delle vetture realizzate dalla Casa del Tridente, dal momento del loro ordine fino alla consegna. Insomma, per tutti gli appassionati viene offerta una possibilità unica: quella di ottenere la copia conforme all'originale dei documenti storici della propria Maserati classica riprodotti su carta pergamena. Sì, perché è possibile richiedere di verificare la disponibilità di alcuni documenti come: l'ordine; la scheda di collaudo (la più interessante poiché riporta dettagli tecnici sul motore, informazioni sul colore della carrozzeria, interni, chiavi e tappeti); la scheda tecnica; la scheda di fine linea; l'avviso di spedizione (il documento che accompagnava l'auto durante la prima consegna da parte della Casa).
Certificazione della propria auto - Maserati Classiche, inoltre, garantisce ai propri appassionati l'opportunità di ottenere documenti che certifichino non solo l'origine dell'auto, ma che ne attestino anche la storia. Così si può ottenere il certificato di origine che, ufficializzato dalla Casa, riporta data di produzione, nome della fabbrica al momento della produzione, modello della vettura, numero di matricola, caratteristiche del motore, tipo di carrozzeria, numero delle porte. Insomma, un documento ufficiale indispensabile per l'iscrizione della vettura alle varie associazioni.
Schede complete - Da citare, inoltre, il documento redatto da Maserati che riporta le caratteristiche tecniche ed estetiche della vettura come, ad esempio, il modello, la data di produzione, il numero del motore, il tipo di carrozzeria nonché il colore esterno (completo di codice vernice, quando disponibile), l'allestimento interno (con codice pelle quando disponibile) ed eventuali accessori.
Volumi per collezionisti - Prosegue, infine, la collezione "Maserati Classiche", dedicata a tutti i collezionisti e appassionati del marchio del Tridente. Dopo il successo raggiunto dai primi quattro kit della collana, Maserati propone cinque nuovi volumi a edizione limitata che arricchiscono la collezione con i modelli 3500 GT, Mistral, Khamsin, Ghibli e Biturbo. Per ogni modello vettura è stato disegnato un elegante e pratico cofanetto che racchiude le ristampe di cataloghi ricambi, libretti di uso e manutenzione e i cataloghi di omologazione riprodotti in modo fedele e rilegati esattamente come nella loro versione originale. A completare il cofanetto si aggiungono la copia dall'originale di brochure commerciali ricercate minuziosamente all'interno dell'Archivio Storico Maserati, un modellino in scala 1:43 e il disegno della vettura.
Indirizzi utili - Per concludere, ecco alcuni indirizzi utili per l'emozionante ritorno alle origini della Casa di Viale Ciro Menotti 322, a Modena. La collana "Maserati Classiche" è disponibile presso la rete di concessionari ufficiali Maserati e sul sito Internet www.maseratistore.it, mentre entrando nel sito della Casa (www.maserati.it) cliccando prima su "Passione" e poi su "Maserati Classiche", si ha un'anteprima del contenuto di un prezioso archivio a disposizione non solo dei clienti d'auto d'epoca del Tridente, ma anche di chi ama le Maserati.
(Fonte: www.quattroruote.it - 16/10/2012)

venerdì 26 ottobre 2012

Manley: "Jeep pronta ad andare in Cina"


Il mercato mondiale dell’auto è sempre più fluido, con impianti che vengono aperti o chiusi e marchi reintrodotti o ritirati dai mercati a seconda dell’andamento della domanda. In questo scenario Sergio Marchionne, dopo le recenti polemiche sul destino degli impianti italiani, sembra ora volersi concentrare sui mercati emergenti, che hanno visto storicamente il gruppo mantenere una posizione di leadership in Brasile e cercare di sbarcare in Cina con numeri consistenti. Se nel primo caso Fiat (e Volkswagen) debbono guardarsi le spalle da concorrenti come Hyundai, intenzionati ad aprire nuovi impianti nel paese latino americano (la cui capacità produttiva è vista in crescita del 50% da qui al 2014) proprio mentre la crescita delle vendite appare in rallentamento, cosa che rischia di mettere i margini del gruppo italiano sotto pressione, nel secondo caso Marchionnne sembra intenzionato a giocarsi la carta Jeep. Il marchio delle controllata americana Chrysler specializzato nella produzione di Suv oggi realizza l’intera sua produzione nei tre impianti americani in Michigan, Illinois e Ohio, ma secondo quanto dichiarato dal Ceo di Chrysler e Fiat per l’Asia, Mike Manley, sta “rivedendo le opportunità (produttive) all’interno dell’attuale capacità” ed è pronto a considerare “la rilocalizzazione dell’intera produzione di Jeep o di una parte di essa”. Chrysler punterebbe sulla Cina per far fronte alla debole domanda europea e a tal fine sarebbero già stati avviati colloqui in fase avanzata tra la stessa Fiat S.p.A. e il suo partner cinese Guangzhou Automobile Group. Complessivamente Chrysler punta a vendere almeno 500 mila autovetture e Suv entro il 2014 fuori dal mercato americano, più del triplo di quanto vendeva sui mercati esteri nel 2009, quando Fiat riuscì a convincere l’amministrazione Obama di essere il cavallo giusto su cui puntare per una rinascita del gruppo, da anni in grave crisi. In effetti le premesse per vedere Chrysler crescere in Cina (e così dare una mano a Marchionne a lasciarsi alle spalle uno dei problemi che non hanno finora trovato soluzione, appunto la presenza marginale sul mercato cinese) ci sono tutte, visto che da inizio anno il marchio ha già più che raddoppiato le proprie immatricolazioni con 22.463 vetture vendute, superando già nel mese di luglio il totale delle consegne effettuate nel 2011. La capacità produttiva dell’impianto della joint-venture Fiat-Guangzhou a Changsha, nella Cina centrale, è di 140 mila vetture l’anno, ma è già prevista la possibilità di salire fino ad un massimo di 500 mila vetture l’anno. Nei piani di Marchionne, dopo l’avvio della produzione della compatta Fiat Viaggio vi è l’introduzione di un nuovo modello in produzione ogni 12 mesi: l’estate prossima potrebbe dunque toccare ad un Suv a marchio Jeep. Per quella data Marchionne dovrebbe anche aver sciolto le ultime riserve e avviato i lavori per raddoppiare lo stabilimento brasiliano a Pernambuco, dove potranno essere prodotte altre 250 mila vetture l’anno. L’importante, nell’uno e nell’altro caso, sarà non sbagliare marchio e modelli, così da difendere i margini in un mercato dell’auto sempre più globale dove si combatte ormai una battaglia all’ultima linea produttiva.
(Fonte: http://affaritaliani.libero.it - 23/10/2012)

giovedì 25 ottobre 2012

Dodge Dart sul podio nei crash test U.S.A.


La Dodge Dart conquista un primo podio, quello della sicurezza, ottenendo il “Top Safety Pick”, una sorta di Euro-NCAP americano, dall’Insurance Institute for Highway Safety (Istituto di Certificazione per la Sicurezza Stradale), secondo quanto ha riportato la Reuters. Si tratta del più significativo riconoscimento riservato a vetture che abbiano ottenuto, secondo gli standard americani, il massimo punteggio durante i crash test, che prevedono l’urto frontale, laterale e posteriore e il ribaltamento. “Avevamo grandi aspettative per la Dart e i nostri ingegneri hanno raggiunto l’obiettivo”, ha dichiarato Reid Bigland, capo del marchio Dodge. La Dart è il primo modello disegnato e progettato congiuntamente da Fiat e Chrysler sulla piattaforma C-Wide adottata anche dall’Alfa Romeo Giulietta e dalla Fiat Viaggio. Con questo risultato la Dart entra nella lista delle trentuno auto compatte americane più sicure e ricompensa gli sforzi fatti dai tecnici del gruppo Fiat-Chrysler per elevare il livello di sicurezza anche tra le vetture piccole. Insieme alla Dart hanno ottenuto lo stesso titolo anche la Hyundai Santa Fe, la Lexus ES e la Subaru XV. Mentre il 73% dei modelli testati lo scorso dall’IIHS ha ottenuto il punteggio massimo di sicurezza, i test del prossimo anno saranno più restrittivi. I nuovi crash test frontali valuteranno la sicurezza del veicolo nell’impatto frontale disassato contro uno spigolo. Delle undici vetture di segmento medio alto, che sono state recentemente sottoposte a questi nuovi test frontali solo due hanno ottenuto il punteggio massimo secondo quanto ha dichiarato l’IIHS.
(Fonte: www.crisalidepress.it - 9/10/2012)

mercoledì 24 ottobre 2012

No di CNH alla fusione con Fiat Industrial


Il “no” opposto al progetto di fusione tra Cnh e Fiat Industrial dal gruppo americano è un colpo basso che Marchionne - capo del gruppo Fiat-Chrysler - proprio non s'aspettava. Lo “special committee” del consiglio di amministrazione di Cnh, leader nelle macchine per le costruzioni e l’agricoltura, ha deciso di “non raccomandare” le condizioni proposte da Fiat Industrial lo scorso 30 maggio per l’integrazione tra i due gruppi: “La proposta di fusione di Fiat Industrial con Cnh è inadeguata (39 azioni Fiat Industrial contro 1 Cnh, ndr). Dopo aver valutato con attenzione la proposta di fusione del 30 maggio, tutte le informazioni disponibili e le opinioni dei consulenti Jp Morgan e Lazard”, la conclusione è stata che “la proposta non è nel miglior interesse di Cnh e dei suoi azionisti”. Uno schiaffo in piena faccia, che inchioda Marchionne a una trattativa imprevista alla quale, peraltro, il manager ha subito detto di volersi sedere riaffermando la necessità di creare un’unica società di diritto olandese alla quale conferire la produzione di tutti i veicoli industriali del Lingotto. Ma è un caso isolato o va letto in fila con altro? Di sicuro l'America aveva appena riservato un altro dispiacere a Marchionne, con la rottura delle trattative tra la Fiat e il fondo Veba - gestito dal sindacato U.S.A. Uaw - per rilevare un'ulteriore quota del 3,32% di Chrysler. Dopo il “no” di Veba Fiat ha addirittura fatto ricorso alle vie legali: la sua “controllata Fiat North America ha avviato un giudizio di accertamento dinnanzi al Court of Chancery del Delaware per ottenere conferma del prezzo che dovrà essere pagato per la partecipazione, pari a circa il 3,3% del capitale di Chrysler Group LLC, che Veba dovrà cedere a Fiat in forza del contratto di opzione concluso tra le parti il 10 giugno 2009”. Cosa sta succedendo? Una cosa assai semplice: il vento americano verso Marchionne sta cambiando. A furia di gridare ai quattro venti che l'Italia è, per il gruppo, una palla al piede, che per colpa dell'Italia Fiat perderà quest'anno 700 milioni di euro, che se dipendesse da lui se ne andrebbe, Marchionne ha convinto i suoi amici americani. È gente semplice, non levantina: e pensa, giustamente, che quando uno si sgola a ripetere che bisogna andar via dall'Italia, poi deve andarsene sul serio. E che quei 700 milioni farebbe meglio a non perderli per passare stipendi improduttivi ai nostri Cipputi, ma per pagare di più le azioni di Chrysler o di Cnh. Come dire: Marchionne se l'è cercata. Il seguito è tutto da vedere, su entrambe le vicende. Sul fondo Veba, ormai deciderà il giudice. Sul caso Cnh, la nota dettata da Marchionne dopo il “no” della controllata fa capire che lui rilancia per stringere i tempi: la fusione e il trasferimento della sede della nuova holding in Olanda è una mossa strategica. È semplicemente una questione di soldi e Marchionne si rassegnerà a pagare di più. Del resto, secondo i “resistenti” di Cnh, l'”enterprise value” proposto da Fiat nello schema di fine maggio, pari a 3,2 volte il margine operativo lordo, è svantaggioso rispetto a quello dei concorrenti di Cnh, cioè John Deere, che vale 6,3 volte il mol, e Scania, che vale 6,4 volte.
(Fonte: http://economia.panorama.it - 16/10/2012)

martedì 23 ottobre 2012

Bonora (AMOER): "L'affare Opel brucia, ma il futuro di Fiat-Chrysler parla giapponese"


Il matrimonio tra Fiat e Opel non s’ha da fare. A mettere una volta per tutte la parola fine a un corteggiamento nato nel 2009 e non andato mai in porto è ancora una volta Sergio Marchionne: “Nel 2008 eravamo interessati a una alleanza con Opel, era un progetto perfetto per quegli anni, riguarda il passato e non ha nessuna proiezione nel futuro, dove noi già siamo”, avrebbe detto l’ad del Lingotto. Chiuso il capitolo General Motors, dunque, per Fiat si potrebbe presto aprire la nuova saga asiatica che, a detta di molti, sarebbe in grado di regalare maggiori soddisfazioni. A descrivere i possibili scenari futuri è Pierluigi Bonora, giornalista, cofondatore e presidente di AMOER.
La smentita su Opel la stupisce?
Non più di tanto, ma credo che l’affare Opel, non andato a buon fine nel 2009, ancora bruci molto a Marchionne. In qualche modo l’amministratore delegato del gruppo Fiat-Chrysler continua a tastare il terreno per capire se possano esserci eventuali aperture. Attualmente, però, sia Fiat che Opel stanno vivendo un momento molto difficile, quindi non è detto che un’eventuale fusione possa portare a un effettivo miglioramento.
Quali sono i principali ostacoli?
La Fiat deve fare i conti con un eccesso di capacità produttiva in Italia, mentre già da parecchio tempo si parla della possibile chiusura di un impianto Opel. Inoltre, pare che ci sia stato il tentativo di Marchionne di acquisire la casa tedesca praticamente a costo zero, una mossa che difficilmente in Germania avrebbero permesso.
Come giudica un rafforzamento del rapporto con Suzuki?
Tra Fiat e Suzuki è sempre esistito un rapporto di collaborazione con il quale si è anche arrivati alla produzione in Ungheria, nello stabilimento della casa giapponese alle porte di Budapest, della Fiat 16 e dell’SX4 targato Suzuki. Attualmente Fiat continua a fornire i motori a Suzuki, quindi un eventuale rafforzamento dell'intesa potrebbe rivelarsi decisamente valida in futuro. Il problema è che la casa giapponese è ancora legata a Volkswagen da un vincolo azionario e sappiamo quanto siano difficili i rapporti tra la casa tedesca e Fiat.
Ritiene interessante anche un’eventuale collaborazione con Mazda?
Mazda è il nuovo alleato del gruppo Fiat e, probabilmente, anche quello da cui ci si potrebbero attendere le maggiori sorprese. I due gruppi realizzeranno tra non molto in Giappone il nuovo Duetto per Alfa Romeo, basato sulla prossima Mazda MX-5, e già nel corso della scorsa estate alcuni tecnici della casa giapponese hanno visitato gli impianti di Pomigliano.
Si diceva, infatti, che cercassero stabilimenti per avviare una produzione in Europa.
Esatto. Fiat potrebbe affittare una o più linee di montaggio ai giapponesi, che sono alla disperata ricerca di un sito produttivo in Europa che potrebbero trovare proprio a Torino. In attesa di capire cosa effettivamente accadrà, possiamo dire che un accordo di questo tipo con Mazda spalancherebbe a Fiat un’ottima porta sul mercato asiatico, in particolare quello giapponese.
Si dice che la fusione tra Fiat Industrial e la controllata Cnh potrà rappresentare un punto di svolta. Come mai?
Il processo di fusione, la cui notizia corre già da diversi mesi, sembra arrivato a un momento decisivo. In sostanza si tratta di fondere Fiat Industrial e Cnh per creare un’unica grande entità che possa occuparsi sia di macchine agricole che di macchine per movimento terra. Un’unione di questo tipo, che punta alla quotazione sul mercato americano e poi su quello europeo, potrà certamente dare vita a un fortissimo gruppo internazionale e globale di macchine da lavoro e agricole.
L’ultimo passaggio dovrebbe invece essere il definitivo matrimonio tra Fiat e Chrysler, con Marchionne che controllerebbe il gruppo americano al 100%. Quali vantaggi ne potrà trarre?
Numerosi vantaggi sono già visibili adesso. L’azienda italiana oggi detiene il 61,8% di Chrysler ed è attualmente in discussione un piano da attuare con il fondo americano VEBA per poter disporre della parte rimanente. Sciolto questo nodo, Marchionne si ritroverebbe di fronte alla nascita di un gruppo automobilistico globale con Chrysler al 100% in pancia a Fiat.
Con quali rischi?
Che la “testa” di tutto questo progetto venga trasferita negli Stati Uniti. E’ questo l’attuale dilemma che Marchionne dovrà chiarire il 30 ottobre prossimo, quando presenterà i risultati del terzo trimestre 2012 del gruppo Fiat-Chrysler. Oltre a questo aspetto, dovrà inevitabilmente tornare anche su quello che riguarda il futuro degli stabilimenti italiani che, a quanto pare, vorrebbe dedicare all’esportazione dall’Italia verso il mercato americano. Sarà interessante, però, capire con quali tempi e con quali modelli vorrà attuare tale progetto, dubbi che ancora non sono stati chiariti.
(Fonte: www.ilsussidiario.net - 10/10/2012)

lunedì 22 ottobre 2012

Anticipazioni (smentite) sul nuovo piano Fiat


Sono molte le novità che bollono in pentola nel nuovo piano Fiat che Sergio Marchionne presenterà il 30 ottobre. Lo staff del Lingotto ha preparato un dossier con costi e benefici di oltre sessanta ipotesi di intervento. Il puzzle finale - che sarà ritoccato fino all'ultimo - indicherà nuovi modelli e motori, ma soprattutto darà le prime direttive strategiche sul riposizionamento del marchio Fiat in un mercato europeo stabilmente stagnante e sulla sterzata verso l'export. Scartata l’ipotesi di chiudere Mirafiori (misura che avrebbe ridotto di molto le perdite di 700 milioni stimate per il 2012), Marchionne confermerà l'avvio nel 2014 della produzione dei due mini-Suv: la Fiat 500X e la gemella con marchio Jeep. I due modelli però non dovrebbero essere assemblati a Mirafiori. La destinazione più gettonata - ma nulla è ancora nero su bianco - sembra essere Melfi, dove dovrebbero essere concentrate le auto costruite su piattaforma B, quella della futura Punto e dei piccoli Suv. Fra le ipotesi allo studio è rispuntato il vecchio progetto della Topolino, city car di meno di 3 metri forse ibrida (una batteria elettrica accanto al bicilindrico Twinair), che potrebbe essere dirottata verso Torino, ma anche questo nodo sarà sciolto solo a fine mese. Per Cassino, invece, si riflette sulla produzione della Chrysler 100, una vettura media destinata principalmente ai 2.200 concessionari U.S.A., ma che in Europa avrebbe il marchio Lancia e sostituirebbe l'attuale Delta. L'aumento dell'export sarà il filo conduttore del piano, non solo per le auto ma anche per i componenti. Per i cambi, ad esempio, si punta a montare su molti modelli U.S.A. l’innovativo C635, in versione automatica e manuale, costruito in Piemonte a Verrone. Sul fronte dei motori, a dicembre 2012 partirà l'aumento da 150 a 400 pezzi al giorno per i grossi diesel, destinati alle Jeep, prodotti dall'emiliana VM che sta già selezionando 300 neoassunti. Nello stabilimento campano di Pratola Serra, inoltre, dalla primavera 2013 sarà avviato il montaggio annuo di 80/100 mila diesel commissionati dalla nipponica Suzuki. Da qui usciranno anche i nuovi motori a benzina per le nuove Alfa Romeo che dal 2014 vedranno la luce sia in Italia che in America. Per l'Alfa, infatti, Marchionne confermerà l'assegnazione agli U.S.A. della berlina Giulia. In Italia sarà prodotto dall'anno prossimo anche un modello di nicchia come il coupé Alfa 4C, a Modena, e dal 2015 l'ammiraglia Alfa da 50/60 mila euro che sarà assemblata nel nuovo plant Maserati di Grugliasco. Questa fabbrica sta già lavorando su due prodotti che dovrebbero procurare a regime un nuovo fatturato di 1,5 miliardi: la Quattroporte da 120 mila euro, in vendita da gennaio 2013, e la Ghibli, una berlina da 70/80 mila euro che arriverà a fine 2013. Marchionne sta lavorando, infine, a ridefinire il profilo marketing del marchio Fiat, considerato troppo debole in Europa. Non è escluso che partano investimenti sulla ”500” che ormai in America vende come la Golf e che potrebbe evolvere verso un marchio a sé, semi-premium e articolato su una decina di modelli. L’intero pacchetto di interventi però non risolverà la crisi, che il Lingotto prevede lunga e difficile. Il fatto è che tutti i produttori europei di auto, ad eccezione della Volkswagen, perdono enormi quantità di denaro stimate in circa 20 milioni di euro al giorno. Mentre il governo Monti studia sgravi fiscali all’export, in questi giorni il Tesoro francese sta esaminando il piano di salvataggio della banca interna di Peugeot che finanzia le vendite a rate. Sarà solo il primo episodio di un piano di aiuti europeo per l'auto? Marchionne ci spera. Monti ne sta discretamente parlando con i partner europei. Il piano del 30 ottobre rischia, dunque, di essere il primo capitolo di una gigantesca ristrutturazione.
(Fonte: www.ilmessaggero.it - 19/10/2012)

domenica 21 ottobre 2012

Fiat e Sud Italia: così le Regioni possono convincere Marchionne a restare


Com'era prevedibile, la dichiarazione di Fiat di considerare ormai superato il piano Fabbrica Italia a causa delle dinamiche del mercato almeno in Europa ha suscitato allarme nel Governo, fra i sindacati, nelle istituzioni locali e nell'ambito delle forze politiche. Premesso peraltro che è gran parte dell'industria automobilistica dell'Unione Europea ad attraversare una fase di forti difficoltà in cui si evidenziano perdite gestionali ed eccessi di capacità produttive - come dimostrato anche dalla vicenda dello stabilimento di Aulnay-sous-Bois della Peugeot in Francia - non si può rimproverare al Gruppo Fiat di aver puntato all'acquisizione della Chrysler e, suo tramite, all'ingresso nel grande mercato americano e altri nei quali quel marchio è affermato, o almeno potenzialmente in grado di posizionarsi con successo. Il processo di internazionalizzazione della grande industria italiana deve proseguire e nessuno, credo, si auguri il contrario: il problema, allora, è come si resta in Italia, con quali impianti e innovazioni tecnologiche, con quale ruolo delle istituzioni pubbliche, con quali relazioni industriali, in quali contesti territoriali: problemi questi che non sono, com'è fin troppo noto, solo di Fiat ma anche di altri top player dell'industria nazionale, alcuni dei quali (fortunatamente) hanno avviato la loro internazionalizzazione già da anni, senza però abbandonare l ́Italia. Ma il sistema Paese è pronto nel suo complesso ad affrontare le sfide, che, piaccia o meno, Marchionne e altri come lui stanno lanciando? Al di là di affermazioni autoconsolatorie del governo - sulle riforme avviate e sulla crescita che si intende perseguire - e di alcuni leader politici, la risposta è (purtroppo) no: non lo siamo da anni, come dimostra anche lo studio del Cnel sulla produttività nel nostro Paese che è già pesantemente declinata. Le aziende non sono per definizione Fondazioni benefiche e se il maggior gruppo privato italiano ritiene superato un piano presentato solo due anni prima vuol dire che sul mercato sono maturate condizioni che glielo hanno imposto. Chiedere oggi i piani di produzione a Fiat è un atto cui essa ha risposto sabato al Governo per pura cortesia istituzionale - anche perché larghe parti di quei piani sono ancora in via di definizione e devono (ovviamente) restare riservate per non dare notizie alla concorrenza - specificando comunque che: 1) gli investimenti partiranno quando il mercato lo consentirà; 2) sarebbe possibile esportare produzioni degli impianti italiani negli U.S.A. . Piuttosto ha ragione Susanna Camusso quando dice che deve essere il Governo a dire cosa esso voglia fare per l'auto in Italia, non limitandosi solo a commentare cosa voglia fare la Fiat. Allora, auspicando proposte "forti" del governo per l'intero comparto dell'automotive, perché non cominciare ad approfondire analisi e possibili programmi di sviluppo competitivo dell'industria del settore localizzata nel Sud, ove essa è massicciamente presente con stabilimenti di assemblaggio finale e di componentistica di Fiat Auto e Fiat Industrial? E' vero che la Casa torinese ha chiuso i due impianti di Termini Imerese (auto) in Sicilia e della Valle dell'Ufita (bus) in Campania, ma vi ha in produzione i grandi siti di Atessa (6.200 addetti), di Pomigliano (5.000 di cui 2.146 in attività) e di Melfi (5.200) con i loro vasti indotti, cui devono aggiungersi le sue fabbriche di componentistica di Sulmona, Termoli, Avellino, Caivano, Foggia, Bari, quella di macchine movimento terra di Lecce e i centri di ricerca Elasis: tutti siti definiti "di eccellenza" dallo stesso Marchionne, in cui negli ultimi anni si sono anche realizzati investimenti per innovazioni di processo e di prodotti. Ma nel Sud vi sono grandi impianti anche di Bosch, Getrag, Bridgestone, Denso, Dayco, Graziano Trasmissioni, Skf, solo per citarne alcuni, anch'essi con cluster di aziende di subfornitura. Le Regioni meridionali dell'obiettivo convergenza potrebbero cofinanziare - come hanno già fatto in passato, sia pure entro certi limiti - contratti di programma per singoli impianti del gruppo, mentre il distretto della meccatronica del Barese potrebbe, insieme ad altri centri di ricerca meridionali, varare ricerche utili a tutti i siti produttivi dell'azienda. Fiat ha rilanciato Pomigliano, ha investito ad Atessa (in joint-venture con Peugeot) e a Termoli, ha trasferito determinate produzioni da Imola a Lecce, ha potenziato il suo stabilimento per motori diesel veloci di Foggia. E non si dimentichi che, se ha dismesso l ́impianto di Termini, lo ha fatto per le persistenti carenze infrastrutturali - e le conseguenti diseconomie - subite per anni in quell'area. Il governo francese ha deciso incentivi per incrementare la diffusione di auto ecologiche. E in Italia? E se una nuova grande partita di Fiat nel nostro Paese si iniziasse a giocare proprio nei suoi stabilimenti meridionali, in cinque Regioni del Mezzogiorno con le loro capacità di co-finanziamento cui unire gli interventi e le risorse del Governo, le sue auspicabili politiche di stimolo del mercato e le incentivazioni all'innovazione tecnologica del comparto?
(Fonte: www.formiche.net - 24/9/2012)

sabato 20 ottobre 2012

Fiat 500L e "C'era una volta in America"


Fiat 500L in evidenza all'anteprima del "director's cut" di "C'era una volta in America". La serata si è svolta a Roma, presso il cinema Moderno The Space, alla presenza di personalità internazionali della cultura e dello spettacolo. Per l'occasione è stata proiettato l'ultimo capolavoro del regista Sergio Leone restituito al suo primo montaggio, con scene inedite e il doppiaggio originale, un restauro fortemente voluto dalla famiglia Leone, e curato dalla Cineteca di Bologna con il sostegno di Gucci e dalla Film Foundation di Martin Scorsese. La casa del Lingotto ha partecipato il qualità di main sponsor dell'evento con la sua ultima novità, la 500L presentandola ai partecipanti della prestigiosa kermesse in un'area espositiva vicino al red carpet. "C'era una volta in America", uno dei film più amati dal regista Sergio Leone, risale al 1984 e nel primo montaggio (già ridotto dallo stesso Leone), durava quattro ore e sarà ulteriormente tagliato dal produttore causando la perdita di scene importanti e lo svolgimento a flashback pensato da Leone. Finalmente oggi, dopo quasi trent'anni dall'uscita, la versione restaurata, con l'aggiunta di venti minuti inediti e col montaggio voluto dal maestro, ritorna in cento sale italiane. Al quartier generale della Fiat non hanno mancato di sottolineare l'aspetto che lega la nuova versione del capolavoro cinematografico con l'ultima arrivata della Casa: se quindi il director's cut di "C'era una volta in America" è la speciale "extended version" dell'opera di Sergio Leone, allo stesso modo la Fiat 500L è l'innovativa "extended version" di un capolavoro del design automobilistico che oggi cresce per contenere tutti insieme i piccoli piaceri e le grandi emozioni della vita - i bambini, gli amici, i viaggi, la musica e la community - declinando in modo unico i concetti di funzionalità e stile. Nasce così la 500L - dove 'L' sta proprio per Large - che unisce un look distintivo e dal chiaro "Italian style" alla capacità tutta Fiat di concepire e progettare auto innovative nella sostanza e nella forma. Non a caso, il claim pubblicitario che accompagna il lancio commerciale della nuova vettura è proprio "Con 500L crescere è cool". Da segnalare, infine, che con l'uscita del director's cut di "C'era una volta in America" parte un concorso online che permetterà di vivere le atmosfere raccontate dal film di Sergio Leone mettendo in palio un viaggio di una settimana, per due persone, in America a bordo di una vettura Fiat. Tutti i dettagli sull'iniziativa sono disponibili sul sito web http://ceraunavoltainamerica.it/concorso.
(Fonte: www.repubblica.it - 17/10/2012)

venerdì 19 ottobre 2012

Fiat: prodotte in Polonia 10 milioni di auto


La Fiat festeggia il traguardo dei dieci milioni di veicoli prodotti in Polonia in 41 anni, nell'ex stabilimento FSM di Bielsko-Biala e in quello di Tychy. La vettura del record, per la cronaca, è una Fiat 500C Lounge in tinta rosso corsa con motore 1.2 benzina, destinata al mercato tedesco. La produzione a Bielsko-Biala iniziò nel 1971 con il modello FSO Syrena, mentre nel 1973 il Governo polacco acquistò le licenze per l'assemblaggio della Fiat 126. Dal 1971 al 2000, la fabbrica di BIelsko-Biala ha assemblato 1.722.596 vetture, tra cui le note 127, Uno, Siena e Palio Weekend. La produzione a Tichy è iniziata invece nel 1975 con la Fiat 126p e fino al 1992 ha fatto parte della FSM. Nel corso degli anni i continui investimenti hanno permesso di trasformare la fabbrica in una delle realtà più moderne ed efficienti, seguendo gli standard mondiali. A Tichy sono stati assemblati i modelli 126, la Uno/Innocenti, la Siena, la Palio Weekend, la Cinquecento, la Seicento, la Panda, la 500, la Lancia Ypsilon, la Ford KA. Inoltre, la Punto, la Bravo/Brava, la Marea e il commerciale Ducato. In 37 anni di attività Tichy ha totalizzato 8.277.404 unità totali.
(Fonte: www.quattroruote.it - 12/10/2012)

giovedì 18 ottobre 2012

Alfa Romeo 4C: versione definitiva su strada


Gli appassionatissimi alfisti di "Alfa Romeo - Il cuore ha sempre ragione" hanno postato sulla loro pagina Facebook la prima immagine dell'Alfa Romeo 4C di serie: l'esemplare fotografato a Torino è naturalmente camuffato, ma da questa fotografia si scorgono già alcuni dettagli significativi.
Modifiche alla fiancata - La differenza più evidente con la concept presentata al Salone di Ginevra del 2011 è certamente il taglio della porta: se sul prototipo la portiera integra anche la presa d'aria laterale, per la versione di serie è stata evidentemente scelta una soluzione meno complessa, con la presa d'aria dietro la porta stessa.
La vedremo in gennaio - Il debutto dell'attesissima Alfa Romeo 4C di serie è previsto al Salone di Detroit, in calendario dal 14 al 27 gennaio prossimo. La sportiva del Biscione, che sarà prodotta nello stabilimento Maserati di Modena, sarà spinta da un quattro cilindri turbo di 1.750 cm3 da circa 250 cavalli abbinato a un cambio a doppia frizione, che potrebbe avere sette marce. Probabile, ma a distanza di diversi mesi (anche anni), anche il lancio di una variante Targa.
(Fonte: www.quattroruote.it - 17/10/2012)

mercoledì 17 ottobre 2012

Fiat-Chrysler: accordo preliminare in Russia


Il gruppo Fiat-Chrysler aprirà uno stabilimento in Russia, nei dintorni di San Pietroburgo. Raggiunto un accordo di base con le autorità, tutti i dettagli saranno affrontati e presumibilmente risolti, entro la fine dell’anno. Questo passo sarà di fondamentale importanza per rafforzare la presenza del gruppo nella terra degli Zar. Guardando le statistiche si può ben capire quali opportunità siano legate alla conquista del maggior numero di quote di mercato. Nel 2012 la vendita di auto è aumentata del 39% su base annua, arrivando a 2,6 milioni. Secondo solo alla Germania, il mercato dell’auto Russa conserva tassi di crescita e quindi, margini di profitto, di gran lunga più interessanti di quello tedesco. Secondo le previsioni fatte per quest’anno nel 2012 si venderanno circa 3 milioni di auto, con una crescita ancora più imponente negli anni successivi. In Russia le auto non sono diffuse come in Europa, e con l’aumento del benessere sembra naturale che i russi valuteranno, sempre con maggiore interesse la possibilità di acquistare un’auto, o cambiare quella vecchia. Le prospettive si fanno ancora più rosee se consideriamo che la metà delle auto possedute dai russi superano i 10 anni di vita e quindi dovranno essere presto sostituite. Gran parte della domanda è concentrata nelle aree metropolitane di Mosca e San Pietroburgo, anche se non è da sottovalutare l’importanza delle aree periferiche e delle piccole città, non ancora molto sviluppate, ma che in prospettiva potrebbero rappresentare una buona opportunità di business. Bisogna considerare inoltre che si tratta di un mercato estremamente eterogeneo, crescono infatti le vendite di auto di piccola cilindrata, così come crescono le vendite di SUV e auto di lusso. Il gruppo Fiat-Chrysler non è l’unico che guarda verso est. Anche Volkswagen si è impegnata con forti investimenti per rilanciare la produzione di diversi modelli Audi. Nella stessa logica la Mazda inizierà la produzione di auto sportive. Anche Mitsubishi e Peugeot, in joint venture dovrebbero iniziare a produrre in Russia entro il 2013. Per sopravvivere un’impresa automobilistica ha bisogno di aumentare la produzione al massimo, al di sotto di una certa soglia non è possibile sfruttare adeguatamente le economie di scala generate dall’imponenza dei costi fissi da sostenere per tale produzione. Probabilmente la corsa per la conquista delle quote del mercato russo sarà decisiva per stabilire quali imprese riusciranno a sopravvivere e quali no.
(Fonte: www.controcampus.it - 12/10/2012)

martedì 16 ottobre 2012

Moody's abbassa il rating di Fiat: "Troppo Italia-dipendente"


Moody's ha abbassato il rating di Fiat da Ba2 a Ba3 con outlook negativo. L'agenzia giustifica il downgrade (vittima è anche PSA) con «il calo della domanda di auto italiane registrato finora e le prospettive per la stessa domanda sino alla fine del 2012 e oltre». Moody's, insomma, mette ancora una volta il dito nella piaga, in quanto evidenzia come l'Italia continui «a rappresentare più della metà delle immatricolazioni europee di Fiat e come tale, il deterioramento, è la forza trainante delle perdite in aumento tra i suoi marchi di massa». Moody's sottolinea le difficoltà del Lingotto nella regione EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa) dove, secondo le analisi, ha bruciato 2,6 miliardi tra luglio 2011 e giugno 2012. A questo si aggiungono i nodi dell'eccesso di capacità, il ritardo nel rinnovamento della gamma e l'assenza di lanci di modelli di massa rispetto alla concorrenza, «mentre - continua Moody's - crescono le pressioni perfino in Brasile, al momento il mercato più proficuo». Marchionne, che già in passato è entrato in rotta di collisione con le agenzie, questa volta tiene botta («era prevedibile, ce lo aspettavamo») e replica a Moody's, affermando, però, che «il declassamento nulla ha a che fare con i modelli, ma è comprensibile considerando lo stato del mercato italiano». E precisa: «Il downgrade non riflette le condizioni finanziarie di Fiat nel suo insieme». Lo scenario del settore si presenta, comunque, sempre più complesso. E Moody's mette sull'avviso Marchionne per un ulteriore downgrade «se il flusso di cassa del gruppo da attività industriali, escludendo cioè Chrysler, dovesse superare un dato negativo di 2 miliardi quest'anno e in assenza di segnali di miglioramento nel prossimo». Il panorama, comunque, è desolante, visto che l'altra agenzia, S&P, stima che le vendite di nuove auto nell'UE non torneranno ai livelli pre-crisi prima del 2018. E mentre sale la tensione negli stabilimenti italiani del gruppo, in mancanza di prospettive per il futuro, Marchionne ammette di vedere nero anche per il 2013, dopo un 2012 nel quale «potremmo aver toccato i livelli di vendita più bassi». L'ad di Fiat, ma questa volta con il pullover di presidente dell'ACEA, apre intanto un nuovo fronte, quello degli accordi di libero scambio per i quali invita l'UE a non firmare più intese del genere. «Non è il momento - puntualizza - di abbracciare politiche di questo tipo». E una sponda il capo dell'ACEA la trova subito nei ministri dell'Industria di Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Romania e Lussemburgo, i quali sollecitano la UE a garantire più competitività alle industrie europee, tra cui quella dell'auto, rispetto alla concorrenza internazionale. «Occorre più coordinamento a livello europeo per il settore auto», ribadisce Marchionne. Inutile dire che, quando il presidente dell'ACEA parla di concorrenza internazionale, il riferimento è rivolto in questo momento ai coreani e ai giapponesi. «Mentre cerchiamo di assestare la nostra industria - così Marchionne - è controproducente andare ad aprire altri mercati». La conseguenza di una mancanza di politica industriale e della mancata soluzione dell'eccesso di capacità ha avuto come risultato 3 milioni di macchine invendute.
(Fonte: www.ilgiornale.it - 11/10/2012)

lunedì 15 ottobre 2012

Confronto Fiat-Veba sulle quote Chrysler


C’è una notizia sulla Fiat che, pur essendo non marginale per le sue finanze, in Italia è curiosamente passata inosservata: il Lingotto intende pagare solo 108 milioni di euro (circa 140 milioni di dollari) per l'ulteriore quota del 3,32% di Chrysler che il contratto firmato con l'amministrazione Obama nel 2009 le consente di acquistare entro fine 2012. La cifra è un ottimo affare per il Lingotto poiché è ragionevole pensare che il 3% di Auburn Hills valga più del doppio. In realtà le notizie sono due: la formula contrattuale usata per determinare i 108 milioni limita il costo dell’acquisto di Chrysler se, semplificando, Fiat investe poco e Chrysler investe molto. Insomma, l’acquisto di una quota minore di Chrysler aiuta a comprendere meglio tattiche e strategie che Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat e Chrysler, sta adottando per accelerare la fusione fra le due società. Ma andiamo con ordine, partendo dalla fotografia della scalata a Chrysler. Oggi la Fiat ne controlla il 58,4%, avendone avuto il 35% in cambio del salvataggio e il restante 23,4% sborsando 1,854 miliardi di dollari (1,4 miliardi di euro) in contanti. Il restante 41,6% di Chrysler è posseduto dal sindacato Uaw, attraverso il suo fondo sanitario Veba. Il contratto di cessione di Chrysler a Fiat prevede che il Lingotto possa acquistare, tra il 2012 e il 2016, un ulteriore 16,6% da Veba a rate, con quote del 3,32% o multipli fino a raggiungere il 75%. L'ultima quota del 25% delle azioni Chrysler può essere ceduta solo da Veba - sembra a partire dal 2014 - ma a Fiat sono riservati molti diritti cominciando dalla prelazione. A luglio Fiat ha chiesto a Veba il primo 3,32% ma non è stata trovata un'intesa sul prezzo e così Torino si è rivolta al tribunale. Anche perché l'Uaw così evita accuse di svendita e Marchionne mantiene i suoi buoni rapporti con gli operai americani (ha fatto oltre 5 mila nuove assunzioni e visita le fabbriche senza scorta accolto spesso da sonori «buongiorno» in italiano). Resta il fatto che oggi Auburn Hills è in forte attivo (909 milioni di dollari nel primo semestre 2012) e non può valere molto meno di un quarto di General Motors, la cui capitalizzazione oscilla sui 30 miliardi di euro. E se dunque l’intera Chrysler vale 7-8 miliardi di euro, il 3,32% oscillerebbe intorno a 200-250 milioni. E allora come è arrivato Marchionne a 108 milioni? La formula prevista del contratto riportata in un recente report di Barclays è complessa. Al di là delle tecnicalità, è evidente che il prezzo di acquisto di Chrysler scende se Fiat tiene il più possibile alto il proprio Ebitda. Il che si può fare vendendo moltissimo - come Fiat sta facendo in Brasile - o anche limitando investimenti (e perdite) come accade in Europa dove mercato e vendite sono in caduta libera. Possibile, con limitazioni, intervenire anche su Chrysler ma, poiché l'Ebitda del costruttore U.S.A. sta lievitando (in due anni le vendite sono salite del 50%), la leva sulla quale agire è l'aumento dell’indebitamento netto. Il suo Capex (per capirci, la spesa per acquisti di macchinari) è passato da 1,180 miliardi del primo semestre 2010 a 1,854 miliardi dello stesso periodo del 2012. Dunque la disputa sul 3,32% di Chrysler non è poca cosa. Il braccio di ferro sui 108 milioni segnala che la conquista del 100% di Auburn Hills al prezzo più basso era, e resta, il primo obiettivo strategico di Marchionne. Ma segnala anche che la strada non è spianata. La fusione tra Fiat e Chrysler rischia di allontanarsi nel tempo, è il timore degli analisti finanziari. E senza il 100% di Chrysler il Lingotto, che in Europa brucia cassa, non può sfruttare appieno il tesoro che si sta accumulando ad Auburn Hills.
(Fonte: www.ilmessaggero.it - 14/10/2012)

domenica 14 ottobre 2012

Fiat, Chrysler e la "lezione" sul lavoro che l’Italia non ha imparato


A scorrere da molte miglia di distanza qui in California le notizie italiane, mi è venuto da pensare che "A volte ritornano" non è solo il titolo di una famosa raccolta di Stephen King della fine degli anni Ottanta, ma anche l’immagine più immediata dell’incapacità del nostro Paese di risolvere le sfide strutturali che rischiano di affossarlo definitivamente. Nel 1993, non a caso, era stato un altro governo tecnico in condizioni di emergenza, il Governo Ciampi, a scuotere l’assetto ormai obsoleto delle relazioni industriali con il famoso Protocollo del 1993 che istituiva una nuova struttura della contrattazione, sancendo un primo spazio importante per la contrattazione aziendale e aprendo a forme di variabilità delle retribuzioni, lasciate al livello aziendale. Come purtroppo accade sovente, le parti, dopo aver a lungo rivendicato la propria autonomia, ebbero bisogno di un intervento molto deciso per porre mano all'architettura portante del sistema di contrattazione. Con significative eccezioni, ad esempio i chimici, quell’accordo è stato nel complesso mal digerito e la portata innovativa fortemente limitata da pratiche, nel complesso, di conservazione: tanto che, a volte, ho l’impressione che l’assetto delle relazioni industriali italiane assomigli molto più alla Sicilia del Gattopardo che non al moderno e innovativo sistema che le parti giocano a propagandare. D’altra parte è una costante del Paese che anche il conflitto diventi una sorta di posa, utile ad alimentare la conservazione dell’esistente, quasi che le parti in gioco siano consapevoli che è meglio un continuo pareggio che sposta in là la resa dei conti rispetto a una vittoria o sconfitta (in questo senso mi vengono in mente malevoli analogie con la polemica calcistica prima degli Europei). Ma a distanza di quasi vent’anni, ci ritroviamo al punto di partenza; e se fossimo in una partita di Monopoli, verrebbe da dire senza passare dal via. Perché un giudizio così severo? Perché i nodi della produttività sono rimasti irrisolti e come sempre accade in questo Paese si pensa di risolverli mettendo mano alla parte sbagliata dell’equazione che è il salario o le ore lavorate. Ma la produttività del lavoro dipende da molti altri fattori. Dipende dal costo dell’energia, dipende dal costo delle infrastrutture mancanti, dipende dal costo esorbitante del nostro sistema di distribuzione che è parassitario come pochi (giusto ieri ho trovato una pasta italiana a un costo del 30% inferiore a quello del supermercato italiano a pochi passi da casa - in via Washington, certo, ma non negli Usa...), dalla mancanza di un’abitudine all’investimento in innovazione, alla carenza di modelli organizzativi orientati al miglioramento continuo, a una Pubblica amministrazione inefficiente e la lista potrebbe continuare. Ma poiché come italiano anch’io trovo più facile la strada del benaltrismo e l’elencazione di quello che ci sarebbe da fare, salvo poi non farlo, questa volta voglio soffermarmi su un tema che in fondo sta dietro a tutto questo. Si tratta dell’incapacità di scegliere e una volta scelto portare la propria azione fino alle sue ultime conseguenze. Il nostro è un paese di equilibrismi. Si sceglie, ma poi si decide di bilanciare tutto. Ad esempio, nell’università si è fatta una riforma, ma quando diventa nuovo Statuto di una specifica università deve essere annacquata, così non sapremo mai se era una cattiva riforma come alcuni pensano o una buona riforma come pensano altri L’incapacità di scegliere ha radici in un’incapacità di prendere impegni di medio-lungo termine che sarebbe necessaria, visto che ogni scelta è interdipendente e non si può pensare di cambiare senza scontentare qualcuno. Questa incapacità è anche un bell’alibi della politica e di tutta la società. E più vivo negli Stati Uniti più ho la sensazione che il filo che accomuna questa incapacità sia la mancanza di percezione di un destino comune, di quella interdipendenza senza la quale l’Italia non esiste, ma non esistono nemmeno le sue componenti: il Nord senza il Sud, la città senza la campagna, i giovani senza i vecchi e così via. Così il gioco diventa quello di stare dal lato che nella crisi soffre di meno o addirittura prospera, senza riconoscere l’importanza di trovare un asse minimale per affrontare le difficoltà. È la grande lezione di Chrysler rispetto a Fiat (anche se sia detto per chiaro, io sono convinto che Fiat se ne andrà dall’Italia quando possibile e lo sostengo da diversi anni, al contrario di un ex ministro che incontrai qualche anno fa a Novara, convinto che Fiat non potesse vivere senza l’Italia...), ma è una lezione che sul tavolo delle relazioni industriali in Italia nessuno ha voglia di imparare.
(Fonte: www.ilsussidiario.net - 10/10/2012)

sabato 13 ottobre 2012

Per un'auto "Made in Italy"


I rischi per l’Italia ma anche per la stessa Fiat purtroppo sono lungi dall’essere fugati dal comunicato congiunto governo-azienda stilato a valle dell’incontro di sabato. I dubbi restano numerosi tuttavia possono ricondursi a un’inevasa domanda di fondo: se ci sia o meno un futuro per l’auto Made in Italy, anche coi marchi meno nobili e nelle versioni più economiche. Detto in altre parole, e prendendo spunto dalle recenti polemiche tra pezzi di industria italiana, ci si chiede come mai, se nelle Marche continuano a fare (e ideare) scarpe, a Torino, e di conseguenza nel resto dell’Italia, non possano ancora prodursi automobili. Termini e contorni della questione sono invero parecchio complessi, tuttavia vorremmo fare alcuni esempi molto concreti partendo da uno di successo come la 500. La principale qualità del modello è quella di assomigliare all’originale, e spesso si dimentica che essa viene prodotta nello stesso stabilimento in cui si assembla la Ford Ka. Le due auto, sono tanto simili da poter montare invertiti i rispettivi paraurti. Il prezzo minimo della Ka è 10 mila euro quello massimo 13 mila, la 500 ha un prezzo d’attacco di 12 mila e supera, nelle versioni Abarth più speciali e limitate, i 40 mila euro, senza contare le versioni da corsa e gli accessori. Forse il legame tra Fiat e Italia va cercato in questi numeri. Anche perché non si spiega come si sia potuto decidere di produrre la 500 in Polonia e, contro ogni logica, la Panda a Pomigliano. Nello storico stabilimento Alfasud, infatti, non si producono più le Alfa Romeo, forse perché i tedeschi sono imbattibili nei segmenti D-E, auto medie e medio grandi; ma è proprio vero? L’Alfa 156, prodotta fino al 2005, venduta in 66 Paesi, è stata un grandissimo successo. Se la sua sostituta, la 159, non ha brillato, difficilmente si può attribuire la colpa alle maestranze o alle regole del mercato del lavoro italiano. Ridurre, razionalizzare la capacità produttiva in Italia forse è inevitabile ma, per esempio, rinviare la sostituzione della Punto è tutta un’altra questione. L’ultima Punto ha confermato il successo della precedente e nel segmento B la Fiat ha ricoperto posizioni di leadership, in Europa non solo in Italia, dai tempi della 127. Perché dunque i bozzetti prodotti dal centro stile di Torino sono stati bocciati e la gestazione del modello è passata a Detroit? Non ci risulta che gli Americani siano diventati esperti nel progettare utilitarie, per giunta da vendere in Europa. Eppure nel comunicato si legge che Fiat sarebbe intenzionata a riorientare il proprio modello di business in Italia in una logica che privilegi l’export, piena disponibilità a valorizzare le competenze e le professionalità peculiari italiane, come l’attività di ricerca e innovazione. Non è chiaro poi come si possa esportare, e in particolare fuori dall’Europa, se alcuni modelli, dal nome italianissimo, sono stati già riallocati fuori i confini dell’eurozona. Per esempio la Giulia, che ricoprirebbe il vuoto lasciato dalla 159, verrà sviluppata e prodotta negli Stati Uniti, anche se non prima del 2014 e in uno stabilimento ancora da individuare. La strategia del rinvio, della bocciatura del progetto, l’abbiamo già vista in particolare alla Lancia: oggi il suo emaciato listino si commenta da solo. Tacciamo sulle glorie sportive, ma perché chiamare Thema una Chrysler che di italiano ha solo il nome. Certo ci sono i sedili poltrona Frau e i motori diesel prodotti dall’italiana VM, ma con rispetto e solidarietà nei confronti dei fornitori, come si può pensare di vendere un’ammiraglia che ha un autotelaio vecchio di oltre 15 anni. E fare ancora peggio con la Flavia. Nel 2007, quando si chiamava Chrysler Sebring, montava un motore turbodiesel da 183 g/km di CO2. Oggi che ha il marchio Lancia, stesse prestazioni velocistiche e stesso prezzo, monta un motore americano 2.4 benzina da 221 g/km di CO2, che non è ingeneroso definire anacronistico, almeno per il mercato della vecchia Europa. Massimo Mucchetti, in prima pagina sul Corriere della Sera, ha scritto negli Stati Uniti si fabbricano principalmente dei baracconi. Difficile dargli torto, anzi l’amministrazione Obama ha avallato e aiutato l’ingresso di Fiat in Chrysler, proprio perché grazie al know-how di Torino anche a Detroit si potessero costruire auto piccole e a basso consumo e non certo viceversa. Per ora i risultati di Chrysler scontano ancora la circostanza che gli stabilimenti si erano proprio fermati e nel ripartire non era poi così difficile crescere a due cifre. L’unico nuovo modello dopo l’arrivo di Fiat, la Dodge Dart, che ha permesso alla società italiana di ottenere un ulteriore 5 per cento della proprietà di Chrysler, oltre ad arrivare con un certo ritardo non sta riscuotendo il successo sperato, o meglio ad agosto le vendite si sono triplicate ma i migliori modelli della categoria vendono sette od otto volte di più. Indubbiamente la concorrenza, in particolare quella giapponese, è molto agguerrita e può contare su una solida tradizione, ma perché esordire senza cambio automatico, quando lo preferisce oltre il 90 per cento degli automobilisti americani. Molti dei tanti perché di queste righe c’entrano con la capacità, la volontà e la rapidità di investimento del gruppo Fiat-Chrysler. Da un'azienda che, nel tempo e col favore di molti, ha acquisito pressoché tutti gli altri marchi italiani ci si aspetta risposte migliori; e non solo per l’Italia.
(Fonte: www.lavoce.info - 25/9/2012)

venerdì 12 ottobre 2012

Mopar: crescita continua nel mondo


Prosegue a pieno ritmo l'espansione di Mopar. Argentina, Brasile, Cina ed Emirati Arabi Uniti sono stati gli ultimi paesi in cui è sbarcato il brand ed ora Chrysler e Fiat hanno annunciato l'apertura di centri per la distribuzione di ricambi Mopar in Australia, Giappone e Russia. In Australia il centro per la distribuzione dei ricambi ha sede a Port Melbourne, Victoria e si prevede che dai suoi diecimila metri quadrati di superficie saranno smistati oltre 18.600 ricambi verso quasi 75 concessionarie. In Giappone invece il magazzino di undicimila metri quadrati è situato a Yokohama distribuirà più di 41.000 ricambi a 145 punti vendita. In Russia, a Mosca, il centro misura 4.500 metri quadrati ed è previsto un "traffico" superiore ai ventimila ricambi indirizzati a quasi 140 concessionari. Da segnalare che con più di 500.000 ricambi, Mopar dispone di oltre 50 centri di distribuzione in tutto il mondo e all'inizio di quest'anno, Chrysler e Fiat hanno aperto un centro di 3.000 metri quadrati in Argentina e un centro per la distribuzione di ricambi di 4.500 metri quadrati in Brasile. Lo scorso anno invece le nuove aperture hanno visto la nascita di un magazzino Mopar di 16.000 metri quadrati a Shanghai e un centro di 18.000 metri quadrati a Dubai. "Stiamo espandendo la nostra attività per supportare completamente i nostri clienti e concessionari nei mercati in crescita di tutto il mondo - ha affermato Pietro Gorlier, presidente e ad di Mopar, il brand di Chrysler che si occupa delle attività Service & Parts e delle operazioni di customer care - continueremo a cercare opportunità per soddisfare i nostri clienti e supportare la nostra rete di concessionari". L'espansione avviata da Chrysler e Fiat proseguirà quindi anche nei prossimi mesi con l'apertura di nuovi centri Mopar per la distribuzione dei ricambi.
(Fonte: www.repubblica.it - 21/9/2012)

giovedì 11 ottobre 2012

Panda Natural Power: record di economia


Dieci euro per 340 chilometri. E' il record stabilito dalla nuova Panda Natural Power equipaggiata con il bicilindrico turbo a metano TwinAir da 80 Cv che oltre ai bassi consumi vanta anche delle emissioni inquinanti ridotte (86 g/km di CO2). Insomma il metano rappresenta la vera alternativa al caro-carburanti che "saccheggia" senza tregua le tasche degli automobilisti. D'altronde Fiat da oltre 15 anni punta su questo tipo di alimentazione economica ed ecologica che ormai vanta una rete di distribuzione sempre più capillare sul territorio nazionale (915 distributori con un incremento del 7% nel 2012). La gamma ecologica della casa torinese è composta anche da 500 e Bravo a Gpl e da Qubo e Doblò a metano, oltre che dalla Panda in versione Classic e nuova (a metano e Gpl). Risparmiare sul costo del carburante, e non solo, è quindi possibile come sottolineano alla casa del Lingotto: "Grazie alla sua gamma completa di modelli ecologici, Fiat propone offerte che rendono le vetture Natural Power (nome di tutte le versioni a metano della gamma) ancora più vantaggiose già dall'acquisto. Infatti subito si usufruisce dell'ecobonus Fiat, che varia da modello a modello. Inoltre, si risparmia già la prima volta che si usa l'auto, perché il costo chilometrico dei propulsori a metano è meno della metà delle motorizzazioni a benzina. E si può utilizzare un vantaggioso finanziamento Sava a 48 mesi con anticipo 0 e Tan 0 per cento. In pratica, con la nuova Panda Natural Power rispetto alla motorizzazione a benzina si risparmiano 570 euro all'anno nei primi quattro anni (durata del finanziamento) e 1.150 euro all'anno a partire dal quinto anno, considerando una percorrenza media di 12 mila chilometri all'anno. I vantaggi del metano non si fermano ai consumi. Infatti, in alcune regioni italiane le vetture con questa alimentazione sono esentate dal pagamento della tassa di possesso per 5 anni e - se l'impianto è installato in fabbrica, come nel caso dei modelli Fiat - anche per tutta la vita dell'auto". In media, oltre al caso record della Panda Natural Power TwinAir, con 10 euro di metano, la Punto percorre 250 chilometri, la Panda Classic circa 270 senza dimenticare la possibilità di poter circolare nei centri urbani chiusi per motivi ambientali. Il metano non emette particolato e gli ossidi di azoto sono di circa il 90 per cento inferiori al diesel, mentre rispetto alla benzina gli idrocarburi incombusti si riducono del 75 per cento circa, gli ossidi di azoto di circa il 50 per cento e le emissioni di CO2 del 23 per cento. Per questo motivo i veicoli a metano possono circolare liberamente nei centri urbani in caso di limitazioni per motivi ambientali.
(Fonte: www.repubblica.it - 21/9/2012)

mercoledì 10 ottobre 2012

La Panda Classic dal 2013 a Pomigliano?


Per il momento sono solo indiscrezioni trapelate da fonti sindacali, ma pare che la Fiat Panda polacca, la Classic che sarà costruita a Tychy fino al dicembre prossimo, verrà da gennaio 2013 prodotta a Pomigliano. Se l'operazione trasferimento sarà realizzata, ci sarà un'ulteriore boccata d'ossigeno per il Vico, che così dovrà assorbire altra forza lavoro; non è possibile ancora quantificare quanti altri operai potranno rientrare in fabbrica - ottimisticamente si parla della metà ancora in CIG - ma sicuramente non si tratta di una cifra trascurabile. La Panda Classic conserva ancora una sua vasta schiera di estimatori, sia per il prezzo decisamente contenuto sia per la dimostrata affidabilità.
Nuove versioni - Nel frattempo la nuova Panda ha visto affiancarsi altre versioni, tra cui la 4x4 e la Trekking che giocheranno in positivo sul fronte dei numeri, sia per quanto riguarda le vendite sia l'occupazione. L'impianto polacco non sarà comunque svuotato: il Lingotto sostituirà la Panda Classic con una nuova produzione, ma circa 600 operai polacchi, su tremila, usciranno dal processo produttivo sfruttando opportuni ammortizzatori sociali.
(Fonte: www.quattroruote.it - 22/9/2012)

martedì 9 ottobre 2012

Fiat-Opel: il rebus irrisolto della produzione


Sono passati tre anni da quando Fiat cercò invano di acquistare la Opel. Il nodo strategico che aveva spinto Sergio Marchionne a tentare la mossa rimane inalterato sul tavolo, ed è stato anzi aggravato dalla crisi: in Europa c'è un eccesso di capacità produttiva che tiene bassi i prezzi delle auto e in rosso i bilanci dei costruttori. La soluzione immaginata dal manager resta però altrettanto irta di ostacoli, a cominciare dalla necessità di convincere General Motors a cedere l'azienda tedesca quasi gratis. Se il compito di convincere gli americani può sembrare difficile, ancora di più lo sarebbe la gestione dell'integrazione fra i due gruppi: entrambi navigano in cattive acque in Europa. Il problema più grosso sarebbe politico: quanto costerebbero dal punto di vista sociale gli inevitabili tagli agli organici, quale sarebbe il costo economico e chi lo pagherebbe? Fiat e Opel sono gli unici due gruppi che in Europa hanno chiuso fabbriche nel dopo crisi (Termini Imerese e Anversa); l'azienda tedesca ha di fatto annunciato al più tardi per il 2016 la fine della produzione anche a Bochum, e rimarrebbe con soli due impianti di assemblaggio di vetture in Germania (più altri tre in Gran Bretagna, Polonia e Spagna). Comunque vada a finire l'operazione (se mai partirà), Sergio Marchionne ha ragione a definire inevitabile il consolidamento del settore in Europa: la sensazione è che la crisi strutturale possa portare a un riassetto altrettanto strutturale. Con le vendite di auto calate di oltre tre milioni in cinque anni e una congiuntura che si prevede stagnante per i prossimi tre non c'è spazio per tutti, e solo la diversa coscienza sociale europea ha finora impedito una soluzione all'americana. Ma il costo diventa sempre più difficile da sostenere per le aziende e anche per i paesi che – se la soluzione europea chiesta da Marchionne rimarrà impraticabile – dovranno farsi carico dei problemi. Il problema non riguarda solo le fabbriche: un mercato a questi livelli (e oltretutto frammentato su decine di Paesi) non è in grado di far sopravvivere una ventina di marchi autoctoni (esclusi quelli di lusso) con le rispettive reti di vendita, più quelli giapponesi e i sempre più aggressivi coreani.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 5/10/2012)

lunedì 8 ottobre 2012

Fiat-Chrysler: nuovo interesse per Opel?


«Opel non è in vendita e General Motors mantiene il suo pieno appoggio a Opel; quest'ultima è una parte pienamente integrata della struttura globale di GM ed è vitale per il futuro successo di GM in Europa». Così Steve Girsky, numero uno dell'azienda tedesca (e vicepresidente della GM) ha commentato il rinnovato interesse di Fiat a un'intesa con Opel. Girsky afferma anche che «l'alleanza tra GM e PSA sta rispettando appieno il ruolino di marcia». Sergio Marchionne – amministratore delegato della Fiat – ha riaperto il dossier Opel, puntando a un accordo con la casa tedesca nell'ipotesi in cui l'alleanza con PSA si arenasse e Opel venisse lasciata al suo destino da GM (che nel 2009 voleva venderla ma ha poi deciso di avviare il risanamento); il manager del Lingotto non ha però compiuto passi ufficiali. La netta presa di posizione di Girsky non lascia spazi, almeno per ora, a un'eventuale proposta di Fiat: GM continua nello sforzo di riorganizzazione del business europeo. Anche l'amministratore delegato ad interim di Opel, Thomas Sedran, ha sottolineato in un'intervista a «Handelsblatt» il ruolo strategico dell'azienda all'interno del gruppo GM: «Per il gruppo sarebbe un errore strategico lasciare l'Europa alla concorrenza». Un concetto sottoscritto da Michael Tyndall, analista di Barclays Capital: «Una ragione in più per ritenere improbabile una cessione di Opel da parte di GM, per quanto difficile sia il business in Europa, è che le Opel vengono vendute con successo con il marchio Buick in Cina e GM può usare le piattaforme delle piccole Opel in America Latina». Altri analisti hanno consigliato a General Motors di vendere Opel (controllata al 100%). Un report pubblicato di un mese da della Morgan Stanley, per esempio, intitolato «Life without Opel» («Vita senza Opel»), suggeriva che a GM potrebbe convenire disfarsi della società tedesca «anche se l'operazione le costasse 10 miliardi di dollari», e ricordava i forti rialzi delle azioni BMW dopo la cessione di Rover e di Daimler dopo la separazione da Chrysler. Marchionne non è nuovo al lancio di ballon d'essai in vista di eventuali mosse da realizzare, come direbbe lui, alla velocità della luce. I prossimi mesi potrebbero portare scenari più favorevoli; molto dipenderà da come andrà avanti il dossier dell'alleanza tra Opel e PSA (che dovrebbe ricevere entro fine mese un impulso decisivo), ma sarà importante anche l'andamento economico dei prossimi mesi. Per quanto riguarda Fiat, il 30 ottobre verranno presentati i risultati del 3° trimestre e la revisione dei target finanziari fino al 2014. Ieri la Barclays Capital ha declassato le azioni Fiat a underweight (sottopesare) con un prezzo obiettivo di 3,90 euro rispetto ai 4,476 della chiusura di ieri (+0,77%). Gli analisti della banca stimano che, esclusa Chrysler, Fiat abbia bruciato nel primo semestre 280 milioni di euro al mese (contro i 175 di PSA) e avvertono che la disputa con il fondo VEBA sul prezzo dell'opzione sul 3,3% di Chrysler rende più difficile per il Lingotto raggiungere il 100% dell'azienda americana in tempi brevi. Ieri a Roma si è tenuto al ministero dello Sviluppo Economico un incontro sull'impianto Fiat di Termini Imerese, fermo dal 2011. La riunione ha ufficializzato l'uscita di scena della DR Motor, e il Governo ha fissato una scadenza a fine anno per la ricerca di altri partner per una produzione automobilistica. Il ministro dell'Economia Grilli ha intanto firmato il decreto esodati che copre anche circa 600 lavoratori di Termini.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 6/10/2012)

domenica 7 ottobre 2012

Auto: il calo dei volumi fa tremare l'indotto


Resta alto il livello di guardia intorno al Lingotto. L'attenzione, sia a livello nazionale che locale, si focalizza da un lato sui tempi degli investimenti di casa Fiat, dall'altro sulla tenuta dell'indotto, in Piemonte come nel resto d'Italia. Con il numero di immatricolazioni dei 10 principali marchi automobilistici in caduta in Europa del 15,2% tra 2007 e 2011 (quasi due milioni e mezzo di vetture in meno sul mercato), l'intero sistema è sotto stress. E il rischio è che l'export non riesca più ad agire da volano come finora accaduto. Con i suoi 19 miliardi di fatturato, la componentistica piemontese rappresenta metà dell'intero comparto italiano e mantiene una sua specificità: nonostante sia tramontato il modello di monofornitura verso Fiat, il 79,8% delle aziende dell'indotto piemontese dipende comunque da commesse del Lingotto, è dunque fornitore diretto o indiretto di Fiat, contro il 55% della media italiana. Il peso di Fiat sui fatturato del comparto scende sotto il 40% mentre in Piemonte resta intorno al 50. Internazionalizzazione e diversificazione sono processi in atto da anni. Il 70% delle imprese della componentistica esporta (in Piemonte sono l'84%). Allo stesso tempo, quasi il 70% delle imprese produce anche per veicoli commerciali, industriali e autobus e più del 62% è attivo nel mercato dei ricambio. Ma la crisi dell'auto così evidente a livello europeo mette a dura prova il comparto. «Le piccole aziende – spiega Claudio Chiarle della Fim – sono in forti difficoltà, oltre che per il calo delle commesse, anche per problemi con il sistema creditizio». La progressiva riduzione dei volumi di casa Fiat, poi, rischia di condizionare anche le multinazionali presenti sul territorio, soprattutto quelle della selleria, a ridosso degli stabilimenti. La situazione è gia al limite per esempio all'americana Lear (Grugliasco) – fino a giugno 2013, un anno di cig straordinaria per ristrutturazione, 430 i lavoratori coinvolti. La ristrutturazione accompagnerà l'avvio della produzione della Maserati alla ex-Bertone mentre resta l'incognita sui nuovi modelli a Mirafiori. A inizio 2013 scadrà la cig (cassa integrazione per crisi) alla Valeo di Pianezza, 500 lavoratori della componentistica auto, mentre entro fine anno si dovrebbe chiudere l'accordo con i giapponesi della U-Shin per la cessione della produzione di maniglie. «L'ultima in ordine di tempo – ricorda Giuseppe Anfuso della Uilm – è la tedesca Tekfor con la cig straordinaria per crisi avviata per 360 addetti ad Avigliana». Si va verso l'esaurimento del periodo dei tre anni di cig per crisi, aggiunge Alberto Tomasso, segretario regionale della Cgil, «e questo lascerà le aziende spiazzate laddove non c'è un piano di riorganizzazione».
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 29/9/2012)

sabato 6 ottobre 2012

Terremoto in Emilia: 325mila Euro raccolti da Fiat-Chrysler e Fiat Industrial


Il gruppo Fiat, insieme con suoi dipendenti, ha donato 200mila euro alle popolazioni colpite dal terremoto in Emilia Romagna. In una nota l'azienda spiega che la somma complessivamente raccolta è stata devoluta a favore della Croce Rossa e della cooperativa sociale "Nazareno" di Carpi (Modena), centro di accoglienza per le persone diversamente abili. All'iniziativa umanitaria di raccolta fondi hanno aderito tutte le società del gruppo nel mondo: dipendenti ed ex-dipendenti hanno potuto effettuare la loro donazione direttamente attraverso il sito Internet della Croce Rossa. La cifra donata complessivamente dai dipendenti è stata raddoppiata dall'azienda per un totale di circa 125mila euro, ai quali vanno aggiunti i fondi della Chrysler Foundation (Chrysler Group), che ha donato oltre 75mila euro alla cooperativa "Nazareno". Un'altra donazione di 125mila euro arriva poi da Fiat Industrial. La somma, raccolta tra tutti i dipendenti nel mondo e raddoppiata dalle società del gruppo, è stata devoluta a favore della Croce Rossa e della cooperativa sociale "Nazareno". La donazione si aggiunge a una serie di altri interventi straordinari che Fiat Industrial ha messo in atto subito dopo la catastrofe naturale.
(Fonte: www.liberoquotidiano.it - 2/10/2012)