L'indiscrezione di Bloomberg secondo cui in casa Fiat «il Suv sarebbe destinato agli Stati Uniti e a Torino andrebbe una citycar» si è abbattuta come un fulmine a ciel sereno sul quartier generale dei metalmeccanici. E così il primo settembre, a sentire la parola Mirafiori, tutti hanno voglia di urlare. Ma per ora i sindacalisti di Fim-Cisl, Uilm, Fismic, associazione quadri e Ugl, che hanno creduto fino a oggi nella parola data dalla Fiat, si limitano a digrignare i denti e, dopo aver chiesto all’azienda un incontro urgente, aspettano una smentita. Tempo massimo lunedì 5 settembre. Poi sarà guerra armata. «Abbiamo un accordo sottoscritto nero su bianco, che nessuno potrà smentire, né un giudice, né il governo, né l’opinione pubblica», ha affermato Rocco Palombella, leader della Uilm. «Perché quella dei Suv non era una trovata, ma una scelta industriale che la Fiat ha fatto e che noi abbiamo accettato», ha detto Palombella, «Un’intesa sofferta che ha lacerato i lavoratori, i sindacati e il Paese». È ancora vivo il ricordo di quel sì sostenuto nel referendum del 14 gennaio a Torino che solo i metalmeccanici della Cgil avevano rifiutato sin dall’inizio e che causò l’ennesima frattura nel mondo sindacale. «Marchionne ci aveva detto che quello era l’unico modello possibile e noi abbiamo firmato. Se ora ha cambiato idea deve dircelo guardandoci in faccia. Non possiamo mica sapere queste cose dalla stampa. E, comunque, non accetteremo nessuna marcia indietro».
AL LINGOTTO TUTTO TACE - Dal Lingotto, però, nessun segnale. Marchionne ha altri impegni: riunito con i 22 top manager del Group executive council (Gec) deve decidere gli assetti manageriali delle quattro aree di produzione e vendita (Nord America, Europa, Africa, Medio Oriente, America Latina, Asia). «La Fiat continua a prendere tempo, e i modelli di auto ipotizzati dal gruppo torinese sono ancora una volta cambiati dopo un anno: negli stabilimenti aumenta la cassa integrazione e non la produzione», ha osservato il segretario nazionale della Fiom, Maurizio Landini. A fargli eco è il segretario torinese della Fim (Cisl) Claudio Chiarle che respinge ogni possibile ritirata causa crisi: «Il Suv ha una quota di mercato del 12% e la Chrysler segna una crescita del 30%». Inoltre, secondo Chiarle solo un auto del segmento di alta gamma può consentire a Mirafiori di mantenere un elevato contenuto tecnologico, gli stessi livelli produttivi e quindi lo stesso numero di lavoratori. Respinta quindi al mittente l’ipotesi di una citycar come la Topolino. «Ma stiamo scherzando? Cos’è, la macchina di Michey Mouse? In tutti i piani presentati da Fiat non è mai stata nominata, e poi il futuro di Mirafiori non passa certo attraverso una vetturetta», ha sbottato Chiarle. Il calcolo è presto fatto: per un Suv servono 20 operai, per una citycar ne bastano 10, quindi si dimezzerebbe il personale. Inoltre, l’auto di alta gamma porterebbe maggiori guadagni: «Soprattutto se ci sarà un aumento del costo delle materie prime», ha spiegato Chiarle, «perché se si vende un auto a 30-40 mila euro almeno i margini di guadagno, sia per l’azienda sia per i lavoratori, sono maggiori rispetto a quelli di una citycar». Che, secondo Palombella, potrebbe essere prodotta a Melfi: «Uno stabilimento che è adatto per due modelli e dove invece si produce solo la Fiat Punto. E così gli ammortizzatori sociali aumentano».
IL CAMBIO, LA SCUSA CHE NON REGGE - In questi giorni di mal di pancia e rabbia, i sindacati hanno analizzato ogni possibile difficoltà che potrebbe determinare un ridimensionamento di Mirafiori e non accettano scuse, a partire da quella dell’impatto sul costo del prodotto derivata dal cambio euro-dollaro: «Una vera boutade. Quando abbiamo firmato l’accordo, il dollaro era a 1,30, oggi è a1,45. E 15 centesimi di differenza non mi sembrano così significativi, ma anche se lo fossero le previsioni di fine 2011 danno il dollaro a 1,20 quindi anche inferiore e chissà a quanto sarà a fine 2012 quando il Suv entrerà in produzione. Insomma, la scusa non regge», ha ribadito Chiarle. Ma, se anche fosse, ecco la soluzione: «Nel 2010 Fiat ha acquistato la Vm motori, un’azienda di Cento (Ferrara) di cui ora detiene il 100% e che produce pezzi di vari marchi tra cui anche Chrysler. Quindi, se ci fosse il problema di trasportare oltreoceano il motore basta farlo produrlo qui in Italia», è la proposta del leader della Fim. Trovata una soluzione a tutti i possibili ostacoli che Fiat potrebbe avere, ne rimane soltanto uno, e si chiama Bob King. «Vorrei sapere qual è la richiesta che King ha fatto a Marchionne sui modelli Jeep Chysler che dovranno essere costruiti in Italia», si è chiesto il sindacalista della Fim. Secondo Chiarle, il capo del sindacato americano Uaw, in quanto secondo azionista della Chrysler, avrebbe imposto alcuni diktat a Marchionne durante la contrattazione per la vendita delle quote del fondo pensionistico Veba. «E uno di questi potrebbe essere portare la produzione dei Suv in America», ha spiegato.
MIRAFIORI A RISCHIO - Una soluzione che causerebbe la morte di Mirafiori: «La cassa integrazione continua e la produzione della Mito è bassa, siamo sulle 25 mila vetture l’anno. E pensare che Mirafiori ha una capacità di oltre 220 mila e, con l’accordo Fabbrica Italia, dal 2013 con lo stabilimento a regime ne dovrebbe produrre 280 mila». Ma, per ora, davanti al silenzio assordante di Marchionne, già qualcuno parla di un bluff. «E, se così fosse, l’azienda dovrà essere sfiduciata dallo stesso governo», ha affermato Palombella. Così, ora quel «Ve l'avevamo detto», non è una rivendicazione ma un’amara constatazione che i sindacalisti della Fiom fecero già tanto tempo fa.
(Fonte: www.lettera43.it - 1/9/2011)
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