domenica 18 maggio 2014

Piano FCA e Italia (2): certezze e incognite


Il piano industriale quinquennale di Fiat-Chrysler illustrato a Detroit da Sergio Marchionne è la sua squadra è molto ambizioso, non facile da realizzare. E il manager lo ha accompagnato con una promessa: «È vero, è ambizioso e coraggioso. Impegnativo. Rimarrò alla guida di FCA ancora 5 anni per portarlo a compimento». Il precedente impegno, preso a gennaio al salone di Detroit, era di continuare a fare l’a.d. di Fiat-Chrysler ancora 3 anni. All’epoca, però, anche il piano doveva durare un triennio. Ai delfini non resta che attendere e qualcuno si avvicinerà alla pensione. Ma la figura del manager italo-canadese è troppo importante per sviluppare i programmi di un gigante da lui inventato e concretizzato in poco tempo. Forse c’è anche un fatto personale: l’orgoglio di centrare i nuovi obiettivi perché i target precedenti (quelli del 2010) non sono stati raggiunti. Il mercato, in ogni caso, nell’ultimo periodo ha lo stesso apprezzato (il valore dell’azione è raddoppiato in meno di un anno) vista la rapidità della fusione e i costi con cui è stata realizzata. Gli sviluppi del business da qui al 2018 evidenziano dove Marchionne intende indirizzare la società e quali siano le prospettive dei singoli mercati. Ancora una volta l’incremento del fatturato dovrà arrivare soprattutto dall’America, ma questo consentirà di far ripartire e portare a piena capacità anche i 16 impianti europei che oggi viaggiano poco sopra il 60% del potenziale con una produttività inadeguata. Marchionne si occupa direttamente della gallina della uova d’oro, la regione Nafta (Nord America) che attualmente è la cassaforte del Gruppo, quella che genera i veri profitti. Dopo il grande recupero effettuato dal 2009 in termini di share, e con un mercato risalito a livelli record (quest’anno negli States le vendite totali torneranno a quota 16 milioni), la corsa da queste parti poteva sembrare al traguardo. Invece è questa l’area che per FCA crescerà di più (ancora +48% nel quinquennio), passando da 2,1 a 3,1 milioni di veicoli l’anno. Visto che le vendite totali sicuramente non cresceranno altrettanto, sarà necessario conquistare ulteriore quota, non facile in un supermarket maturo e dove altri importanti rivali (Volkswagen) hanno l’obiettivo di migliorare le posizioni. Salvaguardate le fabbriche e rilanciata la progettazione in Europa, Marchionne sembra credere meno dal punto di vista commerciale alla regione Emea (Europa, Medio Oriente e Africa) nonostante le vendite nella UE sono attese al rialzo dopo anni di tracollo (da oltre 18 milioni di veicoli nel 2007 a poco più di 13 lo scorso anno). In quest’area la crescita per FCA sarà di 400 mila unità (da 1,1 a 1,5 milioni di immatricolazioni), metà delle quali fuori dal Vecchio Continente (solo 100 mila in Italia e altre 100 mila negli altri Paesi dell’Unione). L’America Latina (Latam) attraversa una fase di difficoltà, ma FCA che è leader (23% del mercato in Brasile) e vuole continuare a crescere di 400 mila unità (+220 mila Fiat, +180 mila Jeep) passando (nel 2015 partirà la fabbrica di Pernambuco) dalle 900 mila consegne del 2013 ad 1,3 milioni del 2018. Infine Apac (Asia-Pacifico), il mercato più grande del pianeta e quello dove la crescita in percentuale per il Lingotto sarà più vigorosa: in Cina si passerà dalle 130 mila unità dello scorso anno alle 850 mila del 2018, in India dalle appena 10 mila unità a 130 mila. In Cina Jeep sarà il primo brand, seguito da Fiat (entrambe avranno fabbriche), ma si faranno spazio anche le Alfa rigorosamente made in Italy. Anche qui il mercato totale continuerà a crescere (quasi a doppia cifra nel trimestre, a fine anno sono attese 24 milioni di consegne), ma moltiplicare per oltre sei i volumi non sarà affatto facile. Dal punto di vista dei brand quello che crescerà di più è Jeep (da 735 mila a 1,9 milioni) che affiancherà Fiat (da 1,5 a 1,9 milioni), ci sarà il grande ritorno di Chrysler (da 350 mila a 800 mila), l’assestamento di Dodge e la rinascita dell’Alfa Romeo (da 74 mila a 400 mila). Marchionne è coraggioso, ma anche diffidente, soprattutto nei confronti delle vendite di auto nella vecchia Europa. L’ad vuole riportare tutte le 16 fabbriche europee di FCA alla massima capacità, ma continua a credere poco nella ripartenza del mercato delle quattro ruote da questa parte dell’Atlantico. Nonostante questo in 5 anni abbia perso 5 milioni di veicoli e quello italiano si sia quasi dimezzato (quindi ci sono concrete speranze di ripresa). Solo una piccola parte dei significativi margini di crescita dei brand del Lingotto che più producono nel vecchio continente avrà infatti ripercussioni di rilievo sulle vendite nell’Unione Europea.In questa “region” entro il 2018 Fiat-Chrysler dovrebbe vendere 100 mila vetture in più in Italia e altrettante negli altri 27 paesi dell’UE e nei 3 EFTA. Ecco quindi che diventano fondamentali le esportazioni in altre aree geografiche, ipotesi peraltro prevista dalla strategia primum, ma che con il “piano” appare esasperata. Produrre dove si vende è un approccio che il settore automotive ha metabolizzato da anni. Le fabbriche sul posto coinvolgono i clienti, riducono i costi ed evitano le tasse a volte molto salate. C’è da gestire inoltre i rapporti fra le valute che, in questa fase, non aiutano la causa. Nel programma quinquennale, in realtà, ci sono i target di vendita di tutti i marchi e più o meno i modelli che verranno prodotti, ma non è specificato dove. Genericamente Alfredo Altavilla, il numero uno della divisione Emea di FCA, ha dichiarato che, quando nel 2018 tutte le fabbriche del Continente saranno a pieno regime, il 40% della produzione verrà esportata. Obiettivo assai ambizioso, soprattutto se l’Euro continuerà ad essere così forte non solo rispetto al dollaro. Se il piano andrà in porto, però, ci saranno grandi vantaggi per il nostro paese poiché gli impianti italiani sono quelli che più aumenteranno la capacità utilizzata (attualmente è di poco superiore al 50%). I programmi di Mirafiori e Cassino non sono stati specificati, ma è chiaro che queste due fabbriche saranno la base del rilancio Alfa Romeo. Le Maserati e le Alfa, infatti, saranno tutte "Made in Italy", i target prevedono 400 mila unità delle seconde, 75 mila delle prime. Va valutato che si tratta di modelli premium, alcuni di costo elevato che generano fatturati generosi e ritorni significativi. Soltanto per Maserati nel 2018 sono previsti ricavi per 6 miliardi di Euro, con profitti di oltre mezzo miliardo, visto che il ritorno dovrebbe essere superiore al 10% (così già è attualmente). Le 400 mila Alfa porteranno al nostro Paese un volume d’affari ancora più elevato, ma in questo caso servono tutti i 5 miliardi di investimenti che rischiano di pesare sul debito e sulla liquidità. Il Tridente ha dimostrato di poter tenere un’andatura veloce, già ora le 3.500 vendite al mese sono quasi tutte fuori dai nostri confini (come per Ferrari) e la maggior parte in paesi extraeuropei (U.S.A. e Cina in testa). Per Alfa Romeo la sfida è più dura, anche perché saranno modelli importanti, ma di fascia meno elevata (non sono previsti motori 8 cilindri). Circa 150 mila unità l’anno del Biscione dovranno andare in Nord America, altrettante rimarranno in Europa, con quelle italiane che saranno meno della metà. Delle altre 100 mila buona parte finirà in Cina dove la strategia Alfa del “full Made in Italy” non prevede ci sia una fabbrica. Fuori dall’Europa dovranno finire anche buona parte delle Jeep Renegade e 500X costruite a Melfi, la cui produzione totale potrebbe avvicinarsi alle 400 mila unità l’anno. Continueranno ad attraversare l’Atlantico anche le 500L prodotte nello stabilimento serbo vicino Belgrado. Tutta da definire invece la mission di Tychy in Polonia visto il ridimensionamento di Lancia (anche della Ypsilon), ma sicuramente l’impianto ospiterà alcune delle 8 novità Fiat per Emea (a Pomigliano dovrebbe esserci un secondo modello Panda per saturare l’impianto). Val di Sangro continuerà a produrre i commerciali, anche di nuova generazione. Nel 2018, quindi, saranno tornati tutti al lavoro (con vantaggi per il potere d’acquisto e risparmi per la cassa integrazione) i 5.400 dipendenti di Mirafiori, i 4.500 di Pomigliano, i 5.500 di Melfi, 2.800 di Maserati (Modena e Grugliasco), i 3.800 di Cassino e i gli oltre 6 mila di Sevel (tutti occupati anche nelle officine FPT di Termoli, Pratola Serra e Cento).
(Fonte: www.ilmessaggero.it - 9/5/2014)

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