venerdì 31 ottobre 2014

Innovazioni nel mondo dell’auto: FCA è 12°


“Pigra” forse. Di sicuro non troppo dinamica. Secondo il Center of Automotive Management di Bergisch Gladbach, in Germania, Fiat Chrysler Automobiles non è particolarmente innovativa. Non figura fra i primi dieci gruppi al mondo, mentre nessuno dei due marchi, né Fiat né Chrysler, compare fra i primi venti singoli brand. L’edizione 2014 della ricerca “Le innovazioni dei costruttori globali di auto” presentata recentemente sembra confermare la superiorità tedesca: lo scorso anno sono ascrivibili alle multinazionali della Germania il 41% delle innovazioni. Nel 2008, sempre secondo lo stesso CAM, erano il 28%. Lo scorso anno, il Centro di Bergisch Gladbach, diretto da Stefan Bratzel, ha contabilizzato un numero record di novità, 1.010. Sono registrate come innovazioni quelle soluzioni che “forniscono significativi ulteriori benefici ai clienti”. L’analisi viene condotta sistematicamente sulla base di criteri quantitativi e qualitativi e riguarda 18 società globali con 53 marchi e, per la prima volta, operatori “regionali” fra i quali anche 6 cinesi. In testa alla classifica dei gruppi mondiali c’è Volkswagen Group con un “indice di innovazione” pari a 186,2, il livello più alto mai raggiunto dal 2005, anno di inizio dello studio. La ricerca spiega che nel corso del 2013 il colosso di Wolfsburg ha introdotto oltre 200 novità (ma “solo” 28 planetaria), molte più rispetto a Daimler che, però, sono di maggior spessore (40 innovazioni mondiali): 171,2 il punteggio. Al terzo posto c’è BMW, che ha guadagnato due posizioni rispetto al 2012. Con un indice di poco oltre i 40 punti, Fiat-Chrysler è dodicesima, guadagna due posizioni. E non si può certo consolare con il risultato di Renault, che ha perduto 4 posti ed è tredicesima, o di Hyundai, sei posizioni in meno (14°). Alle spalle dei tre gruppi tedeschi – e prima di Fiat-Chrysler – ci sono General Motors e Toyota seguite da Nissan – che ha compiuto un bel salto in avanti (nel 2012 era decima), Honda, Ford, PSA Peugeot Citroën, Geely-Volvo e Tata (dalla quindicesima all’undicesima piazza). Dalla ricerca l’Europa emerge come “regina” dell’innovazione: dal 43% del 2008 al 52% del 2013, ma solo grazie ai costruttori tedeschi. Il dato di quelli relativi agli altri marchi del Vecchio Continente è sceso dal 15 all’11%. In flessione anche gli Stati Uniti: dal 27 al 15%. Stabile il Giappone al 22%, mentre la Corea del Sud era al 6% nel 2008 era passata al 7% nel 2012 ed è scivolata al 4% l’anno scorso. Oltre un quarto (27%) delle tecnologie inedite riguarda la sicurezza attiva e passiva L’analisi del CAM premia Mercedes-Benz fra i singoli marchi grazie ai tre modelli più innovativi, Classe C, Classe E e Classe S. Con 38 novità mondiali, la casa con la Stella si conferma prima con 167 punti davanti a Bmw (75,8) ed a Volkswagen (58). Ai piedi del podio figurano Audi (che ha perso due posizioni rispetto alla rilevazione dello scorso anno) e Ford. Né Fiat né Chrysler compaiono fra i primi venti brand. “Chi toglie il piede dall’acceleratore, viene superato in breve tempo”, aveva avvertito Bratzel. Per l’anno in corso il CAM stima un nuovo record mondiale di immatricolazioni tra auto e veicoli commerciali leggeri: 75,5 milioni, +4,4%. Secondo gli analisti di Bergisch Gladbach, sulla base dell’andamento del primo semestre, la leadership di Toyota è a rischio: Volkswagen sfonderebbe quota 10,1 milioni, più o meno sugli stessi livelli del marchio giapponese. Malgrado gli oltre 30 milioni di veicoli richiamati, anche General Motors raggiungerebbe i 10 milioni. Con 16 milioni di immatricolazioni (peraltro frenate dalle norme antinquinamento: solo le targhe di veicoli elettrici o ibridi vengono consegnate subito), la Cina resta il mercato più importante al mondo. Fiat Chrysler Automobiles si confermerebbe il settimo gruppo mondiale, guadagnando terreno rispetto a Honda: FCA passerebbe da 4,42 a 4,6 milioni di veicoli consegnati. Tuttavia, nel primo semestre il risultato prima di imposte e oneri finanziari (EBIT) è peggiorato – dal 3,9 al 2,2% – collocando il gruppo italoamericano al quindicesimo posto. La miglior performance è quella di Subaru, che nei primi sei mesi è passata dal 10,7 al 13,3% di EBIT scavalcando sia Mercedes-Benz (dall’11 all’8%) sia Bmw (dall’11,1 al 12,3%). Sulla base dell’Automotive Performance Index – un parametro ragionato che considera vendite, innovazioni e andamento finanziario – VW Group resta davanti Toyota (stabile), mentre cresce Daimler (terza). Al quarto posto un altro marchio tedesco, BMW. FCA è undicesima su sedici, con tendenza in calo.
(Fonte: www.ilfattoquotidiano.it - 23/10/2014)

giovedì 30 ottobre 2014

Exor primo datore di lavoro italiano, ma il 74% dei dipendenti è all'estero


Sorpresa, è Exor, la cassaforte degli Agnelli che controlla Fiat-Chrysler e Cnh, il gruppo “italiano” con il maggior numero di dipendenti, avendo sfondato nel 2013 la soglia dei 306.000 addetti, valore che non vedeva dal 1989-90. Peccato però che in 25 anni sia completamente cambiata la geografia degli occupati: nel 1989 l’80% degli addetti del gruppo torinese era in Italia, oggi la quota è drasticamente scesa a poco più del 26 per cento. Lo sottolinea un’analisi del Centro Studi di Mediobanca. Dopo il Lingotto ci sono le Poste, con circa 145.431 dipendenti. Segue Eni che ha nuovamente superato Telecom con 82.289 dipendenti contro 59.227. Dopo il Cane a 6 Zampe c’è Luxottica (73.415 dipendenti), seguita da Enel (71.394 addetti) e la Edizione dei Benetton, passata a 71.257 lavoratori dopo l’assorbimento dei 2.200 dipendenti degli Aeroporti di Roma (Adr). Sotto quota 70.000 addetti ci sono le Ferrovie dello Stato (69.425) e Finmeccanica (63.835) entrambe in calo, rispettivamente del 3,6% e del 5,3% rispetto al 2012. Considerando però le sole attività italiane, il principale datore di lavoro della Penisola sono le Poste, i cui dipendenti operano tutti nel territorio nazionale. Gli addetti italiani di Exor, infatti, sono 80.700. Seguono le Ferrovie, che hanno solo 2.400 addetti in una controllata tedesca, mentre Telecom è quarta con oltre 53.000 unità, davanti ai 37.700 di Finmeccanica, con il 41% all’estero, ai 34.300 di Enel (52% all’estero) e ai 26.800 di Eni (67% all’estero). Ha 21.000 dipendenti la Edizione dei Benetton, di cui il 71% all’estero, mentre Supermarkets Italiani (Esselunga) conta 20.605 addetti tutti in Italia, più dei 17.300 del gruppo Riva nel 2011, di cui il 20% all’estero e 14.700 in capo all’Ilva. I maggiori datori di lavoro italiani all’estero sono Exor (oltre 225.000 unità), Luxottica (oltre 60.000), Eni (55.500) ed Edizione (50.300).
(Fonte: www.ilfattoquotidiano.it - 23/10/2014)

mercoledì 29 ottobre 2014

Jeep Renegade e Fiat 500X: quale scegliere?


Al Salone di Parigi, il Gruppo Fiat ha presentato al pubblico la nuova 500X, l’inedita crossover compatta della famiglia 500 con uno stile moderno, elegante e robusto. Costruita interamente in Italia, nello stabilimento SATA di Melfi (Potenza), la nuova 500X condivide la piattaforma Small Wide 4x4, il motore e la catena di montaggio con la “sorella” Jeep Renegade presentata nel mese di marzo al Motor Show di Ginevra. I due sport utility di piccola taglia fanno parte di un progetto importante su cui il nuovo Gruppo Fiat Chrysler Automobiles vuole puntare molto poiché fanno parte di un segmento di mercato che non conosce crisi e che sta crescendo in modo sorprendente anche in Europa. La domanda quindi sorge spontanea. Quali sono le maggiori differenze tra i due modelli? Meglio scegliere la Fiat 500X o la Jeep Renegade? Analizziamo gli aspetti principali per cercare di dare una risposta. Lo stile Made in Italy, sviluppato dal Centro Stile Fiat e pensato fin dall’inizio da Roberto Giolito, ha conferito alla 500X un aspetto robusto e grintoso che riprende le linee morbide caratteristiche della Cinquecento del 1957 come si nota dai fari arrotondati e dal logo con baffo cromato sul frontale. Due le versioni a disposizione: la prima, più elegante e lineare, è pensata per una clientela giovane e metropolitana, mentre la seconda si presenta più accattivante e sportiva, ideale per gli amanti del tempo libero e delle attività outdoor. Anche la nuova Jeep Renegade, che si ispira alle sorelle maggiori Cherokee e Wrangler per il muso caratteristico e la coppia di fari tondi, può vantare differenti versioni: Longitude, Limited e Trailhawk. Quest’ultima si differenzia dalle altre per la motorizzazione più prestazionale e per l’assetto pensato in maniera specifica per la guida in fuori-strada. Si mostra infatti con linee più spigolose e prepotenti della “rivale” 500X che conferiscono uno spirito più avventuroso e aggressivo.
Dimensioni compatte ma Jeep segna! - Per quanto riguarda le dimensioni, la 500X è più lunga di 4 centimetri rispetto alla Jeep raggiungendo i 4 metri e 27 centimetri. L’abitabilità per entrambe è discreta e i passeggieri dei sedili posteriori possono godere di uno spazio più che sufficiente per le gambe. Punto a favore per Renegade è senza ombra di dubbio il bagagliaio, molto ampio e con un doppio fondo pratico che porta il volume utile di carico a 525 litri (1438 con lo schienale dei sedili posteriori abbassati) contro i 350 litri della sport utility della Fiat.
Motori per tutti i gusti - La gamma di motori è davvero ampia per entrambe le vetture. Ambedue prevedono versioni a 2 e 4 ruote motrici con motori benzina e turbodiesel e cambi manuali e automatici. La Jeep Renegade offre un 1.6 aspirato (che sarà disponibile solo dai primi mesi del 2015), un 1.4 Multiair benzina 4x2 da 140 CV, un 1.6 Multijet sempre 4x2 da 120 CV con cambio manuale a 6 rapporti e un 2.0 Mjt 4x4 da 140 o 170 CV per la versione off-road Trailhawk, caratterizzata dal nuovo cambio automatico a nove rapporti. Per la Fiat 500X invece saranno disponibili, al momento del lancio, il 1.4 Turbo benzina MultiAir II da 140 CV (trazione anteriore con cambio manuale a 6 rapporti), il 1.6 Multijet II da 120 CV e il 2.0 MultiJet II da 140 CV con trazione integrale e cambio automatico a nove rapporti. Successivamente la gamma si completerà con i propulsori benzina 1.6 "E-torQ" da 110 CV (cambio manuale a cinque rapporti e trazione anteriore), 1.4 Turbo MultiAir II da 170 CV (cambio automatico a nove rapporti e trazione integrale) e persino con il Tigershark 2.4 da 184 CV (cambio automatico a nove rapporti e trazione integrale).
Motorizzazioni: 1-1. Palla al centro! - Il crossover di Fiat offre quindi maggiore scelta per quanto riguarda i propulsori, proponendo migliori combinazioni tra potenza e trazione. Per esempio Fiat offre la variante del 1.4 MultiAir II con 170 CV abbinabile al cambio automatico a nove rapporti con trazione integrale mentre la Jeep la propone solamente con la trazione anteriore con 140 CV. A questo aspetto si aggiunge inoltre l’importante novità riguardante il cambio. Infatti la 500X, con la motorizzazione 1.4 turbo MultiAir II da 140 CV, potrà essere equipaggiata con un raffinato cambio automatico a 6 rapporti con doppia frizione che promette di eseguire cambiate rapide e precise, al momento non disponibile su Renegade.
Come vanno? - Nella nostra prova su strada asfaltata la Renegade ci ha sorpreso e in off-road ha confermato quanto ci si aspettava da una vettura con il marchio Jeep sul cofano. In versione Limited 140 CV, quando la situazione diventa troppo impegnativa, è sufficiente impostare, attraverso il comodo pomello sul tunnel centrale, l'Active Drive Low sulla tipologia di terreno più adatta: Auto, Snow, Sand e Mud. Nella versione Trainhawk, il selettore elettronico si fa ancora più completo, aggiungendo la funzione “Rock”, rendendo la Jeep Renegade davvero inarrestabile davanti a qualsiasi tipologia di ostacolo. Anche la 500X non è da meno, almeno su carta (non l’abbiamo ancora provata!). L’innovativo SUV di Fiat offre il selettore di guida “Drive Mood Selector” che agisce elettronicamente su motore, freni, sterzo e cambio, consentendo tre diversi comportamenti della vettura: Auto (per ottimizzare comfort e consumi), Sport (per le massime prestazioni) e All weather (massima sicurezza anche in condizioni di difficile aderenza). Nella versione più grintosa, quest’ultima funzione è sostituita da “Traction” che, nella versione a 4 ruote motrice, “sposta” la coppia leggermente verso il posteriore mentre su quella a trazione anteriore, mette in azione il sistema di controllo “Traction Plus” che incrementa la motricità del veicolo su terreni difficili e a scarsa aderenza.
Ad ognuno la sua - Jeep quindi risulta essere pensata maggiormente per chi ha necessità di guidare fuoristrada come evidenziano i numerosi controlli elettronici del selettore di guida. Non mancano nemmeno la funzione “Rock” e il sistema di controllo della velocità in discesa, così come una serie di modalità specifiche per diverse tipologie di terreno a scarsa aderenza (sabbia, fango, neve, ecc.). La 500X invece si conferma un SUV compatto a vocazione prevalentemente cittadina, offrendo una varietà di modalità di guida meno articolata e tutto sommato più classica, per chi ha bisogno di guidare in condizioni limite solo occasionalmente. Non si conoscono i prezzi della nuova Fiat 500X ma, a differenza di quelli relativi alla Jeep che partono dai 20.000 € della 1.6 benzina fino a toccare i 32.800€ della versione Trailhawk con 170 CV e cambio a nove rapporti, ci si aspetta una cifra d’attacco più accattivante. Fonti interne alla Fiat ci hanno svelato che si parla di un prezzo di partenza inferiore di circa 2.000 euro rispetto al modello a marchio Jeep.
(Fonte: www.automoto.it - 10/10/2014)

martedì 28 ottobre 2014

Fiat 500 cinque porte, la nuova Punto


Che l’erede della Fiat Punto, quella attesa per il 2016 sul mercato EMEA, possa avere lo stile di una 500 a cinque porte è ormai il segreto meno segreto della storia dell’automobile, svelato da numerose indiscrezioni e voci dagli "insider". A dare un’ulteriore conferma alla possibile nascita della Fiat 500 5 porte (o come si chiamerà) viene ora dallo stesso Roberto Giolito, capo del design Fiat, che intervistato dagli australiani di CarAdvice, parla di una futura gamma 500 con il potenziale per includere anche la cinque porte, sostituta dell’ormai datata Punto. Dal punto di vista del designer marchigiano la sfida è proprio quella di creare una hatchback che possa dire qualcosa di nuovo nel segmento B, fascia di mercato in cui la Punto "ha sempre occupato una posizione speciale e dove continua a vendere bene". Il responsabile del design Fiat pensa che l’idea di una 500 cinque porte possa funzionare, anche se ci sono ancora alcuni ostacoli da superare al riguardo; in fondo, dice Giolito, "la decisione non dipende da me". Uno dei problemi riguarda le dimensioni ridotte dell’attuale Fiat 500 a tre porte che a differenza della MINI non può essere utilizzata così com’è per la versione a cinque porte e almeno fino al 2018 non si parla di una nuova carrozzeria per l’erede del leggendario "cinquino". L’idea di Giolito per l’attuale 500 è infatti quella di "apportare solo piccole modifiche, aggiustamenti tecnologici che la rendano un evergreen, un prodotto iconico e sempre attuale come Vespa o le fotocamere Leica". Servirà quindi una nuova carrozzeria e un nuovo pianale per la 500 cinque porte, proprio come è stato fatto con le attuali derivazioni di famiglia 500L e 500X.
(Fonte: www.omniauto.it - 9/10/2014)

lunedì 27 ottobre 2014

Jeep: obiettivo un milione di veicoli nel 2014


Riuscirà Sergio Marchionne a vendere un milione di Jeep entro dicembre? La risposta non è indifferente: infatti, cifre alla mano, l'ambizioso obiettivo che il manager col maglioncino lanciò a sorpresa a gennaio dal salone di Detroit sembra essere a portata di mano. Nelle scorse ore il responsabile del marketing Jeep, Jim Morrison, ha diffuso gli ultimi dati di vendita del marchio americano e i risultati parlano da soli: da gennaio a settembre Jeep ha venduto 747.004 vetture in tutto il mondo. Questo vuol dire che già a fine settembre il marchio più importante di Chrysler ha venduto più auto che in tutto il 2013, quando il dato finale sfiorò quota 732.000. Appare assai probabile, dunque, che nei tre mesi finali dell'anno - anche grazie all'arrivo della neonata Renegade assemblata in Italia, a Melfi - Jeep riesca a piazzare almeno altri 250 mila pezzi superando a fine anno un traguardo che a gennaio sembrava molto lontano. Morrison ha diffuso anche i dati delle vendite di ogni modello. Eccoli: Grand Cherokee 208.309 pezzi (+13% sui primi nove mesi del 2013) ; Wrangler 179.133 (+11%) ; Cherokee 167.211 (le vendite sonon iniziate a ottobre del 2013) ; Compass 101.077 (+8%) ; Patriot 91,274 (+15%). Il mercato più importante per Jeep resta quello degli Stati Uniti dove le auto con le sette feritorie vanno via come panini e hanno fatto registrare un notevole +45% sul 2013. Ma il marchio americano registra ottime performaces anche in Cina, Canada, Giappone, Messico, Sud Africa e Australia dove la Grand Cherokee è entrata nella classifica dei primi 10 modelli più venduti. A settembre c'è stata una novità significativa anche in Europa dove quest'anno si torneranno a vendere 30-35 mila Jeep (Renegade esclusa): per la prima volta il marchio statunitense ha venduto più di mille vetture in un solo mese in Germania. Ma al di là del caso Jeep, la "scommessa" lanciata a gennaio da Sergio Marchionne ha assunto un valore simbolico tutt'altro che irrilevante. Il manager italo-canadese è abituato a convivere con lo scetticismo. E a sconfiggerlo. Quando nel 2004 arrivò in Fiat e quando nel 2009 rilevò la Chrysler nessuno credeva che potesse salvarle. Anche a gennaio molti osservatori scossero la testa anche perché per tutto il 2013 le fabbriche Chrysler avevano marciato a pieno vapore e nessuno credeva che avrebbero potuto sfornare ancora altre vetture. E invece... I numeri di Jeep, dunque, possono avere riflessi positivi sul grdo di credibilità del manager italo-canadese che a novenbre intende guidare un road show per i principali investitori americani cui intende vendere consistenti pacchetti di azioni di Fiat-Chrysler. A loro racconterà di altre sfide. Dirà certamente che Jeep è una gallina dalle uova d'oro che con le nuove fabbriche in costruzione in Cina e Brasile si avvierà a raddoppiare (quasi) la produzione e il fatturato entro il 2018. Un altro piano ambizioso. Che forse, questa volta, dovrà fare i conti con una dose di scetticismo un po' minore.
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 12/10/2014)

domenica 26 ottobre 2014

FCA: le quattro sfide per Marchionne dopo la quotazione a Wall Street


Quando Sergio Marchionne e John Elkann hanno suonato la campanella per chiudere il primo giorno di contrattazione del titolo Fiat Chrysler Automobiles alla Borsa di New York si è chiuso un ciclo e se n’è aperto un altro. Poco importa la bandiera dell’azienda che è, finalmente, una vera multinazionale dell’auto. Poco importano le questioni di diritto e fiscali. Le due società automobilistiche sono, anche ufficialmente, una cosa sola: l’azienda deve riferirsi al diritto olandese e pagherà le imposte in Gran Bretagna. E il progetto economico e finanziario dell’amministratore delegato, iniziato nel 2009, è andato in porto con successo. Marchionne ha fatto quello che voleva fare ed è riuscito a mettere sui blocchi di partenza, quasi alla pari degli altri concorrenti, un’azienda che poco più di una decina di anni fa era tecnicamente fallita. E lo ha fatto spendendo “due cocomeri e un peperone”, ovvero una piccolissima parte di quanto investono gli altri grandi dell’industria automobilistica mondiale in ricerca, sviluppo, attività commerciali, acquisizioni, ecc. Ma se, fino ad adesso, non è stato facile, ora comincia davvero la parte più difficile. Adesso Fiat-Chrysler naviga in un grande oceano dove gli squali non fanno sconti a chi cade in mare e dove le capacità del capitano non bastano a far andare dritta la nave. Marchionne lo sa e la prima cosa che farà sarà cercare di piazzare un 87 milioni di azioni a investitori istituzionali americani per dare al proprio azionariato una struttura più stabile e internazionale. Ma immaginiamo che anche lui sappia che non è sufficiente. Se il valore della nuova Fiat-Chrysler resterà attorno ai 10 miliardi di euro, ovvero poco più di un quinto delle neo colleghe alla Borsa di New York General Motor e Ford, l’azienda sarà una preda, non un cacciatore. E sarà solo una questione di prezzo. Se invece gli Agnelli e Marchionne vogliono davvero giocare un ruolo nel settore devono fare, assolutamente e nel più breve tempo possibile, quattro cose, tutte difficilissime. La più semplice è trasformare due aziende che ancora oggi hanno poco o niente in comune in un’unica industria automobilistica. Dal punto di vista industriale, il processo è già cominciato con l’uso di pianali comuni, gli acquisti coordinati e il trasferimento di personale. E anche dal punto di vista commerciale si è visto qualcosa con lo sbarco delle 500 oltreoceano e la promessa di un prossimo arrivo della Alfa Romeo. Ma è stato un percorso a senso unico, dall’Italia agli Stati Uniti. Si può fare di più e meglio. Un solo esempio: ha senso che i modelli Chrysler che avevano una nicchia non piccolissima, siano in quasi tutta Europa targati Lancia e lasciati in un angolo? Il secondo obiettivo di Marchionne deve essere quello di investire in nuovi prodotti. Mercedes, Bmw e Volkswagen ne sfornano quasi uno al mese per riuscire a infilarsi in ogni nicchia di mercato e offrire ai clienti automobili sempre all’avanguardia. Questo significa investire una marea di soldi, ma se non si resta al passo si cade. Il terzo obiettivo è aprire nuovi mercati. FCA vende in pochi paesi d’Europa, nel Nord America e in Brasile. Altrove, dove c’è, ha percentuali da prefisso telefonico. E non parlo solo della Cina, dove la situazione è complicata da una serie di joint venture fallimentari: ci sono decine di mercati importanti come alcuni paesi africani, la Russia, l’India, l’Indonesia, la Tailandia da esplorare e conquistare con i prodotti giusti. Magari quelli di Chrysler visto che quelli di Fiat non hanno funzionato. Gli altri costruttori ci sono già e questo renderà l’impresa non facile. Il quarto obiettivo è quello di trovare un partner che sia in grado di aprire le porte dell’Oriente a Fiat Chrysler Automobiles che da quelle parti fa una fatica immane. Ma non basterebbe una semplice partnership commerciale o industriale come quella messa in campo adesso con Madza. Per diventare una delle protagoniste del mercato automobilistico mondiale Marchionne deve riuscire a fondere Fca con un’azienda come Suzuki. Un’operazione del genere creerebbe sinergie di una portata inimmaginabile e un inattaccabile gigante mondiale. Che un progetto del genere sia nel cassetto di Marchionne ne siamo certi. Abbiamo molti dubbi sul fatto che sia realizzabile.
(Fonte: www.ilsussidiario.net - 14/10/2014)

sabato 25 ottobre 2014

Magneti Marelli: inaugurato un nuovo impianto in Michigan


Magneti Marelli, società di componentistica auto del gruppo Fiat, ha inaugurato ufficialmente lo stabilimento di produzione dei sistemi di scarico di Independence Township, cittadina nell'area di Auburn Hills, in Michigan. "L'inaugurazione dello stabilimento di Independence Township rappresenta un traguardo importante per Magneti Marelli", ha affermato in una nota Stephane Vedie, presidente e Ceo di Magneti Marelli Holding U.S.A. . "Questo nuovo stabilimento dedicato ai sistemi di scarico completa la presenza di tutte le aree di business sul territorio nordamericano, rafforzando l'impatto sull'assistenza clienti negli U.S.A. e a livello globale". "Per tutte le sue aree di business, Magneti Marelli ha una presenza che soddisfa le esigenze dei clienti chiave e abilita un posizionamento strategico sul mercato automotive internazionale", ha sottolineato Eugenio Razelli, Ceo di Magneti Marelli. "L'area di business dedicata ai sistemi di scarico, già fortemente radicata in Europa, Sud America e da alcuni anni in Cina e in India, oggi aggiunge un'importante presenza anche negli U.S.A.". Il nuovo stabilimento rafforza la presenza di Magneti Marelli in Nord America, aggiungendosi alle aree di business già presenti: Illuminazione, Controllo Motore, Sistemi Elettronici, Sistemi Sospensioni e Ammortizzatori, Aftermarket Parts and Services e Motorsport. Lo stabilimento di oltre 9 mila metri quadrati, situato alla periferia di Detroit, è la prima unità produttiva di Magneti Marelli nello Stato del Michigan, dove si trova già l'headquarter di Magneti Marelli U.S.A. . Lo stabilimento, che impiega 75 addetti e produce la parte "calda" dei collettori di scarico integrata con convertitori catalitici, punta a raggiungere una capacita' produttiva di circa 300.000 pezzi all'anno. Il processo di produzione avviene interamente in loco e comprende produzione ed assemblaggio del collettore di scarico e del convertitore catalitico attraverso sistemi di saldatura automatici e robotizzati. Il primo progetto di rilievo è legato alle piattaforme Fiat-Chrysler. L'area ospita anche la sede della divisione Magneti Marelli After Market Nord America che gestisce l'attività legata al commercio di ricambi 'all makes' "Magneti Marelli Offered by Mopar". Da un lato il programma permette ai concessionari del Gruppo Chrysler di fornire assistenza post-vendita a tutti i marchi e modelli di auto, dall'altro offre i propri prodotti a officine indipendenti. Al momento la Divisione Aftermarket conta 18 addetti.
(Fonte: www.corriere.it - 29/9/2014)

venerdì 24 ottobre 2014

Wester, il tedesco più "italiano" di tutti


Harald Wester, 56 anni, da Linz, è senza dubbio l'ingegnere-manager tedesco più italiano di tutti. Lo si capisce subito, da come affronta la discussione: «Da millenni - ci spiega poco dopo aver brindato ai 100 anni di Maserati con il presidente di Fiat-Chrysler, John Elkann, l'a.d. Sergio Marchionne e i 750 ospiti intervenuti al gala nella Reggia di Venaria - l'Italia fa cose straordinarie e c'è chi, qualche volta, è tentato ora di pensare che solo nel passato siamo stati capaci di realizzare tutte quelle meraviglie. Io credo, sono convinto che ci riusciremo ancora, che recupereremo». A Wester, Marchionne ha affidato la sfida più difficile nel quale il gruppo è impegnato: il rilancio, da qui al 2018, di «un'Alfa Romeo tutta da rifare», insieme a quello, in questo caso già ben avviato, della «giovane» centenaria Maserati. Lo stesso marchio che, una decina di anni fa, era a un passo dal diventare tedesco e finire nel carniere di Audi, cioè nel gruppo Volkswagen. E Wester, che ha iniziato la sua carriera proprio all'interno del colosso vicino a casa, prima in Volkswagen, come capo della divisione ricerche e prototipi, e quindi in Audi, non si fa problemi ad affermare che «se Maserati fosse diventata tedesca, sarebbe stato un male». Anche se, ammette, «Audi non ha distrutto Lamborghini, ma ha solo cambiato certe cose». «Il marchio modenese - chiarisce Wester, riferendosi sempre all'esempio tedesco - non è adatto alle strategie di convergenza delle grandi aziende, ma necessita di una cura particolare e di attenzioni continue». Una strategia che ha portato alla rinascita della casa automobilistica del Tridente che, in questo momento, produce i suoi modelli lungo l'asse Modena-Grugliasco, in attesa che le rinnovate linee di montaggio di Torino-Mirafiori inizino a sfornare, dal 2015, il Suv Levante. Si può dire che Wester, al di là dei suoi trascorsi in casa Volkswagen-Audi - prima di approdare alla Ferrari, dove ha guidato lo sviluppo prodotto, quindi all'austriaca Magna e poi in Fiat - fin da giovane ha avuto un debole per le auto italiane. Racconta, infatti, che «con mio papà, grande appassionato di corse, spesso si andava al Nürburgring e quando vedevo una Gtv passare una Bmw ero contento». Braccio destro tecnico di Marchionne, l'ingegnere di Linz è impegnato su due fronti: portare a 75mila unità annue, dalle 15.400 del 2013, la produzione del Tridente e continuare a fungere da macchina da soldi per il gruppo, visto che nel 2013 i margini sono stati del 10,3% sopra i livelli dei brand tedeschi; ricostruire praticamente da un foglio bianco l'Alfa Romeo, marchio dalle enormi potenzialità e da troppi anni in incredibile sofferenza. Chiaro, a tale proposito, l'obiettivo di Wester: togliersi più soddisfazioni possibili a scapito delle tedesche Audi, Bmw e Mercedes. Come ai tempi del Nürburgring. Il nome di Wester, intanto, visti i trascorsi a Maranello, è stato indicato, da alcuni, come possibile successore di Amedeo Felisa nel ruolo di ad della Ferrari presieduta da Marchionne. Sul tema, l'interessato, ovviamente non risponde. Ambienti bene informati sostengono, comunque, che un incarico di responsabilità anche a Maranello sarebbe un po' eccessivo, visto soprattutto il super lavoro al quale Wester, con il suo team, è sottoposto per «rifare l'Alfa Romeo» ed essere puntuale, il 24 giugno 2015 (come anticipato da Marchionne), con la presentazione del primo modello della svolta: la nuova Giulia.
(Fonte: www.ilgiornale.it - 28/9/2014)

giovedì 23 ottobre 2014

Lancia Ypsilon: il segreto del successo


La Lancia Ypsilon vende. Non è una battuta ma una notizia: il marchio non ha futuro, non essendo stato nemmeno citato nel piano industriale di Fiat Chrysler Automobiles del 6 maggio scorso. Anche se formalmente non risulta cancellato come è stato per Chevrolet in Europa, di fatto scomparsa insieme alla rete dopo l’annuncio (senza attendere il 2016). Nei primi 8 mesi dell’anno, in Europa la piccola Lancia ha venduto in Europa 41.661 unità, addirittura in crescita rispetto alle 37.757 del 2013 (dati Jato Dynamics). E’ vero che la Casa come i concessionari la spingono con investimenti ad hoc, ma il mistero rimane. Comprereste un’auto di un marchio destinato a scomparire presto dall’orizzonte? Sì, dicono i consumatori. La Ypsilon compirà 30 anni nel 2015 (pronta una versione commemorativa), è stata un fenomeno di moda dopo un avvio incerto, spinto da testimonial d’eccezione e trasformata negli anni sempre più in un prodotto glamour e personalizzabile. Senza contare le versioni speciali che in genere servono solo ad abbassare il prezzo di un prodotto in difficoltà, ma non per Ypsilon: la nuova ELLE, appena presentata a Milano, è ancora moda declinata naturalmente al femminile, target di riferimento. Guardo e riguardo i dati, vedo come sprofondano gli altri modelli Lancia: dalle meno di 3.000 Delta vendute sempre nei primi 8 mesi, alle 123 Flavia, alle 301 Thema (1.856 nel 2013!), alle 2.551 Voyager in lieve progresso sull’anno scorso. Suonano incredibili le 41.661 Ypsilon: le Mini, per dire, sono state soltanto 10.000 in più, e Mini è declinata in più versioni. Faccio un paio di telefonate a Milano e poi inforco la mia Vespa per un giro in incognito per qualche concessionaria a Roma. Mi spiegano che per avere una Ypsilon ci vogliono più o meno 1.000 euro in più di una Panda (intorno agli 11.000 euro in promozione), finché trovo un venditore che mi rivela finalmente il segreto: “La gente non compra granché. Ma se compra, cerca un’auto diversa, che si distingua dalle altre. Guardi al fenomeno suv e crossover. Nel segmento B, la Ypsilon mantiene una sua esclusività che fa la differenza”. Già. Un messaggio che vale omnia.
(Fonte: www.carblogger.it - 16/10/2014)

mercoledì 22 ottobre 2014

Fiat, orgoglio operaio: dipendenti volontari in tour per raccontare la loro fabbrica


Dipendenti Fiat che lavorano per Fiat come volontari. Nel loro tempo libero. Senza percepire un euro come paga extra o straordinario. Questa, davvero, non si era mai sentita fra gli 82.000 lavoratori italiani del Lingotto (Fiat e Cnh). Eppure è quel che accade da qualche giorno nello stabilimento di Melfi, in Basilicata, dove è partita la produzione della prima auto italo-americana, la Jeep Renegade. A Melfi circa 250 dipendenti Fiat - essendo volontari nessuno ne conosce il numero preciso - nel weekend o fuori turno mandano avanti un progetto anch'esso unico nel suo genere che si chiama "La nostra fabbrica". In sintesi: gli operai volontari girano per le piazze di città e villaggi lucani spiegando ai loro compaesani come lavorano e cosa producono. Lo fanno accompagnati da un container montato su un Tir dentro il quale una dozzina di televisori fanno vedere l'interno della grande fabbrica, come lavorano i suoi 5.941 operai e cosa producono. Il tutto è poi condito dalla presenza in piazza della Jeep Renegade, la nuova vettura globale (sarà venduta in tutto il mondo ad eccezione di Brasile e Cina dove sarà assemblata da due fabbriche gemelle di Melfi) sfornata dalla nuova linea di montaggio di Melfi che affianca quella della Punto (destinata solo all'Europa). Sociologi e spin doctor collocherebbero iniziative del genere nella fascia delle comunicazioni a "bassa frequenza", usate dai piccoli partiti o da aziende giovani che non possono accedere alle leve "forti" di tv e giornali. Il "porta a porta" dei volontari ricorda scenari da "guerriglia asimmetrica", in stile vietcong, spesso adottati dalla contro- informazione dei gruppi politici anti-sistema. Cosa ha a che fare la Fiat con tutto questo? Al sesto anno della Grande Crisi, moltissimo. Infatti, i volontari de "La nostra fabbrica" incarnano e danno credibilità ad un evento che sta capitando sotto i nostri occhi ma al quale in Italia non crede nessuno: la reindustrializzazione. E' difficile parlarne mentre buona parte degli operai di Melfi sono ancora in cassaintegrazione. Nonostante investimenti per un miliardo (il più grande nel Sud da anni), l'arrivo di 600 robot, la rivoluzione sulle linee di montaggio dove - come vedremo - gli operai lavorano con il computer e senza fatica, l'adozione di un sistema produttivo - il WCM - che colloca Melfi al livello delle migliori fabbriche tedesche e un prodotto competitivo come la Jeep Renegade (e presto di un altro modello, la 500X) che fa entrare la Basilicata nel girone della serie A della globalizzazione, in Lucania lo scetticismo sulle prospettive della grande fabbrica si taglia con il coltello. E allora la presenza fisica nelle piazze lucane delle tute grigie tutte uguali, come se fossero missionari, e l'umiltà, semplice e diretta, del messaggio dei volontari Fiat rende più veritiero il rilancio del sogno dell'industria. La fabbrica lucana oggi è uno dei pochi strumenti di coagulo sociale e di creazione di ricchezza diffusa - Melfi ha prodotto quasi 6 milioni di vetture in 21 anni - ma è piegato dalla violenta cura dimagrante subita dal mercato dell'auto europeo. La lunga crisi e la stagione dello scontro con parte del sindacato hanno portato gran parte dell'opinione pubblica lucana a ignorare e guardare con sospetto la grande fabbrica di Melfi. In tanti considerano il lavoro alla linea di montaggio alla stregua di nuove forme di schiavismo e non credono più nella capacità delle aziende italiane di essere competitive. Nel caso della Fiat di Melfi, però, c'è qualcosa di più del ritorno della grande fabbrica sulla scena dell'economia italiana. Il "caso" dei volontari torna a sottolineare le peculiarità di questo stabilimento che, fin dalla sua costruzione dal prato verde nel 1994, non è mai stata una fabbrica qualsiasi. E infatti a parlare con i dipendenti, si scopre in fretta che in Basilicata Fiat sta scrivendo un capitolo nuovo del suo rapporto con gli operai: il passaggio dalla fabbrica-caserma alla fabbrica-partecipata. Un tassello importantissimo di un progetto ancora più grande che Sergio Marchionne sta realizzando: la trasformazione di Fiat (e di Chrysler) da un'azienda tradizionale a gestione vertical-militare, in una società-rete, snella, orizzontale, dove tra l'operaio e l'amministratore delegato ci sono appena 5 o 6 livelli di comando e non più la ventina di qualche anno fa. Questo significa che la figura e il lavoro del dipendente Fiat stanno subendo una trasformazione violenta. Non a caso, Melfi è la prima fabbrica italiana di Fiat le cui linee di produzione sono state "disegnate" ascoltando l'opinione di gruppi di operai inviati a Torino per collaborare con gli ingegneri per progettare il modo più facile e veloce di assemblare una vettura. A Melfi, su scala maggiore rispetto a Pomigliano, è stato costruito un apposito capannone chiamato "pilotino" (in inglese Work Place Integration) dove per mesi e mesi alcune centinaia di operai hanno studiato ogni stazione di montaggio e ogni movimento degli addetti. Un lavoro "win-win" per azienda e operai che ha consentito di accelerare i tempi sulla linea eliminando al tempo stesso tutte le mansioni più faticose. Il risultato? Gli operai oggi lavorano con il computer, quasi come se fossero impiegati. In ogni stazione di montaggio c'è un touch screen dove gli addetti "firmano" le proprie operazioni e scrivono le proposte di miglioramento. Ancora: ogni stazione è affidata ad una squadra di sette operai che ruotano nelle mansioni e sono coordinati da un capo-squadra (il team leader) che non lavora con le mani ma pensa solo all'organizzazione del lavoro affinché tutto fili liscio. Ancora: non c'è più l'odiosa separazione degli operai dagli impiegati che oggi lavorano lungo le linee di montaggio da cui sono divisi solo da un grande cristallo "anti-imboscamento". In questa cornice nasce "La nostra fabbrica". E in questa cornice si possono sentire discorsi di questo genere. "Abbiamo scelto l'aggettivo "nostra" per spiegare la rinascita della fabbrica di Melfi perché non ci rivolgiamo solo ai lavoratori della Fiat - spiega uno dei volontari - Parliamo anche al territorio, ai lucani, ai quali vorremmo far arrivare un messaggio chiaro: non è vero che la fabbrica è un lager e non è vero che lavorare dietro una scrivania o fare il cameriere o il muratore è meglio che fare l'operaio in un grande stabilimento. La realtà della fabbrica è complessa, chiede sacrifici come in tante attività, ma è più viva e interessante di tantissimi altri lavori spesso banali, noiosi e alla fine meno gratificanti. E poi la fabbrica produce ricchezza, richiede grande capacità, porta il talento espresso da un territorio ovunque nel mondo. Della Basilicata e dei suoi prodotti oggi si parla in tutto il mondo dell'automobile". A spiegare caratteri e portata di una iniziativa atipica come "La nostra fabbrica" e i suoi 250 volontari ci saranno anche dosi di carrierismo, di servilismo e forse qualche acrobazia sindacale. Tuttavia, sarebbe fuorviante considerarla una banale mossa di marketing aziendale. Attorno alla rinascita di Melfi è stato fatto un grandissimo lavoro per rinnovare e radicare una forte cultura industriale fra i dipendenti, un lavoro che in Fiat chiamano di "team building". Qualcuno ricorderà il video dello scorso marzo con gli operai che ballavano in fabbrica sulle note della canzone Happy. Era un episodio della costruzione di una squadra di governo della fabbrica, indispensabile per gestire l'assemblaggio di un prodotto molto sofisticato (andrà in 100 mercati) come la Renegade. Inoltre a Melfi si è cercato anche di "aprire" la fabbrica ad un rapporto diretto con la popolazione lucana e la sua classe dirigente. La fabbrica, ad esempio, acquista acqua minerale lucana e non più "nordica" per la propria mensa ed è stata visitata dai dirigenti di alcuni ordini professionali regionali. E non a caso il 21 settembre nel prato di Melfi si è tenuto un concerto per festeggiare il compleanno dello stabilimento che ha compiuto vent'anni. Oltre 30 mila personehanno attraversato i cancelli per ascoltare Giorgia e visitare le linee di montaggio aperte a tutti. Perché Melfi non è solo una fabbrica. E' anche un simbolo o un'esperienza che appartiene un po' a tutti. Come un'idea di fiducia che torna a camminare nei paesi del Sud sulle gambe di lavoratori in carne ed ossa.
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 29/9/2014)

martedì 21 ottobre 2014

Mirafiori rinasce su 250 mila metri quadri: sarà di nuovo la fabbrica più grande d'Italia


Filtra un raggio di luce su uno dei "segreti" meglio custoditi da Fiat Chrysler: il destino dello stabilimento di Mirafiori. Nei giorni scorsi una delegazione di sindacalisti delle organizzazioni firmatarie del contratto Fiat (Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Quadri) ha visitato lo storico stabilimento torinese per verificare lo stato di avanzamento della ristrutturazione di cui finora si sapeva pochissimo. "I lavori colpiscono per la loro portata. Si sta operando su una superficie molto ampia di circa 250 mila metri quadri pari a 40 campi di calcio", ha sottolineato Claudio Chiarle segretario della Fim torinese. I sindacalisti riferiscono di lavori "enormi", di cantieri lunghi chilometri, visitati a piedi ma anche con un pulmino in un tour che è durato ore, dell'uso di elicotteri per la riedificazione di capannoni alti quasi 40 metri, della rinascita di ambienti spaziosi e luminosi molto diversi dalla vecchia fabbrica inaugurata nel 1939 dal senatore Giovanni Agnelli. Probabilmente Mirafiori entro l'anno prossimo, quando dovrebbe partire la produzione, tornerà ad essere la fabbrica più grande d'Italia dopo l'Ilva di Taranto. Secondo i sindacati firmatari la portata dei lavori fa presagire che a Mirafiori non sarà costruito solo il grande Suv Maserati, il Levante, già previsto per la fine 2015 ma probabilmente uno o due modelli Alfa Romeo pianificati per il 2016. Si tratta tuttavia di supposizioni perché Fiat Chrysler non ha fornito alcuna indicazione ufficiale, né sui prodotti, né sui tempi di apertura delle linee di montaggio. E' noto tuttavia che il Suv Levante, che sarà costruito sul pianale della Quattroporte e non della Jeep Grand Cherokee come originariamente previsto, dovrebbe arrivare nei concessionari fra la fine del prossimo anno e l'inizio del 2016 e dunque i primi esemplari di preserie sono attesi per la prossima estate. I sindacati hanno anche reso noto che sono iniziati i corsi di formazione per gli operai team leader, i capisquadra che nell'organizzazione del lavoro Fiat coordinano - senza lavorare con le mani - l'attività di sei colleghi. Se la ristrutturazione di Mirafiori seguirà tempi e metodi di quella adottata a Melfi (dove sta partendo la produzione della Jeep Renegade), nelle prossime settimane gruppi di lavoratori e di ingegneri lavoreranno assieme in un capannone chiamato "pilotino" (Work place integration in termini tecnici) per progettare le singole stazioni di montaggio e gli attrezzi da lavoro con l'obiettivo di rendere il lavoro meno faticoso e, contemporaneamente, aumentare la produttività. Anche la nuova Mirafiori, come tutti gli altri stabilimenti mondiali di Fiat Chrysler Automobiles, adotta un unico sistema produttivo che si chiama World Class Manufacturing (WCM), un sistema che ricalca sistemi di impronta nipponica e che sta dando buoni risultati nelle fabbriche, sia italiane che americane, dove è stato applicato integralmente. Solo una parte dei 5.000 dipendenti di Mirafiori attende il Levante per tornare al lavoro. Un migliaio operano - sia pure a singhiozzo - sulla linea della Mito Alfa Romeo. Circa 1.500 poi sono stati trasferiti nei mesi scorsi nel vicino stabilimento Maserati di Grugliasco che - da settembre - opera su 12 turni settimanali. In pratica a Grugliasco si lavora stabilmente anche di sabato su due turni che sfornano ogni giorno circa 150 Quattroporte e Ghibli che per il 95% vengono vendute all'estero. Il principale mercato della Quattroporte è la Cina mentre la Ghibli vende soprattutto negli Stati Uniti. Con il Levante e, forse, un analogo Suv Alfa, si completerebbe il "polo del lusso" produttivo torinese, uno dei pilastri del riposizionamento verso l'area premium della produzione italiana d'auto cui Sergio Marchionne sta lavorando da anni.
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 16/10/2014)

lunedì 20 ottobre 2014

FCA e l'Italia: un milione di auto nel 2019


A Milano appena sopra i 7 euro e a New York a 9,10 dollari: la prima settimana di vita del nuovo titolo FCA (Fiat Chrysler Automobiles), complici i dati positivi segnati in Europa dal gruppo e l'attesa per eventuali decisioni che il primo cda del nuovo corso prenderà il 29 ottobre prossimo, si è conclusa con le azioni in crescita. E mentre l'a.d. Sergio Marchionne, insieme al CFO Richard Palmer, ha già iniziato gli incontri con banche e investitori istituzionali allo scopo di convincerli sulla bontà del progetto cha ha portato alla fusione tra Fiat e Chrysler, c'è già chi si esercita a immaginare quale sarà l'impatto del nuovo gruppo sulla produzione di auto in Italia. Il nuovo corso di FCA si confronta, infatti, con dati di produzione ai minimi termini: 595mila unità lo scorso anno rispetto alle 609.145 del 2012 (16.020 tra Grugliasco e Modena, 19.650 a Mirafiori, 79.050 a Cassino, 115mila a Melfi, 154.830 a Pomigliano d'Arco, 203.950 ad Atessa grazie alla joint venture con PSA, 7mila alla Ferrari di Maranello che però fa storia a sé). Un'analisi di PwC Autofacts, alla luce dei piani di Marchionne di trasformare buona parte del sistema produttivo italiano in un hub preposto all'esportazione, vede gli stabilimenti del Paese tornare a sfornare, nel 2019, più di un milione di unità, il 76% in più rispetto ai volumi del 2013. «Si assisterà a una crescita progressiva - affermano gli analisti di PwC - che per FCA significherà già, per quest'anno, un +8,7% grazie soprattutto all'impianto di Melfi», dal quale già esce la nuova Jeep Renegade (circa 170mila unità la produzione a regime, ndr) e, da inizio 2015, la Fiat 500X. A Melfi, PwC affianca anche la fabbriche Maserati (Grugliasco soprattutto, dove nascono Ghibli e Quattroporte, e presto anche Mirafiori che sfornerà il Suv Levante). Insieme a Pomigliano e agli altri siti di FCA in Italia, la produzione si porterà così, secondo l'istituto di consulenza, a 630mila unità, oltre il dato del 2012. «Ma ci aspettiamo - la previsione - un aumento ancora più marcato nel 2015 (+37% sul 2014) quando, al pieno regime di Melfi, si dovrebbe aggiungere il rilancio del marchio Alfa Romeo con la produzione dei primi modelli della gamma rinnovata (la nuova Giulia, ndr) ». Le stime, ovviamente, tengono conto della difficile situazione in cui si trova il mercato italiano, «la cui crescita appare ritardata e meno robusta». Solo dal 2016, infatti, è prevista una leggera risalita delle immatricolazioni oltre quota 1,4 milioni di unità (1,34 milioni di immatricolazioni è il dato di chiusura previsto per l'anno in corso, con un +3,8% rispetto al 2013). Da PwC Autofacts, dunque, una serie di stime positive per il futuro di FCA in Italia che fanno il paio con le recenti dichiarazioni di Marchionne: «Quando ripartirà completamente la macchina industriale - aveva precisato a inizio mese dal Salone di Parigi - i lavoratori adesso in cassa integrazione rientreranno tutti. Gli investimenti li stiamo facendo». Intanto, nella «top ten» Jato dei veicoli più venduti nel mese, a settembre rispunta un'italiana: la Fiat 500, al decimo posto, e pronta a insidiare la nona posizione della Opel Astra. Era da marzo che un'italiana (sempre la 500) non compariva nella classifica guidata dall'inamovibile Volkswagen Golf.
(Fonte: www.ilgiornale.it - 19/10/2014)

domenica 19 ottobre 2014

Quando non c'era FCA: la Fiat dell'Avvocato


Fiat non c'è più. Al suo posto è nata FCA (Fiat Chrysler Automobiles), frutto della fusione fra il gruppo di Torino e quello di Detroit.
AGLI ALBORI DELLE QUATTRO RUOTE - La Fiat, Fabbrica Automobili Torino, era stata fondata esattamente 125 anni e tre mesi fa per iniziativa di alcuni nobili torinesi ai quali si unì Giovanni Agnelli, il capostipite di una famiglia che ha legato i propri destini a quelli dell'Italia per oltre un secolo. Davanti a questa svolta epocale di quella che per oltre cento anni è stata la più grande industria italiana non è solo per curiosità che è giusto chiedersi quale sarebbe stato il giudizio di Giovanni Agnelli, il nipote del fondatore, se avesse potuto assistere a questa evoluzione di quella che per decenni è stata la sua creatura.
AVVOCATO E INTERNAZIONALISTA - Anche i suoi maggiori detrattori all'Avvocato hanno sempre riconosciuto una vena internazionalista. Magari un po' dandy, forse più da salotto che da piano industriale, ma sicuramente attenta a ciò che avveniva al di là delle Alpi. Con un occhio rivolto particolarmente alla Francia e agli amatissimi Stati Uniti. Unire il marchio Fiat, al quale era particolarmente affezionato a quello di un'azienda storica come Chrysler lo avrebbe fatto sicuramente felice. Sicuramente di una cosa sarebbe stato enormemente soddisfatto: che alla guida del nuovo nuovo gruppo fortemente imparentato con gli americani ci fosse ancora la famiglia, la sua famiglia, la famiglia degli Agnelli.
TUTTO IL POTERE A GIANNI - Gianni Agnelli, fin da quando aveva smesso di bighellonare nel bel mondo per trasformarsi in un umile discepolo del mitico Vittorio Valletta, era stato guidato da una fidata stella polare: conservare e aumentare i possedimenti degli Agnelli. Ed è noto che spinse questa missione fino a fare degli Agnelli una sorta di famiglia regnante, con una corte, uno stile, un rituale e un culto: quello di fare diventare sempre più grande il potere che emanava da Torino. Spesso, come giustamente gli è stato rimproverato per anni, ampiamente a spese dello Stato, cioè del resto degli inconsapevoli italiani.
UN GUARDIANO CHIAMATO CUCCIA - Per raggiungere questo obiettivo l'Avvocato, dal giorno che prese le redini dell'azienda, pretese una garanzia, che il potere degli Agnelli, a partire da quello in famiglia, fosse concentrato tutto nelle sue mani. Tutt'al più poteva poteva concepire qualche figura collaterale che lo affiancasse nel conseguimento dei suoi traguardi. Come fu soprattutto Enrico Cuccia, potente cane da guardia per tutta la sua carriera degli interessi di Fiat, dalle ovattate, o per meglio dire blindate, stanze di Mediobanca.
PADRONI IN CASA PROPRIA - Quanto fosse attaccato a questo senso assoluto del possesso di tutto ciò che portava impresso, direttamente o indirettamente, il marchio Fiat, l'Avvocato lo dimostrò in tutta la sua evidenza quando, nel pieno di una delle crisi ricorrenti dell'azienda, respinse le insistenti avance della Ford: «Ognuno deve comandare in casa propria», disse con garbo, ma ferrea determinatezza ai giornalisti al termine di una assemblea del gruppo. E con queste poche parole mise la parola fine ad una trattativa che aveva tenuto con per settimane con il fiato sospeso lavoratori, sindacati, mondo politico.
IL MISTERO GHEDDAFI - Gianni Agnelli si muoveva come un re e provava un gusto particolare a liquidare con una battuta grandi questioni. Si comportò così anche quando si trattò di chiudere uno degli episodi più misteriosi della storia di Fiat. Era accaduto infatti che all'inizio degli anni settanta gli Agnelli, a corto di soldi, furono nella necessità, per non chiudere o vendere, di trovarsi un robusto finanziatore. Il cavaliere bianco, al quale affidare il 13 per cento di Fiat, arrivò a Torino, ma inaspettatamente aveva il volto di Gheddafi, il dittatore che in quello stesso periodo dagli Stati Uniti si era guadagnato il «wanted» di nemico pubblico numero uno degli americani. «La Lafico, la società che rappresenta Gheddafi, ci ha restituito le nostre azioni. A noi è andata bene e loro hanno fatto un buon affare», confidò ai giornalisti, ancora al termine di una assemblea. E così chiuse la partita libica. Quella volta non si trattò di una battuta e nemmeno di una informazione, perchè l'Avvocato si guardò bene di spiegare come mai un pacchetto decisivo per il controllo di Fiat fosse finito, senza correre alcun rischio, nelle mani di un signore che andava organizzando attentati in mezzo mondo.
UN COLPO DA 3500 MILIARDI DI LIRE - Ma il vero colpo da maestro l'Avvocato lo mise a segno con General Motors. Convinse infatti gli americani a firmare un contratto per un acquisto ritardato della Fiat. Quando venne il momento di onorare l'impegno il gruppo torinese era ormai talmente a pezzi che GM preferì pagare 3500 miliardi di lire pur di non accollarsi quel ferro da stiro italiano. Quei soldi servirono alla rinascita dell'azienda proprio quando sembrava sul punto di collassare. Il resto, quando l'Avvocato ormai non c'era più, per una piccola parte lo fece Sergio Marchionne. Poi ci fu l'avvento di quel miracolo chiamato Chrysler. Un miracolo figlio sia della crisi dell'auto americana, sia del gesto disperato di Obama di regalare, per salvarla, una delle fabbriche più prestigiose d'America ai torinesi (ma guidati da un italo-canadese).
FINISCE FIAT, COMINCIA FCA - Come è andata a finire lo sappiamo. La sede legale di Fiat se ne è andata in Olanda, quella fiscale a Londra, le azioni a Wall Street. E le fabbriche? Marchionne ha garantito che quelle che sono rimaste in Italia non prederanno il volo per lidi più profittevoli.
L'ULTIMA PROFEZIA DELL'AVVOCATO - Al manager italo canadese è giusto dare fiducia. Ma anche lui conosce la profezia dell'Avvocato sul destino dell' industria automobilistica mondiale: «Resteranno in vita solo sei marchi, non di più», vaticinò Gianni Agnelli. In circolazione ci sono ancora ancora 9-10 marchi. Per chi suonerà la prossima campana?
(Fonte: http://economia.diariodelweb.it - 10/10/2014)

sabato 18 ottobre 2014

Ferrari festeggia 60 anni in America


Party a Beverly Hills per Ferrari, che celebra sessant’anni da quando si affacciò sul mercato americano. I riflettori erano puntati sulla nuova decappottabile lanciata per l’occasione, battezzata non a caso F60 America, e sugli ospiti del Gala. Sul tappeto rosso in prima fila, Sergio Marchionne, numero uno di Fiat Chrysler e da domani nuovo presidente del Cavallino. La nuova vettura è la prima in 23 anni a “vedere la luce” senza il varo di Luca Cordero di Montezemolo, che a settembre ha ceduto le redini a Marchionne. Un avvicendamento che diventerà ufficiale domani, lo stesso lunedì 13 ottobre in cui Fiat Chrysler Automobiles (FCA) sbarcherà a Wall Street. E oggi i festeggiamenti proseguono, con la sfilata delle auto che hanno segnato quei sessant’anni di Ferrari: “Race Through The Decades 1954-2014” a Los Angeles sarà l’ultimo appuntamento ufficiale ancora sotto la presidenza di Montezemolo, prima che l'addio diventi effettivo. La parata delle più esclusive e rare Ferrari degli Stati Uniti (tra cui la prima portata in America) renderà protagoniste le 60 più spettacolari auto del marchio. Tra esse ci saranno anche alcune auto-icona rese famose da Hollywood: la Ferrari 308 GTS protagonista di “Magnum, P.I.”, la Testarossa di “Miami Vice”, la 275 GTB di Steve McQueen. Marchionne si è distinto, sotto gli scatti dei fotografi del gala di Beverly Hills, anche violando il codice “Black tie” della festa. Niente smoking e cravatta nera per lui, ma l’informale maglioncino diventato suo personale simbolo di stile. La trasgressione che non valeva per gli altri invitati. Massima eleganza per l’attrice Megan Fox, reduce dalla presentazione del nuovo film 'Teenage Mutant Ninja Turtles' a Berlino, e per il marito, il collega sui set Brian Austin Green. Sono arrivati a bordo di una delle vetture più esclusive di Ferrari, la F12. Lui alla guida in smoking, lei in abito rosso lungo. Ad accompagnare il lancio della nuova auto firmata Ferrari, il cui stile rimanda alla “North American Racing Team”, la scuderia creata nel 1958 dal pilota italoamericano Luigi Chinetti, anche un sottofondo di musica da camera e una esibizione di Mary J. Blige. Gli invitati hanno anche raccolto 900.000 dollari in un’asta di beneficenza a favore di Daybreak, ramo americano della organizzazione che per 25 anni si è occupata di rare malattie genetiche. Solo dieci i modelli prodotti della decappottabile con motore V12 e dal prezzo di 2,5 milioni di dollari, tutti venduti a collezionisti americani. Una scelta che riprende la tendenza degli anni Cinquanta e Sessanta, quando le vetture venivano prodotte in numero limitato e su richiesta. Lo storico marchio vuole restare esclusivo, con pochi esemplari a far stridere le ruote nel mondo. “Non c’è mercato più importante del Nord America per Ferrari”, ha commentato Marchionne alla serata, parlando con USA Today. Con una provocazione alla clientela di massa e una strizzata d’occhio ai pochi che possono permettersi l’acquisto delle auto di lusso: possedere una Ferrari “è quasi una dipendenza”.
(Fonte: http://america24.com - 12/10/2014)

venerdì 17 ottobre 2014

Rinvio a giugno per il Milano Auto Show


Il Salone dell’Auto di Milano non si farà a dicembre, ma il prossimo giugno. E a organizzarlo sarà sempre Alfredo Cazzola, titolare della Promotor che affiancherà anche GL Events nel Motor Show di Bologna. Dunque, il doppio appuntamento, per quest’anno, è scongiurato: la città emiliana avrà la sua kermesse invernale il prossimo dicembre, all’insegna dello sport (e il rientrante Memorial Bettega sarà il momento più importante), mentre la rassegna milanese godrà del traino dell’Expo, che si aprirà nel capoluogo il prossimo 1° maggio. In futuro, è prevedibile che le due manifestazioni, riunite a sorpresa sotto la stessa gestione, si svolgeranno ad anni alterni, ricominciando da Bologna nel 2016. Potrebbe così concludersi una “guerra” tra Saloni, che rischiava di vedere entrambi gli eventi sconfitti, a fronte della penuria di risorse messe in campo dalle Case auto: al Milano Auto Show, del resto, avevano finora dichiarato di aderire solo il Gruppo Fiat e l’Audi.
(Fonte: www.quattroruote.it - 9/10/2014)

giovedì 16 ottobre 2014

Fiat 500X (2): lo stile secondo Giolito


Un prodotto completamente nuovo col marchio Fiat non si vede tutti i giorni. Per questo, al Salone di Parigi, dove debutta la 500X, ilfattoquotidiano.it ha incontrato il responsabile del design del gruppo FCA per i mercati Emea (Europa, Medio Oriente, Africa), il 52enne Roberto Giolito, padre fra l’altro della prima Multipla e della concept Trepiùno, da cui ebbe origine la 500 del 2007. Raccontando il progetto della piccola “500 Suv”, che condivide la base meccanica con la Jeep Renegade, Giolito spiega che la “X” non nasce semplicemente adattando il vestito della 500 a forme più generose, ma da un lavoro di evoluzione che apre la strada alla prossima generazione della 500. E a proposito della spider Fiat, sviluppata insieme alla Mazda e attesa per il 2015, lascia intuire che avrà una versione sportiva targata Abarth.
Come avete disegnato una 500 sulla stessa base su cui è stata disegnata una Jeep?
Non si è trattato di adattare il vestito della 500 sulla piattaforma della Renegade, ma di costruirne uno nuovo nella sua essenza. Le piattaforme hanno enormi potenzialità e si fanno prima di tutto per essere modulari: oggi si possono fare auto molto diverse sulla stessa piattaforma. Non è più tempo delle sinergie “cambio le porte, o cambio il cofano, e ho un’altra vettura”. Oggi la questione è mostrare carattere e personalità: la Renegade è uscita prima, la 500X esce appena dopo, le sinergie fanno per condividere gli investimenti, non le forme.
Di quello che si vede, dentro e fuori, che cos’hanno in comune i progetti Renegade e 500X?
I comandi del clima, le coperture della parte bassa dell’abitacolo, come la parte bassa dei sedili, la moquette del pavimento... questo sì, perché sono tappeti ad accoppiarsi perfettamente con le lamiere dell’autotelaio. Ma tutto il resto è assolutamente dedicato a creare l’ambiente della 500, anche e soprattutto nell’abitacolo.
La Fiat 500 è un’icona: come si fa a declinare un’icona in tante forme e dimensioni – penso alla 500L, e ora alla 500X – senza “storpiarla”?
Storpiare significa “stiracchiare” le linee, mentre fra la 500 e la 500X c’è stato un “morphing armonico”, uno sviluppo che mostra un’evoluzione. Anzi, secondo me sulla 500X abbiamo sviluppato il concetto originario della 500 in maniera ancora più lungimirante: su quest’auto abbiamo trovato quello che ci serve per la prossima 500. È lì che vorremmo andare: verso una forma più visibile e più muscolosa, più dinamica. Abbiamo messo in questa vettura agilità ed energia, mantenendo però la semplicità, che non era facile. Mai mi sarei azzardato, per esempio, di mettere una griglia sul muso della 500X: sulla 500 non si può mettere in risalto una “dentatura”, come ce l’hanno molti Suv per fare vedere che si “mangiano” le altre macchine. O la semplicità della fiancata: se facessimo un giro del Salone vedremmo che nessuno rinuncia alla “linea di carattere”, cioè al segno che scalfisce la fiancata, e che è stra-abusato nel mondo del car design. Sulla 500 non ci siamo mai fatti questo problema: dal muso alla coda creiamo un’unica forma tridimensionale. Noi la chiamiamo “linea di carattere a 360°”, e viene dall’antesignana del ’57: gira tutt’intorno alla macchina, in orizzontale.
Dal piano industriale presentato a maggio abbiamo capito che i prodotti Fiat si divideranno in due linee, la “famiglia 500′′ e quella delle vetture più “utilitarie”. Avete intenzione di rafforzare il family feeling della famiglia “Panda-Qubo-Freemont”?
Io non sono un fautore delle automobili fatte con lo stampo, ma avremo una “famiglia in armonia”. Anche fosse una compatta del segmento C, il più generico dei segmenti, vorrei che alla fine rimanesse un’impressione di fruibilità e di utilità, che è proprio quella del marchio Fiat. Per me “family harmony” è un concetto più importante di “family feeling”, che spesso comporta che una volta trovato un concetto lo applichi su tutti i modelli finché non diventa stancante.
Quanto pesa il successo della strategia Mini nella vostra scelta di disegnare un’intera famiglia di modelli 500?
La Mini c’era già prima che esordissimo con la 500, quindi è stato un riferimento, un caso di successo della riaffermazione di un modello classico riportato all’attualità. Il fatto stesso che fino ad ora non ci siano state sovrapposizioni fa capire che le due operazioni sono nate spontaneamente dalla voglia di rimettere in gioco i valori dei due marchi: la 500, almeno finché era solo nella versione tre porte, non arrivava né per prezzo né per dimensioni alla versioni base della Mini. Le due vetture si sono giocate dei ruoli diversi.
Lei è anche responsabile del design dell’Abarth. Non pensa che come marchio, Abarth sia un po’ sacrificato? Ha solo versioni speciali di modelli esistenti...
Sì, oggi potrebbe essere definita come la linea sportiva delle 500. Però il marchio dello scorpione nella sua natura ha sempre valorizzato il minimo. Il pungolo di Karl Abarth era fare in modo che i telai e i motori più piccoli potessero competere con vetture ben più sostanziose dal punto di vista dei cavalli e delle dimensioni. Questa è ancora una delle peculiarità del marchio Abarth, e più la gamma Fiat si aprirà, più Abarth potrà esprimersi. Nulla vieta però ad Abarth di uscire sul mercato con vetture sportive “tout cout”, di cui presto vedremo le prime manifestazioni. Non posso dire niente, ma prometto solo che ci saranno delle sorprese.
A proposito, un’ultima domanda sul progetto che state sviluppando insieme alla Mazda. Come avete impostato il lavoro con i giapponesi?
Un team serio che fa design e ingegneria come quello di FCA si interfaccia in maniera brillante e sostanziosa con un team rigorosamente basato sui processi com’è la Mazda: funziona tutto molto bene, ormai da qualche mese siamo in procinto di raggiungere tutti gli obiettivi del progetto. Abbiamo compartecipato agli investimenti, lavorando insieme fin dall’inizio. Non posso dire nulla di più, ma in questo progetto c’è parzialmente la risposta alla sua domanda sul futuro delle accezioni sportive del marchio Fiat e sull’Abarth. La Mazda MX-5 è già uscita, è esposta in questo Salone, ma noi non le abbiamo semplicemente cambiato la pelle: la nostra vettura sarà estremamente peculiare dei valori del marchio Fiat e della sua interpretazione più sportiva.
(Fonte: www.ilfattoquotidiano.it - 8/10/2014)

mercoledì 15 ottobre 2014

Fiat 500X (1): perché ha una marcia in più


La nuova Fiat 500X ha ottenuto subito un record, quello della conferenza stampa di Olivier François, a capo del marchio Fiat, la più lunga del Salone di Parigi: 18 minuti e 20 secondi. Curiosità a parte, la 500X ha convinto gran parte degli addetti ai lavori. Mi sono fermato a lungo allo stand proprio per vedere le reazioni: “magnifique” per i francesi, i più convinti, “schön” per i tedeschi. E in effetti il prodotto sembra riuscito. L’auto è “furba” e realizzata bene. La qualità è superiore alla media della gamma, segno che a Melfi è stato fatto un buon lavoro. Così come questa volta sui contenuti di tecnologia non si può dire nulla. Su tutti il cambio automatico a 9 marce: nessuna concorrente offre altrettanto. Il design poi sembra vincente: difficile trovare una concorrente nel segmento C (la lunghezza della 500X è la stesse della VW Golf) con più fascino e personalità. Più riuscita la versione off-road rispetto a quella cittadina. Un’auto di conquista come la 500L (“2/3 dei clienti non erano Fiat” racconta Olivier François) e destinata a raggiungere con facilità i 100 mila pezzi l’anno (a partire dal 2016 con il contributo di tutti i 100 mercati dove sarà in vendita). Un’auto che può piacere a New York e Los Angeles come in Cina, dove potrebbe essere l’arma giusta per far decollare (finalmente) le vendite Fiat. Così come sembra aver ragione Marchionne quando dice che non ci sarà concorrenza tra 500X e Jeep Renegade: pur gemelle le auto sono completamente diverse, tanto è trendy la 500X quanto è sgraziata la Renegade (ma con il marchio Jeep si potrebbe vendere anche una vecchia Trabant). Due aspetti lasciano qualche dubbio: nonostante le rassicurazioni di Gianluca Italia, a capo del marchio Fiat in Emea, la 500X potrebbe sottrarre, in particolare in Europa, non pochi clienti alla 500L. Il prezzo sarà differente ma la tendenza sembra inevitabile. Così come la versione cittadina sembra a prima vista molto femminile e poco adatta al mercato delle flotte che invece rappresenta i volumi più importanti del segmento C. Dettagli.
(Fonte: www.carblogger.it - 6/10/2014)

martedì 14 ottobre 2014

FCA a Wall Street (2): la cronaca dell'esordio


Esordio positivo e successiva frenata per Fiat Chrysler Automobiles a Wall Street. Al debutto il titolo FCA è stato richiesto a 9,19 dollari, in rialzo del 5,6%, per poi ritracciare attorno a 9,07 dollari e infine passare in terreno negativo a 8,86 dollari. In Piazza Affari, dove FCA ha preso il posto dopo 111 anni della vecchia Fiat, la quotazione è rimasta positiva fino alla chiusura a 7,025 (+1,2%). A Wall Street FCA chiude in calo dell’1,00% a 8,91 dollari per azione. La giornata è stata seguita da New York dai vertici di FCA, il presidente John Elkann e l’amministratore delegato, Sergio Marchionne, che hanno suonato la campanella di chiusura delle contrattazioni alle 16 (le 22 italiane), visto che non essendo una ipo vera e propria ma una conversione azionaria non è previsto il suono della campanella d’inizio. «La nascita ufficiale di Fiat Chrysler Automobiles con il suo debutto al New York Stock Exchange rappresenta un momento storico», ha commentato Elkann in una nota. «A partire dalla fondamenta e dalle aspirazioni di Fiat e Chrysler si apre oggi una fase completamente nuova, che ci consentirà di affrontare da protagonisti il futuro del settore automobilistico mondiale». Per Marchionne si tratta del «culmine del lavoro che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e mezzo per raggiungere un’unione straordinaria. FCA ha stabilito un percorso di crescita aggressivo, sulla base degli obiettivi annunciati durante l’Investor Day del 6 maggio», ha continuato il capoazienda, «la strada che abbiamo scelto non è quella più facile né quella che richiede lo sforzo minore. Eppure, come tante pietre miliari, non rappresenta solo la fine di qualcosa, ma è soprattutto un nuovo inizio. La giornata di oggi segna l’inizio del nostro viaggio come FCA, come un unico costruttore globale». Definita la partita finanziaria, restano i simboli, come la bandiera. Così da questa mattina sul palazzo del Lingotto, a Torino, è stata issata la bandiera bianca con il nuovo logo blu del gruppo automobilistico ed è stata tolta la targa Fiat: la nuova sede del gruppo è infatti in Olanda, mentre la residenza fiscale è a Londra.
(Fonte: www.corriere.it - 13/10/2014)

lunedì 13 ottobre 2014

FCA a Wall Street (1): una sfida "mondiale"


Se è vero che Warren Buffett, detto l’Oracolo di Omaha, non ne sbaglia una (o quasi), chi scommette sulla galoppata del gruppo Fiat Chrysler Automobiles in Nord America può fregarsi le mani. L’ottantaquattrenne finanziere-industriale del Nebraska ha infatti appena comprato il Van Tuyl Group, una delle più importanti catene di concessionarie d’auto d’America. Vende macchine in dieci Stati, conta già su 78 negozi e ha in programma di espandersi. Anche se Buffett possiede il 2 per cento di General Motors, i suoi nuovi car-shop sono ecumenici e commercializzano vetture di parecchi brand. Sulla Marguerite Parkway di Mission Viejo, California, per esempio, c’è la South County che tratta Fiat e Maserati, mentre a Scottsdale, in Arizona, c’è la Airpark con in bella vista Jeep, Chrysler e Dodge. In settembre, le marche americane del gruppo FCA hanno continuato la domestica rincorsa, regalandosi addirittura il sorpasso ai danni di Toyota. Sergio Marchionne lo ha sottolineato soddisfatto, alla conferenza stampa del 2 ottobre al Mondial de l’Automobile di Parigi. Dopo il 2018, al termine dell’ambizioso piano quinquennale che dovrà portare il gruppo a vendere 7 milioni di auto nel mondo, Marchionne se ne andrà. Lo ha detto a “Business Week”. E mentre si scatena il toto-delfino, con Mike Manley della Jeep in cima alla lista, il gruppo festeggia il 54esimo mese consecutivo di crescita negli Stati Uniti e in Canada. Negli U.S.A. in settembre ha incrementato le vendite del 19 per cento: in grande spolvero soprattutto il marchio Jeep - il gioiello della corona - che ha registrato un vistoso più 43 per cento, seguito dalla marca Ram, con più 30 per cento (i dati finora disponibili relativi a tutti i mercati, fermi al mese di agosto, si trovano nella figura qui sopra). Marchionne ha rivelato che la produzione della prossima generazione della minivan Town & Country della Chrysler sarà avviata nel febbraio 2015, un anno prima rispetto a quanto indicato nel piano industriale presentato in pompa magna cinque mesi fa a Auburn Hills, Detroit. Dunque la FCA corre, in Nord America, e lo slancio potrebbe ovviamente avere un impatto anche sulle quotazioni del nuovo titolo, che esordisce il 13 ottobre a Wall Street. In Europa, invece, corre meno e di debutti anticipati, per ora, non c’è ombra. La 500X, detta anche Cinquecentona, è stata la reginetta della rassegna parigina, ma lo scetticismo ampiamente esibito da Marchionne a proposito della ripresa del Vecchio Continente non lascia trasparire l’intenzione di sfornare in fretta troppe novità. Fa eccezione l’Alfa Romeo. Il rilancio del marchio del Biscione è il dossier italiano che sta più a cuore al boss. Gli ingegneri al lavoro sui nuovi modelli crescono di numero - circa 250, pare, dei 600 uomini impegnati sull’Alfa Project - e nei capannoni “segreti” di Modena si sgobba senza pause. Anche i fornitori sono stati messi alla frusta. Tuttavia, ancora non si ha la certezza assoluta di quando la prima new Alfa sbarcherà in concessionaria. Sulla carta la capofila delle Alfa del nuovo corso dovrebbe debuttare il 24 giugno 2015. È lo stesso giorno in cui, nel 1910, venne fondata la casa - allora- milanese e per quella data il gran capo ha promesso grandi novità. È ipotizzabile che sarà il giorno di nascita della nuova Giulia, ma con Marchionne gli slalom sono sempre dietro l’angolo. Una cosa è certa: sulla rinascita dell’Alfa stavolta ci ha messo la faccia. Un altro rinvio, magari motivato con la depressione del mercato europeo, sembra impensabile. Per sfornare i cinque nuovi modelli promessi entro il 2018 ci vogliono, a spanne, cinque miliardi. Marchionne, ai tempi della presentazione del piano industriale 2014-2018, aveva però fatto capire che i quattrini necessari sarebbero stati spesi “a rate”, e che per passare alla fase successiva sarebbe stato necessario il successo del modello precedente. A Cassino, dove si produrranno le Alfa della nouvelle vague, incrociano le dita e si augurano che la Giulia parta alla grande. La sfida più ambiziosa sul tappeto, tuttavia, si chiama Jeep. Perché se l’Alfa deve risalire dalle 80 mila vetture scarse del 2013 a quota 400 mila, per il mitico marchio yankee il compito è ancora più tosto. Alla Jeep, infatti, è stato dato l’obiettivo di salire a 1,9 milioni di immatricolazioni nel 2018. Nel 2013, la marca americana ha venduto 732 mila veicoli. Un prodigioso balzo in avanti che prevede incrementi annui del 50 per cento in America Latina, del 45 per cento in Asia e nel Pacifico, del 35 per cento in Europa, Medio Oriente e Africa (la cosiddetta area Emea) e del 10 per cento scarso nella zona Nafta (U.S.A., Canada e Messico). Nei cinque mesi trascorsi dall’annuncio di questa escalation-monstre, Marchionne ha dedicato a Jeep il massimo sforzo e, soprattutto, si è affidato all’indiscusso numero uno del brand, Mike Manley, che è pure capo dell’intero gruppo FCA nell’area Asia-Pacifico e potenziale delfino del manager italo-canadese. Inglese, è entrato in Chrysler nel 2000, quando la casa di Detroit era sposata con i tedeschi della Daimler. Potrebbe portare la Jeep al milione tondo di vendite già quest’anno. L’altro fedelissimo, l’americano Richard Tobin, con le auto non c’entra. Guida Cnh International, che fa trattori, macchine movimento terra e camion, un business mediaticamente meno affascinante ma redditizio. In Nord America la scommessa-Jeep è tutto sommato ragionevole, mentre in Brasile il gruppo, nonostante le difficoltà economiche che il Paese attraversa, quando non è il primo nella classifica delle vendite è il secondo. Nel nuovo impianto di Goiana (Pernambuco), un investimento da 1,3 milioni, si comincerà a produrre all’inizio del 2015 la Renegade, la Suv-crossover compatta già in produzione a Melfi e sorella della 500X. Al contrario la sfida appare veramente titanica in Asia. Non per niente Manley sta passando parecchio tempo in Cina, dove FCA nel giugno scorso ha cominciato a costruire con il socio locale Gac lo stabilimento di Guangzhou, nel distretto di Panyu. Sarà pronto nell’estate 2016 e dovrà mettere il turbo alla svelta, per sfornare le 160 mila vetture previste dalla sua capacità produttiva, dato che il piano “vede” la produzione asiatica (dovrà partire pure l’India) di Jeep issarsi a mezzo milione di macchine l’anno nel 2018. In Europa l’asticella è fissata a 200 mila unità annue - come in America Latina - e sembra giustificato l’ottimismo intorno alla fresca Renegade made in Basilicata. Più difficile far decollare i numeri della Cherokee, che si deve battere con rivali temibili e viene venduta in Europa a prezzi assai più alti che in patria. D’altro canto, abbassare i listini significa abbattere la redditività, un atavico problema per la Fiat, con l’eccezione della modaiola 500, al settimo anno di vita e capostipite di un “quasi-brand”. Ma dove vanno reinvestiti gli utili realizzati in Nord America? Nella stessa zona per rafforzarsi ulteriormente, nell’arrembante mercato asiatico oppure nel Vecchio Continente, per rimettere in carreggiata la zoppicante brigata europea dell’armata Marchionne? Un bel dilemma. In Italia, intanto, brilla la stella Maserati. La Ghibli va bene e ci sono grandi aspettative per il Suv che si chiamerà Levante: quest’anno la Maserati venderà 35 mila auto e le 75 mila unità programmate per il fatidico 2018 non sono più così lontane. Nonostante il boom del Tridente e dei vicini di casa della Ferrari, comunque, il sempre più evidente spostamento del baricentro verso il Nord America acuisce le tensioni tra i vertici in Italia. Abbondano le voci di malumori tra Alfredo Altavilla, capo di Fiat Chrysler per l’Emea, e il tedesco Harald Wester, capo di Maserati e Alfa. E si maligna di scarso fair-play nel sottolineare gli insuccessi ascrivibili all’altro. Del tipo: Wester che ha fatto poco per l’Alfa negli anni delle rinascite mai avvenute, il motore twin-air bicilindrico sponsorizzato da Altavilla che sta perdendo il confronto con i tre cilindri della concorrenza, per esempio. Sia Altavilla che Wester, si dice, hanno cullato l’idea di essere i numeri due del boss. Poi hanno capito che, ammesso possa esistere un numero due di Marchionne, probabilmente sta a Detroit. E non in Italia.
(Fonte: http://espresso.repubblica.it - 10/10/2014)

domenica 12 ottobre 2014

Renzi-Marchionne, una "amicizia" che potrebbe fare bene agli automobilisti italiani


4 ore ad Auburn Hills nel quartier generale di Fiat Chrysler Automobiles, ora definito da tutti come il secondo edificio più grande degli Stati Uniti dopo il Pentagono. Così la visita del premier Matteo Renzi a “casa Marchionne” ha tenuto banco sulle prime pagine dei giornali italiani. Buona parte dei commenti sono incentrati sui temi politici di stretta attualità (riforma del Lavoro e giudizi sull’operatore del Governo in primis). Ma c’è un risvolto potenzialmente positivo per noi automobilisti che secondo me vale la pena evidenziare: la presa di coscienza da parte del numero uno dell’esecutivo dell’importanza dell’industria dell’auto per l’economia di un Paese. E quindi (mi auguro), una nuova sensibilità su tutto ciò che può influire sulla salute del mercato dell’auto e sulle tasche di chi l’auto la compra e la usa. Renzi ha visto con i suoi occhi (io credo per la prima volta) cosa muove un costruttore di automobili. In termini industriali, economici, occupazionali e di investimenti in ricerca e sviluppo. Ha visto le auto di domani e probabilmente qualche prototipo che arriverà dopodomani. Ma soprattutto ha ascoltato il numero uno di una Casa automobilistica, Sergio Marchionne, da cui ha incassato garanzie sul ruolo che avranno gli stabilimenti italiani per il futuro del Gruppo “Made in Italy". Al di là dei mielosi convenevoli sui quali si può stare a discutere per ore, (Renzi: "Fiat e Chrysler mi piace, è straordinaria, eccitante ed esaltante" - Marchionne: "Renzi non ha paura: questo abbiamo in comune”) adesso possiamo sperare che il Governo cambi approccio nel modo di considerare l’automobile e gli automobilisti. Che non sono solo una categoria da spremere direttamente o indirettamente con gli aumenti di IVA, IPT, bollo, superbollo, RC, accise sulla benzina e chi più ne ha più ne metta. Perchè l’uso e l’acquisto dell’automobile fa muovere una filiera che vale il 12% del PIL e occupa 1.200.000 persone. Dunque merita più considerazione politica. Forse Renzi lo ha capito e ora lo deve spiegare ai suoi Ministri. Incrociamo le dita, ancora un volta, sperando sia l’ultima.
(Fonte: www.omniauto.it - 29/9/2014)

sabato 11 ottobre 2014

In arrivo una moto Ferrari?


Potrebbe essere solo un esercizio di stile o un tentativo di depistare le previsioni su un binario morto, ma la notizia è che Ferrari ha depositato la richiesta di brevetto per un motore due cilindri. Non solo: insieme con la richiesta erano allegate alcune immagini, a solo titolo dimostrativo, che mostrano il motore installato su una moto stile cruiser. Nel documento il progettista Ferrari Fabrizio Favaretto descrive il motore dicendo che non è necessario aggiungere masse di bilanciamento per l'albero motore, che a sua volta riduce il peso e le forze inerziali. È un’ipotesi che potrebbe aprire scenari interessanti per le rosse di Maranello: una moto Ferrari consentirebbe a Fiat Chrysler Automobiles (FCA) di valorizzare anche per le due ruote il brand del cavallino rampante, facendo concorrenza alla Ducati, di proprietà Audi, quindi Volkswagen. Questa decisione sarebbe avvallata anche dalle recenti dimissioni da presidente della Ferrari di Luca Cordero di Montezemolo, pare in contrasto con Marchionne circa il futuro della divisione vetture stradali di Ferrari e lo sfruttamento del marchio in nuovi modi. Ferrari ha anche brevettato il nome “Cavallino” per un futuro veicolo, ma non è dato sapere se è riferito alla moto V-Twin dell'altro brevetto. Nel passato della Casa automobilistica l’unico caso di moto Ferrari ufficiale montava un motore 4 cilindri in linea di 900 cm3 da 105 CV e fu costruita dalla David Kay Engineering, che ebbe il permesso di utilizzare il marchio da Piero Ferrari. Alla fine la moto è stata battuta all’asta nel 2012 a 85mila sterline (108mila euro circa), dopo aver fallito la vendita su eBay a 250mila (319mila euro).
(Fonte: www.insella.it - 7/10/2014)

venerdì 10 ottobre 2014

Fiat 500X: il simpatico spot dell'esordio


È lo spot che va per la maggiore sulla rete. E Fiat lo ha mostrato in anteprima al «Mondial» parigino dell'automobile. I protagonisti: Pitigliano, incantevole località della Maremma, un attempato (l'attore Ninì Salerno) alla ricerca di emozioni sotto le lenzuola, la moglie, la magica pillola blu e la nuova Fiat 500X. La trama: un pensionato si prepara a trascorrere una giornata bollente con la sua donna, ovviamente più giovane. E per evitare brutte figure si chiude in bagno, e dopo una spruzzatina di colonia, è pronto a ingoiare la pillola magica. Peccato, però, che gli scivoli dalla mano. Inutile cercare di riagguantarla. E inutile cercare di capire come giustificherà, con la seconda metà, eventuali «problemi» tecnici. La pillola, intanto, rimbalza sul davanzale e, tra un salto e l'altro, permette allo spettatore di gustarsi le bellezze di Pitigliano. Ed ecco il gran finale. A un distributore di carburante è ferma una Fiat 500 rossa. E fin qui nulla di strano. Il benzinaio apre lo sportellino sulla fiancata e la pillola blu decide di concludere la sua corsa proprio nel serbatoio. Il seguito? L'effetto è quasi immediato: la piccola vettura Fiat si trasforma, nello stupore generale, nella nuova 500X, «pronta all'azione». Tra gli sguardi interessati di alcune passanti. Realizzato dall'agenzia The Richards Group e diretto dal regista Antony Hoffman per la casa di produzione Filmmaster di Milano, il filmato è stato girato a Pitigliano, location scelta anche per esprimere al meglio l'italianità della 500X, tra un rintocco di campana, un calice di vino e l'inconfondibile paesaggio della Maremma toscana. Il video, che dura un minuto e 19 secondi, è già stato visto su Youtube più di 70.000 volte. In platea, nello stand, era presente l'intero stato maggiore di Fiat Chrysler Automobiles con il presidente John Elkann, l'a.d. Sergio Marchionne, i vari top manager e due ospiti, lo stilista Ermenegildo Zegna (che ha firmato un'edizione speciale della Maserati Ghibli) e il designer Ron Arad. Applausi, battute e risate, alla fine, per lo spot. E anche Marchionne ha sorriso parecchio. Per fortuna. Sembra, infatti, che l'a.d. di FCA abbia assistito al video per la prima volta proprio a Parigi. Con buona pace di Olivier François, capo del marchio Fiat, che ha fatto gli onori di casa allo stand, e gli ispiratori del filmato.
(Fonte: www.ilgiornale.it - 5/10/2014)

giovedì 9 ottobre 2014

Il nuovo inizio di Fiat: gli Agnelli più forti, ma serviranno altri soci


Accadrà di pomeriggio, alla fine delle contrattazioni. Tecnicamente infatti quella di FCA non è una 'Initial public offering', un'offerta pubblica iniziale di azioni. E solo alle Ipo è concesso l'onore di aprire le danze nella giornata finanziaria di Wall Street. Alle società già quotate altrove che scelgono di sbarcare alla Borsa di New York o di tornarci dopo un lungo periodo di assenza è invece concesso il privilegio di suonare la campana che chiude la giornata di contrattazioni. Alle 16 del 13 ottobre prossimo, quando in Italia saranno le 22, John Elkann e Sergio Marchionne suoneranno quella campana. Per festeggiare il listing di FCA, quella che per gli italiani è la nuova Fiat e per gli investitori U.S.A. è semplicemente il ritorno di Chrysler in Borsa. Gli effetti della quotazione a Wall Street saranno diversi e non tutti immediatamente percepibili. Il primo, nelle intenzioni dei vertici del Lingotto, sarà quello di aumentare il numero di azionisti americani nella società. Nelle settimane scorse, a ridosso della bufera sul diritto di recesso e la possibilità che restituisse le azioni più del 5 per cento del capitale sociale (con la conseguenza di far fallire l'intero progetto di fusione), il verbale dell'assemblea straordinaria degli azionisti Fiat ha fatto emergere un quadro per certi aspetti inedito. Perché accanto ai tradizionali soci europei era stata rappresentata alla riunione una cospicua quota di azionisti americani anche di modesto peso: fondi pensione di insegnanti di questo o quello stato, associazioni professionali, banche di piccolo taglio. Naturalmente la gran parte degli azionisti americani non ha partecipato all'assemblea di agosto, né per delega né, tantomeno, di persona. Questo fa ritenere che, dietro quei piccoli azionisti visibili si nasconda un gran numero di altri soci americani, un azionariato già diffuso. Dunque, nei road show che Marchionne e il suo responsabile finanziario Richard Palmer, si preparano a compiere nelle prossime settimane ('Ho detto a Richard: preparati almeno due cambi di biancheria'), l'obiettivo sono i grandi gruppi finanziari, quelli in grado di orientare le scelte del parco buoi di Wall Street. Il rischio infatti è di fare la fine di CNH, la società dei trattori e dei camion nata dallo spin off di Fiat, quotata a Wall Street e tuttora mossa negli scambi soprattutto nell'originaria piazza milanese dove ha mantenuto la quotazione secondaria. Ma come allettare i grandi investitori U.S.A.? FCA infatti non è una nuova società e dunque non porterà alla Borsa di New York un titolo totalmente nuovo ma un'azione che nasce dalla conversione di una share precedentemente esistente, l'azione Fiat. C'è bisogno di un chip, di una quota di azioni da gettare sul piatto per offrirla ai nuovi arrivati. Il tesoretto, ha più volte detto Marchionne in questi giorni, potrebbe arrivare da parte delle azioni consegnate per esercitare il diritto di recesso. Solo mercoledì si saprà quanti tra gli attuali soci hanno esercitato i diritti di opzione e prelazione sui titoli provenienti dal recesso, poco meno del 5 per cento per un valore complessivo superiore ai 400 milioni di euro. Si prevede che, tirate le somme, rimanga a disposizione del tesoretto una somma compresa tra il 2 e il 3 per cento. Che potrebbe rappresentare il primo incentivo, nel breve termine, per chiamare a raccolta gli investitori d'oltreoceano. Sul medio periodo invece la questione si fa più complessa e ha a che vedere con i diritti di voto concessi dalla legge olandese agli azionisti di lungo corso delle società. Un provvedimento preso a suo tempo dai governi dell'Aia per scoraggiare i fondi di investimento mordi e fuggi e spingere le società ad affidarsi a soci più stabili. Con il risultato di attirare in Olanda una gran quantità di aziende che prendono la sede legale nei Paesi Bassi per poter sfruttare i vantaggi del doppio voto concesso ai soci di lungo corso. Nel caso di FCA questo sistema potrebbe teoricamente avere due conseguenze. Se tutti gli attuali soci di Fiat eserciteranno l'opzione che consente loro di raddoppiare i diritti di voto, le proporzioni tra gli azionisti rimarrebbero sostanzialmente immutate: Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli, avrebbe il 30 per cento dei diritti di voto in FCA, la stessa percentuale che ha oggi in Fiat. Se anche gli altri soci esercitassero il diritto di ottenere il voto doppio, rimarrebbero con l'attuale 70 per cento complessivo. All'estremo opposto, se solo Exor decidesse di esercitare il diritto di voto doppio, rimarrebbe con il 46,15 per cento dei voti. Infatti l'attuale 30 per cento degli Agnelli diventerebbe teoricamente il 60 ma dovrebbe in parte diluirsi per il modificarsi del denominatore: 60 più 70 fa 130 e non 100. E 60 rappresenta il 46,15 per cento di 130. È matematicamente impossibile dunque che l'attuale 30 per cento di Exor superi, con il raddoppio dei diritti di voto, la soglia del 50 per cento. Un argomento che deve essere stato decisivo, nei giorni del recesso, per convincere una parte dei soci critici verso l'aumento di peso degli Agnelli nella nuova società, a non restituire il titolo. In sostanza, con la nascita di FCA, Exor si troverà ad avere tra il 30 e il 46,15 per cento dei diritti di voto a seconda delle scelte degli altri soci. È probabile che alla fine gli Agnelli si troveranno in mano circa il 40 per cento dei diritti di voto, il 10 per cento in più di quelli che hanno oggi in Fiat. Un bel gruzzolo e una potenziale leva per stringere accordi anche finanziari con altri partner al momento giusto. Anche perché con il trasferimento in Olanda perde importanza la soglia del 30 per cento delle azioni che secondo la legge italiana è quella che garantisce a chi la detiene il controllo della società perché obbliga chi voglia effettuare una scalata ostile a lanciare un'opa sull'intero capitale circolante. In Olanda la soglia del 30 per cento non esiste e dunque, teoricamente, gli Agnelli potrebbero diluirsi anche sotto il 30 per cento senza particolari conseguenze. Così, entro la fine dell'anno, il volto finanziario della Fiat è destinato a modificarsi radicalmente e senza possibilità di ritorno. Sarà contemporaneamente una società più aperta, perché quotata sulla principale piazza mondiale, e più chiusa, perché posseduta dall'azionista di maggioranza in quote maggiori di quelle di oggi. Ma proprio questo apparente paradosso potrebbe servire a gettare le basi per ulteriori evoluzioni, come quei piloni di cemento armato che svettano sui tetti delle case in costruzione in attesa che qualcuno decida di realizzare il piano successivo. Quel cuscino del 10-15 per cento in più di diritti di voto che gli Agnelli avranno in FCA potrebbe servire a far entrare nuovi soci o anche ad evitare di ricorrere a quell'aumento di capitale che la Borsa da tempo chiede a gran voce giudicando impossibile che il Lingotto possa finanziare con le attuali forze il piano di rilancio di Alfa Romeo. Un piano da 5 miliardi di euro che l'ingresso di nuovi partner potrebbe rendere meno gravoso per gli attuali azionisti. Il dilemma dovrà essere sciolto il 29 ottobre, in occasione del consiglio di amministrazione FCA in programma a Londra. Ci sono dunque due settimane a disposizione di Marchionne e Richard Palmer, quelle che intercorrono tra il giorno della quotazione a Wall Street e la riunione londinese, per sciogliere i nodi, trovare gli impegni dei nuovi investitori e proporre al cda un piano operativo in grado di garantire investimenti fino al 2016 quando l'ad ritiene che l'arrivo sul mercato dei nuovi modelli sarà in grado di generare cassa senza bisogno di ricorrere a nuove iniezioni di denaro. Chiusa con la quotazione a Wall Street la partita della fusione con Chrysler, sarà dunque questa la nuova partita per Sergio Marchionne.
(Fonte: www.repubblica.it - 6/10/2014)