Ieri Detroit, oggi Torino. Sembra questo il destino incrociato che accompagna due aziende ormai sorellastre: Fiat e Chrysler. Nel momento in cui una si rialza e inizia a muovere i primi passi, l'altra zoppica sempre più e perde pezzi. A tenerle insieme l'amministratore delegato Sergio Marchionne, che per quanto cerchi di dedicare a entrambe le stesse attenzioni sembra trarre più soddisfazioni dalla ripresa di una, piuttosto che combattere per scongiurare l'agonia dell'altra. Dell'Italia ormai parla solo in toni dimessi, denunciando la «mancanza di una leadership forte» e un «eccesso di ideologia nelle relazioni industriali e nell'economia». Le sue parole arrivano sempre più spesso da Oltreoceano, come ha fatto il 3 agosto da Traverse city nel Michigan, dove era in corso il convegno mondiale sull'auto. Parla dalla terra delle soddisfazioni, dei bagni di folla, degli abbracci con il presidente americano Barack Obama e con i manager Chrysler, che dopo i vari tentativi di salvataggio falliti, guardano a Marchionne come un salvatore: «Siamo stati fortunati a sopravvivere a quei barracuda», disse una volta David Kelleher, il presidente di David Dodge Chrysler Jeep a Glen Mills, riferendosi al proprietario tedesco, Daimler-Benz. Ma dopo l'arrivo di Fiat, non si parla più di barracuda, ora non si sa chi siano i veri predatori. A Detroit si respira aria di rinascita. Che secondo il direttore della rivista americana Automotive News, Jason Stein, voce sempre attendibile sulle mosse del Lingotto, potrebbe continuare anche dopo che Marchionne non ci sarà più. Ma per ora le priorità del manager sono altre, ha spiegato Stein, quindi, meglio «non pensare all'ipotesi irrealistica di un quartiere generale della Fiat in America, ma ai successi che l'azienda potrebbe fare qui. Le porte sono aperte». Senza naturalemente dimenticare il vero nemico per entrambe le aziende: «La Cina».
DOMANDA. Marchionne ha detto che nel 2016 potrebbe lasciare il suo incarico alla Fiat. Chi potrebbe essere il suo sostituto?
RISPOSTA. È troppo presto per dirlo, ha appena formato la squadra del nuovo management industriale, il Group Executive Council (GEC), ma visto che ha detto che il suo successore potrà essere qualcuno del nuovo team, ce ne sono alcuni interessanti.
D. E chi sono?
R. Michael Manley per esempio, il Chief Operating Officer per l'Asia, nonchè capo brand per Jeep, è un manager che potrebbe accrescere le sue responsabilità in pochi anni. Come lui, anche il responsabile del marchio Fiat, Olivier François.
D. Molti parlano di François: è il preferito di Marchionne?
R. Sì, è un ottimo candidato, ha una grande esperienza nel marketing, ha lavorato con Lancia e ora ha un nuovo ruolo. Ma anche Reid Bigland, neo responsabile del brand per Dodge, ha un ruolo importante in Nord America: già guida le attività di Chrysler in Canada ed è capo delle vendite U.S.A.
D. Cosa potrebbe fare Marchionne poi? Andare in qualche altra azienda o darsi alla politica, magari nel team di Obama?
R. Ha una grande esperienza internazionale, quindi può andare dove vuole, ma non penso andrà in un'altra azienda, soprattuto a 64 o 65 anni penso sia irrealistico pensarlo, e poi gli servono almeno 24 mesi per finire il lavoro qui, è un tempo lungo. Potrebbe succedere di tutto.
D. Il manager ha detto che «l'operazione di fusione non è una priorità di quest'anno, così come il trasferimento della sede», ma prima o poi il quartier generale della Fiat sarà a Detroit?
R. Non penso che succederà, la soluzione migliore serebbe avere due strutture. Non c'è ragione per la Fiat di avere un quartiere generale qui bensì in Europa.
D. Un matrimonio a distanza in separazione di beni?
R. Potranno beneficiare a vicenda dei propri beni. Chrysler può usufruire per esempio dei piccoli veicoli della Fiat, visto i prezzi alti della benzina e Fiat può beneficiare di quelli grandi della Chrysler e del suo canale di distribuzione. Le due compagnie sono complementari e non c'è bisogno di portare qui la Fiat.
D. Pensa che in futuro nei piani dell'azienda ci sia quello di chiudere tutti gli stabilimenti italiani?
R. Non credo. Certo la Fiat continuerà a usare gli stabilimenti in Messico dove è più basso il costo della manodopera per produrre parte delle auto che saranno vendute sul mercato americano, ma non penso che tutte le produzioni andranno nei Paesi low cost. Sarebbe irrealistico avere questo timore. Ci saranno stabilimenti in Nord America per le macchine americane e stabilimenti in Italia per quelle italiane.
D. Tutto concentrato sul pericolo Cina e i successi americani, Marchionne non rischia di trascurare l'Italia?
R. No, penso che il problema cinese riguardi tutti, sia il mercato nordamericano che quello europeo. Tutti devono essere consapevoli che la Cina sta entrando nel mercato dell'auto e che produrrà a livelli sempre più rapidi e competitivi dei nostri.
D. Insomma la Cina detta le regole del mercato.
R. Tutte le aziende del mondo dovranno adeguarsi. Non possono pensare di continuare a produrre come 20 anni fa.
D. Perché gli americani hanno una fiducia cieca in Marchionne, quasi fosse un eroe?
R. Perché è arrivato qui quando la situazione era davvero drammatica, vicino al collasso e ha messo tutte le sue energie per salvare questo brand. E dopo che c'è riuscito, davanti a questo successo per gli americani Marchionne è apparso come il salvatore di una tradizione, di un marchio storico che era un'icona.
D. Non un barracuda...?
R. È riuscito in ciò che i tedeschi hanno fallito. Daimler voleva fare della Chrysler un sub-brand, non ha portato nessun prodotto, nessuna tecnologia, competenze o ingegneria. Marchionne invece ha fatto l'opposto e questo per le prospettive americane è stata davvero una buona notizia.
D. In America ha portato la tecnologia mentre in Italia ha chiuso le fabbriche, aumentato la cassa integrazione e i lavoratori disperati tentano il suicidio.
R. Sono due situazioni drammatiche ma molto diverse, l'Europa e l'Italia in particolare rispetto all'America hanno due strutture sociali e produttive molto differenti. La bancarotta della Chrysler ha favorito il lavoro di Marchionne perchè gli ha permesso di saltare una serie di vincoli e ha potuto far ripartire subito la produzione con lavoratori che avevano perso il lavoro e non avevano nessun ammortizzatore sociale.
D. Ieri Detroit oggi Termini Imerese, Pomigliano, ex officine Bertone. Un successo e una débâcle?
R. Non credo, Fiat ora usufruirà di questo successo americano. Le porte dell'America sono aperte per il Lingotto, perché le sue tecnologie sono migliori, così come i prodotti. Con l'America c'è un grande feeling e inoltre potrà usare il canale di distribuzione Chrysler.
D. Per ora però è Chrysler Group ad andare a gonfie vele.
R. Sì, negli Stati Uniti le vendite hanno registrato un aumento del 20% rispetto al luglio 2010 (93.313 unità), e il record da luglio 2007.
D. Ma nello stesso giorno in cui uscivano questi dati, il titolo di Fiat a Piazza Affari crollava.
R. Ci sono cambiamenti non solo nel mercato italiano, ma in Europa in generale. Non c'è domanda. E l'UE non sta agendo come una vera "unione". Ogni Stato cerca di proteggere i propri lavoratori e industrie, senza un progetto comune.
D. Marchionne definisce il mondo europeo «appesantito dalle ideologie che rendono tutto più difficile». È d'accordo?
R. Sì e penso che questo sia pericoloso per Fiat e per tutte le aziende. Ho lavorato in Germania per 4 anni e ho visto che alcune fabbriche tedesche sono state salvate dallo Stato.
D. E i sindacati pure. Marchionne ama più Bob King che Maurizio Landini?
R. I sindacati in America stanno collaborando, l'epoca degli scioperi e delle proteste è finita, basta guardare cosa sta succedendo in Cina. Il mondo è cambiato. Non è più il 1967. Questa è la nuova realtà, ora c'è la Cina e i sindacati hanno capito che devono collaborare per il loro futuro.
D. Che cosa pensano gli americani del presidente della Fiat, John Elkann?
R. Gli americani non sanno neanche chi sia, la gente anche per strada conosce solo Marchionne. È lui il capo della Fiat.
DOMANDA. Marchionne ha detto che nel 2016 potrebbe lasciare il suo incarico alla Fiat. Chi potrebbe essere il suo sostituto?
RISPOSTA. È troppo presto per dirlo, ha appena formato la squadra del nuovo management industriale, il Group Executive Council (GEC), ma visto che ha detto che il suo successore potrà essere qualcuno del nuovo team, ce ne sono alcuni interessanti.
D. E chi sono?
R. Michael Manley per esempio, il Chief Operating Officer per l'Asia, nonchè capo brand per Jeep, è un manager che potrebbe accrescere le sue responsabilità in pochi anni. Come lui, anche il responsabile del marchio Fiat, Olivier François.
D. Molti parlano di François: è il preferito di Marchionne?
R. Sì, è un ottimo candidato, ha una grande esperienza nel marketing, ha lavorato con Lancia e ora ha un nuovo ruolo. Ma anche Reid Bigland, neo responsabile del brand per Dodge, ha un ruolo importante in Nord America: già guida le attività di Chrysler in Canada ed è capo delle vendite U.S.A.
D. Cosa potrebbe fare Marchionne poi? Andare in qualche altra azienda o darsi alla politica, magari nel team di Obama?
R. Ha una grande esperienza internazionale, quindi può andare dove vuole, ma non penso andrà in un'altra azienda, soprattuto a 64 o 65 anni penso sia irrealistico pensarlo, e poi gli servono almeno 24 mesi per finire il lavoro qui, è un tempo lungo. Potrebbe succedere di tutto.
D. Il manager ha detto che «l'operazione di fusione non è una priorità di quest'anno, così come il trasferimento della sede», ma prima o poi il quartier generale della Fiat sarà a Detroit?
R. Non penso che succederà, la soluzione migliore serebbe avere due strutture. Non c'è ragione per la Fiat di avere un quartiere generale qui bensì in Europa.
D. Un matrimonio a distanza in separazione di beni?
R. Potranno beneficiare a vicenda dei propri beni. Chrysler può usufruire per esempio dei piccoli veicoli della Fiat, visto i prezzi alti della benzina e Fiat può beneficiare di quelli grandi della Chrysler e del suo canale di distribuzione. Le due compagnie sono complementari e non c'è bisogno di portare qui la Fiat.
D. Pensa che in futuro nei piani dell'azienda ci sia quello di chiudere tutti gli stabilimenti italiani?
R. Non credo. Certo la Fiat continuerà a usare gli stabilimenti in Messico dove è più basso il costo della manodopera per produrre parte delle auto che saranno vendute sul mercato americano, ma non penso che tutte le produzioni andranno nei Paesi low cost. Sarebbe irrealistico avere questo timore. Ci saranno stabilimenti in Nord America per le macchine americane e stabilimenti in Italia per quelle italiane.
D. Tutto concentrato sul pericolo Cina e i successi americani, Marchionne non rischia di trascurare l'Italia?
R. No, penso che il problema cinese riguardi tutti, sia il mercato nordamericano che quello europeo. Tutti devono essere consapevoli che la Cina sta entrando nel mercato dell'auto e che produrrà a livelli sempre più rapidi e competitivi dei nostri.
D. Insomma la Cina detta le regole del mercato.
R. Tutte le aziende del mondo dovranno adeguarsi. Non possono pensare di continuare a produrre come 20 anni fa.
D. Perché gli americani hanno una fiducia cieca in Marchionne, quasi fosse un eroe?
R. Perché è arrivato qui quando la situazione era davvero drammatica, vicino al collasso e ha messo tutte le sue energie per salvare questo brand. E dopo che c'è riuscito, davanti a questo successo per gli americani Marchionne è apparso come il salvatore di una tradizione, di un marchio storico che era un'icona.
D. Non un barracuda...?
R. È riuscito in ciò che i tedeschi hanno fallito. Daimler voleva fare della Chrysler un sub-brand, non ha portato nessun prodotto, nessuna tecnologia, competenze o ingegneria. Marchionne invece ha fatto l'opposto e questo per le prospettive americane è stata davvero una buona notizia.
D. In America ha portato la tecnologia mentre in Italia ha chiuso le fabbriche, aumentato la cassa integrazione e i lavoratori disperati tentano il suicidio.
R. Sono due situazioni drammatiche ma molto diverse, l'Europa e l'Italia in particolare rispetto all'America hanno due strutture sociali e produttive molto differenti. La bancarotta della Chrysler ha favorito il lavoro di Marchionne perchè gli ha permesso di saltare una serie di vincoli e ha potuto far ripartire subito la produzione con lavoratori che avevano perso il lavoro e non avevano nessun ammortizzatore sociale.
D. Ieri Detroit oggi Termini Imerese, Pomigliano, ex officine Bertone. Un successo e una débâcle?
R. Non credo, Fiat ora usufruirà di questo successo americano. Le porte dell'America sono aperte per il Lingotto, perché le sue tecnologie sono migliori, così come i prodotti. Con l'America c'è un grande feeling e inoltre potrà usare il canale di distribuzione Chrysler.
D. Per ora però è Chrysler Group ad andare a gonfie vele.
R. Sì, negli Stati Uniti le vendite hanno registrato un aumento del 20% rispetto al luglio 2010 (93.313 unità), e il record da luglio 2007.
D. Ma nello stesso giorno in cui uscivano questi dati, il titolo di Fiat a Piazza Affari crollava.
R. Ci sono cambiamenti non solo nel mercato italiano, ma in Europa in generale. Non c'è domanda. E l'UE non sta agendo come una vera "unione". Ogni Stato cerca di proteggere i propri lavoratori e industrie, senza un progetto comune.
D. Marchionne definisce il mondo europeo «appesantito dalle ideologie che rendono tutto più difficile». È d'accordo?
R. Sì e penso che questo sia pericoloso per Fiat e per tutte le aziende. Ho lavorato in Germania per 4 anni e ho visto che alcune fabbriche tedesche sono state salvate dallo Stato.
D. E i sindacati pure. Marchionne ama più Bob King che Maurizio Landini?
R. I sindacati in America stanno collaborando, l'epoca degli scioperi e delle proteste è finita, basta guardare cosa sta succedendo in Cina. Il mondo è cambiato. Non è più il 1967. Questa è la nuova realtà, ora c'è la Cina e i sindacati hanno capito che devono collaborare per il loro futuro.
D. Che cosa pensano gli americani del presidente della Fiat, John Elkann?
R. Gli americani non sanno neanche chi sia, la gente anche per strada conosce solo Marchionne. È lui il capo della Fiat.
(Fonte: www.lettera43.it - 8/8/2011)
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