domenica 25 settembre 2011

Berta: è possibile produrre auto in Italia?


L'Italia è un Paese adatto a produrre automobili? Alla questione che da oltre un anno solleva Sergio Marchionne è possibile oggi rispondere con più nettezza del passato che sì, lo è, come testimonia la decisione di ieri della Fiat di dare corso all'investimento nell'area di Grugliasco. Di sicuro molto è cambiato da quando l'amministratore delegato di Fiat-Chrysler aveva posto questa domanda nel Meeting di Cl a Rimini del 2010. Il mutamento si è prodotto sotto l'effetto e le reazioni suscitate dalle sue sortite, anche con le asprezze che le hanno contraddistinte: i suoi interlocutori, in maggioranza, non si sono sottratti e hanno raccolto la sua sfida. Proviamo a mettere in fila i passaggi che hanno scandito il confronto sulle relazioni industriali. A dicembre c'è stata la difficile trattativa sullo stabilimento di Mirafiori, conclusasi l'antivigilia di Natale con un accordo che ha segnato il punto di maggiore scontro fra le organizzazioni sindacali. A gennaio c'è stato il referendum – la consultazione di fabbrica più travagliata – per l'approvazione dell'intesa di dicembre. L'accordo è stato ratificato, pur con un voto di misura. Non s'era ancora spenta l'eco di Mirafiori, che è iniziata la controversia sullo stabilimento ex Bertone di Grugliasco, cui è stato esteso il medesimo contratto. Lì il referendum è passato in maniera quasi plebiscitaria, grazie alla decisione delle Rsu Fiom di votare "sì" per salvaguardare la fabbrica e l'occupazione. In seguito, c'è stato il patto interconfederale del 28 giugno che ha accolto, anche con l'assenso della Cgil, i cardini delle intese di Pomigliano d'Arco e di Mirafiori, pur senza convalidare retroattivamente la loro efficacia. Da ultimo, il ministro del Lavoro Sacconi – con una mossa avversata da Cgil e Fiom – ha inserito una norma per la validità dei contratti Fiat nel decreto del Governo relativo alla manovra finanziaria. Sul fronte della magistratura, è stato accolto il ricorso della Fiat contro la riammissione in fabbrica dei tre militanti Fiom di Melfi che erano stati licenziati e che il giudizio di primo grado aveva fatto riassumere. Alla metà di luglio, una sentenza del tribunale di Torino ha riconosciuto la legittimità dell'accordo di Pomigliano e della nascita della "newco" (Fabbrica Italia Pomigliano), mentre ha dichiarato antisindacale la condotta della Fiat per quanto riguarda la mancata rappresentanza della Fiom nel nuovo assetto aziendale. Tutti questi passaggi sono avvenuti in un clima che è stato prevalentemente di dura contrapposizione. Ma una parte del movimento sindacale, quella che fin qui si è rivelata alla fine maggioritaria, ha deciso di scommettere sulla proposta di Marchionne e della Fiat, accettando i rischi e i costi che ciò comportava, perché è più arduo rappresentare le ragioni del cambiamento di fronte ai lavoratori che sostenere, al contrario, il mantenimento di un sostanziale status quo. Sul versante politico e nell'opinione pubblica, sono state numerose le voci di coloro che hanno difeso le posizioni di Marchionne, anche quando si alzavano i toni polemici del manager, che non ha risparmiato critiche al sistema italiano. Né gli è mancata la sponda degli amministratori pubblici e degli enti territoriali, che a Torino, in particolare, si sono spesi affinché la Fiat vi mantenesse un forte presidio produttivo. Dal punto di vista delle relazioni industriali, quest'anno è stato lungo e tormentato, ma ricco di novità. Si è fatto strada il criterio del primato della contrattazione decentrata, come strumento per creare e non solo ridistribuire risorse attraverso la ricerca di soluzioni per incrementare l'efficienza produttiva. Anche all'interno della Cgil si è consolidato il ruolo dei dirigenti e dei quadri che coltivano una visione dinamica della contrattazione collettiva. E c'è da sperare che le più recenti tensioni entro il movimento sindacale non arrestino queste spinte evolutive. La Confindustria e le associazioni imprenditoriali, in modo speciale quelle delle aree dove la Fiat è radicata, hanno usato la loro influenza per ricercare soluzioni tali da preservare le sue attività produttive. Insomma, non è stato affatto poco ciò che si è messo in moto attorno ai problemi sindacali legati alla questione della Fiat. Nelle prossime settimane, Marchionne potrà valutare a ragion veduta se si è vicini all'obiettivo della "governabilità" delle fabbriche, da lui posta in cima all'agenda italiana. Certo, rimarranno gli oppositori della sua strategia. La Fiom non ha raccolto la sfida e ha scelto di contrastare in toto il progetto di Fiat-Chrysler: peccato, perché avrebbe potuto impiegare la sua forza e la sua autorevolezza per verificare fino in fondo la politica aziendale sugli investimenti. Si è voluta chiamare fuori e capitalizzare il consenso che va a chi sviluppa un'opposizione frontale. Una società libera garantisce la possibilità di manifestare il dissenso, così come assicura che prevalga la volontà della maggioranza. Per il resto, l'Italia rimane la nazione che è, con le sue peculiarità, le sue vischiosità e tortuosità. In un anno non è diventata come l'America. Ma Marchionne ha chiesto una maggiore governabilità della vita produttiva, non una rivoluzione antropologica. E poi, anche in America continuano a esserci dei critici radicali del salvataggio di Detroit voluto dalla presidenza Obama. Per molti repubblicani, soprattutto degli ambienti del Tea Party, quello rimane un errore capitale: basta scorrere le pagine del Wall Street Journal per rendersene conto. Una nazione è sempre una realtà composita, specie se ha la storia dell'Italia, di cui la Fiat è stata una componente influente. Ecco perché non può parlare del Paese come se fosse altro da sé: l'Italia è così anche perché reca l'impronta della Fiat. Per tutti questi motivi e altri ancora, è lecito confidare che con l'autunno la Fiat darà seguito anche agli altri investimenti, dopo aver confermato ieri quello per lo stabilimento di Grugliasco. Se invece la fase di drammatico cambiamento economico che stiamo attraversando dovesse comportare una revisione di strategia, allora sarà giusto darne comunicazione agli italiani.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 27/8/2011)

1 commento:

  1. E' mia opinione personale che l'analisi di Berta sia molto equilibrata e "civilmente" responsabile. Vorrei aggiungere un commento al suo ultimo paragrafo.La drammatica crisi finanziaria che stiamo vivendo ci fa toccare con mano che gli investitori in obbligazioni sovrane guardano "giustamente" all'affidabilità economica e finanziaria dello stato emittente. La Germania, patria della più forte industria automobilistica europea, è considerata la nazione piu affdabile in Europa quindi è un benchmark per valutare l'affidabilità di emissione di titoli obbligazionari da parte di altri stati europei (che devono pagare un extra prezzo per la loro minore affidabilità). Anche l'investitore "industriale" (chi vuole investire in uno stabilimento automobilistico,per esempio)valuta l'efficienza economica-finaziaria-giudiziaria-di relazioni del sistema paese in cui vole investire. In questo momento l'Italia è fortemente penalizzata dalla sua disefficenza come sitema paese, disefficienza che mette in dubbio sia la sua capacità di servire il debito contratto ma anche la sua capacità di offrire opportunità di investimento industriale privato.Se l'Italia non dimostrerà in modo pronto e convincente la sua volontà di riorganiizzarsi per avvicinarsi sensibilmente al benchmark tedesco, una revisione di strategia da parte di Fiat verso l'Italia diventerà più probabile.

    RispondiElimina