giovedì 9 ottobre 2014

Il nuovo inizio di Fiat: gli Agnelli più forti, ma serviranno altri soci


Accadrà di pomeriggio, alla fine delle contrattazioni. Tecnicamente infatti quella di FCA non è una 'Initial public offering', un'offerta pubblica iniziale di azioni. E solo alle Ipo è concesso l'onore di aprire le danze nella giornata finanziaria di Wall Street. Alle società già quotate altrove che scelgono di sbarcare alla Borsa di New York o di tornarci dopo un lungo periodo di assenza è invece concesso il privilegio di suonare la campana che chiude la giornata di contrattazioni. Alle 16 del 13 ottobre prossimo, quando in Italia saranno le 22, John Elkann e Sergio Marchionne suoneranno quella campana. Per festeggiare il listing di FCA, quella che per gli italiani è la nuova Fiat e per gli investitori U.S.A. è semplicemente il ritorno di Chrysler in Borsa. Gli effetti della quotazione a Wall Street saranno diversi e non tutti immediatamente percepibili. Il primo, nelle intenzioni dei vertici del Lingotto, sarà quello di aumentare il numero di azionisti americani nella società. Nelle settimane scorse, a ridosso della bufera sul diritto di recesso e la possibilità che restituisse le azioni più del 5 per cento del capitale sociale (con la conseguenza di far fallire l'intero progetto di fusione), il verbale dell'assemblea straordinaria degli azionisti Fiat ha fatto emergere un quadro per certi aspetti inedito. Perché accanto ai tradizionali soci europei era stata rappresentata alla riunione una cospicua quota di azionisti americani anche di modesto peso: fondi pensione di insegnanti di questo o quello stato, associazioni professionali, banche di piccolo taglio. Naturalmente la gran parte degli azionisti americani non ha partecipato all'assemblea di agosto, né per delega né, tantomeno, di persona. Questo fa ritenere che, dietro quei piccoli azionisti visibili si nasconda un gran numero di altri soci americani, un azionariato già diffuso. Dunque, nei road show che Marchionne e il suo responsabile finanziario Richard Palmer, si preparano a compiere nelle prossime settimane ('Ho detto a Richard: preparati almeno due cambi di biancheria'), l'obiettivo sono i grandi gruppi finanziari, quelli in grado di orientare le scelte del parco buoi di Wall Street. Il rischio infatti è di fare la fine di CNH, la società dei trattori e dei camion nata dallo spin off di Fiat, quotata a Wall Street e tuttora mossa negli scambi soprattutto nell'originaria piazza milanese dove ha mantenuto la quotazione secondaria. Ma come allettare i grandi investitori U.S.A.? FCA infatti non è una nuova società e dunque non porterà alla Borsa di New York un titolo totalmente nuovo ma un'azione che nasce dalla conversione di una share precedentemente esistente, l'azione Fiat. C'è bisogno di un chip, di una quota di azioni da gettare sul piatto per offrirla ai nuovi arrivati. Il tesoretto, ha più volte detto Marchionne in questi giorni, potrebbe arrivare da parte delle azioni consegnate per esercitare il diritto di recesso. Solo mercoledì si saprà quanti tra gli attuali soci hanno esercitato i diritti di opzione e prelazione sui titoli provenienti dal recesso, poco meno del 5 per cento per un valore complessivo superiore ai 400 milioni di euro. Si prevede che, tirate le somme, rimanga a disposizione del tesoretto una somma compresa tra il 2 e il 3 per cento. Che potrebbe rappresentare il primo incentivo, nel breve termine, per chiamare a raccolta gli investitori d'oltreoceano. Sul medio periodo invece la questione si fa più complessa e ha a che vedere con i diritti di voto concessi dalla legge olandese agli azionisti di lungo corso delle società. Un provvedimento preso a suo tempo dai governi dell'Aia per scoraggiare i fondi di investimento mordi e fuggi e spingere le società ad affidarsi a soci più stabili. Con il risultato di attirare in Olanda una gran quantità di aziende che prendono la sede legale nei Paesi Bassi per poter sfruttare i vantaggi del doppio voto concesso ai soci di lungo corso. Nel caso di FCA questo sistema potrebbe teoricamente avere due conseguenze. Se tutti gli attuali soci di Fiat eserciteranno l'opzione che consente loro di raddoppiare i diritti di voto, le proporzioni tra gli azionisti rimarrebbero sostanzialmente immutate: Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli, avrebbe il 30 per cento dei diritti di voto in FCA, la stessa percentuale che ha oggi in Fiat. Se anche gli altri soci esercitassero il diritto di ottenere il voto doppio, rimarrebbero con l'attuale 70 per cento complessivo. All'estremo opposto, se solo Exor decidesse di esercitare il diritto di voto doppio, rimarrebbe con il 46,15 per cento dei voti. Infatti l'attuale 30 per cento degli Agnelli diventerebbe teoricamente il 60 ma dovrebbe in parte diluirsi per il modificarsi del denominatore: 60 più 70 fa 130 e non 100. E 60 rappresenta il 46,15 per cento di 130. È matematicamente impossibile dunque che l'attuale 30 per cento di Exor superi, con il raddoppio dei diritti di voto, la soglia del 50 per cento. Un argomento che deve essere stato decisivo, nei giorni del recesso, per convincere una parte dei soci critici verso l'aumento di peso degli Agnelli nella nuova società, a non restituire il titolo. In sostanza, con la nascita di FCA, Exor si troverà ad avere tra il 30 e il 46,15 per cento dei diritti di voto a seconda delle scelte degli altri soci. È probabile che alla fine gli Agnelli si troveranno in mano circa il 40 per cento dei diritti di voto, il 10 per cento in più di quelli che hanno oggi in Fiat. Un bel gruzzolo e una potenziale leva per stringere accordi anche finanziari con altri partner al momento giusto. Anche perché con il trasferimento in Olanda perde importanza la soglia del 30 per cento delle azioni che secondo la legge italiana è quella che garantisce a chi la detiene il controllo della società perché obbliga chi voglia effettuare una scalata ostile a lanciare un'opa sull'intero capitale circolante. In Olanda la soglia del 30 per cento non esiste e dunque, teoricamente, gli Agnelli potrebbero diluirsi anche sotto il 30 per cento senza particolari conseguenze. Così, entro la fine dell'anno, il volto finanziario della Fiat è destinato a modificarsi radicalmente e senza possibilità di ritorno. Sarà contemporaneamente una società più aperta, perché quotata sulla principale piazza mondiale, e più chiusa, perché posseduta dall'azionista di maggioranza in quote maggiori di quelle di oggi. Ma proprio questo apparente paradosso potrebbe servire a gettare le basi per ulteriori evoluzioni, come quei piloni di cemento armato che svettano sui tetti delle case in costruzione in attesa che qualcuno decida di realizzare il piano successivo. Quel cuscino del 10-15 per cento in più di diritti di voto che gli Agnelli avranno in FCA potrebbe servire a far entrare nuovi soci o anche ad evitare di ricorrere a quell'aumento di capitale che la Borsa da tempo chiede a gran voce giudicando impossibile che il Lingotto possa finanziare con le attuali forze il piano di rilancio di Alfa Romeo. Un piano da 5 miliardi di euro che l'ingresso di nuovi partner potrebbe rendere meno gravoso per gli attuali azionisti. Il dilemma dovrà essere sciolto il 29 ottobre, in occasione del consiglio di amministrazione FCA in programma a Londra. Ci sono dunque due settimane a disposizione di Marchionne e Richard Palmer, quelle che intercorrono tra il giorno della quotazione a Wall Street e la riunione londinese, per sciogliere i nodi, trovare gli impegni dei nuovi investitori e proporre al cda un piano operativo in grado di garantire investimenti fino al 2016 quando l'ad ritiene che l'arrivo sul mercato dei nuovi modelli sarà in grado di generare cassa senza bisogno di ricorrere a nuove iniezioni di denaro. Chiusa con la quotazione a Wall Street la partita della fusione con Chrysler, sarà dunque questa la nuova partita per Sergio Marchionne.
(Fonte: www.repubblica.it - 6/10/2014)

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