Negli ultimi tre anni Fiat-Chrysler ha effettuato circa 14 mila assunzioni nel Nord America. I dipendenti americani, canadesi e messicani del gruppo guidato da Sergio Marchionne sono passati da 36mila a quasi 50 mila con una crescita del 39,6%. In Italia, invece, le ore non lavorate dagli operai del settore auto rispetto a quelle previste dal contratto sono il 27,6% del totale. In pratica un dipendente su quattro è in cassa integrazione. Gli operai italiani delle fabbriche CNH Industrial (trattori, camion e macchine movimento terra) lavorano invece quasi a pieno regime perché solo il 3% delle ore lavorabili non vengono utilizzate. I dati sono emersi nel corso dell'incontro intercontinentale di tutti i sindacalisti che rappresentano i dipendenti di Fiat Chrysler Automobiles e di CNH Industrial svoltosi nei giorni scorsi a Torino. Una settantina di sindacalisti, compresi gli americani e i brasiliani, hanno passato due giorni a passare ai raggi "x" la struttura industriale globale del Lingotto anche in vista del lancio dei prossimi piani industriali che saranno annunciati a Detroit il 6 maggio per Fiat-Chrysler e l'8 maggio per CNH Industrial. "C'è molta attesa per le decisioni che sarano annunciate in America - spiega Ferdinando Uliano, responsabile Fim-Cisl per Fiat - Anche perché anche dal seminario è emersa in modo fortissimo la disparità di condizione nel gruppo fra le Americhe, anche se fra U.S.A. e Brasile c'è differenza, e l'Europa. Molti stabilimenti italiani dell'auto e quello polacco sono, come dire, scarichi. Vanno rilanciati. Siamo arrivati ad un punto di svolta. Marchionne nell'ottobre del 2012 annunciò la volontà di riposizionare le produzioni europee di Fiat-Chrysler verso segmenti di qualità più alta nonché l'obiettivo di affidare alle fabbriche italiane la missione di produrre auto da esportare in tutto il mondo e non solo in Europa. Ora tutti speriamo che si passi ad una fase di attuazione". Negli ultimi anni Marchionne ha rallentato il lancio di modelli e puntato a ridurre il deficit di Fiat Europa (l'anno scorso le perdite sono scese a quota 520 milioni dai 730 del 2012), ha chiuso la "piccola" fabbrica di Termini Imerese ma ha anche investito a Pomigliano (800 milioni) per la Nuova Panda, Grugliasco (1 miliardo) per le Maserati, Val di Sangro (700 milioni) per il Nuovo Ducato) e Melfi (1 miliardo) per la Jeep Renegade e il SUV gemello Fiat 500X. Un altro miliardo è stato stanziato per il rifacimento di Mirafiori che dal 2016 sfornerà il SUV Levante della Maserati. Ora si tratta di affrontare la sfida più difficile di tutte: il rilancio dell'Alfa Romeo come simbolo dell'auto italiana. I sindacati hanno "fotografato" anche i forti investimenti che il gruppo Fiat, e CNH INdustrial in particolare, ha effettuato in alcuni paesi europei. Ad esempio in Spagna, dove è stata concentrata la produzione dei Tir dell'Iveco. Curioso osservare che i sindacalisti iberici hanno dichiarato ai colleghi che non si alzano dal tavolo di trattative ("A costo di lasciare sulla sedia la pelle del sedere", hanno detto) fino a quando non si raggiunge un accordo per il contratto. La riforma del lavoro spagnola, infatti, prevede che se non si firma un contratto fra le parti dopo un anno l'intero settore resta senza contratto. Una liberalizzazione estrema, dunque. Chiaro comunque che il sindacato italiano ora si attende un piano Fiat pluriennale di forti investimenti negli stabilimenti dei motori (Termoli, Pratola Serra, VM Motori e ancora Mirafori che dovrebbe tornare a produrre propulsori) oltre che in quelli dell'auto non ancora ristrutturati come Cassino. Qui, in particolare, dovrebbero essere prodotte le nuove berline dell'Alfa Romeo. "Ma Fiat non deve sottovalutare che va chiusa la parte economica del nuovo contratto aziendale - chiosa Uliano - Chiediamo un aumento di 40 euro al mese, ma la trattativa va avanti da troppo tempo".
(Fonte: http://motori.ilmessaggero.it - 25/4/2014)
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