domenica 11 maggio 2014

Ruggeri su FCA: "Finalmente un vero piano"


Per noi analisti indipendenti, quindi per definizione Ápoti, la vita si fa sempre più dura, una scivolata su un verbo o un aggettivo, e il nostro destino è segnato: precipitiamo nel girone degli idioti, dei gufi, o peggio degli sciacalli. Questo rischio incombente nell'analisi politica, vale anche per il piano strategico quinquennale che Sergio Marchionne ha presentato a Detroit, nell'auditorium Chrysler di Auburn Mills, il tempio dell'auto, il secondo edificio più grande d'America, dopo il Pentagono. Per 11 ore e 18 minuti i manager di FCA, sotto la regia di un pimpante-commosso Marchionne, che saliva e scendeva dal palco, hanno bombardato i presenti con una quantità impressionante di parole, numeri, grafici, slide. Le reazioni dei nostri sindacati (erano tutti lì, sul pezzo, mancava solo la Fiom), sono state entusiaste, avendo garantito la sopravvivenza di tutti gli stabilimenti italiani e il rientro di tutti i cassaintegrati. Lo stesso entusiasmo che li avvolse alla presentazione di Fabbrica Italia. Un piano strategico consta di due parti: le assumption e lo svolgimento. Il secondo è figlio delle prime, se queste sono corrette lo saranno pure i risultati, in caso contrario è da ridimensionare o da buttare. È sulle assumption che si gioca la credibilità di ogni piano strategico, e queste si basano anche sulla credibilità del leader. È facile darsi obiettivi sfidanti (e se poi non li raggiungi dare colpa alla crisi, ma ormai gli analisti non la bevono più), il problema è al solito l'execution, la variabile che fa la differenza fra un piano strategico vero e uno finto, fra un grande leader ed uno normale. Sulla credibilità di Marchionne come uomo di merger and acquisitions non esistono dubbi, anzi occupa le prime posizioni a livello mondiale: il modo con cui ha condotto acquisizione e successiva integrazione di Chrysler è da manuale. Come uomo di prodotto e car guy non disponiamo invece di dati storici, quindi ogni analista si deve affidare alle proprie sensibilità e professionalità. Questo piano è comunque la sua grande occasione, e il giudizio è affidato alla Cassazione del business, l'Ipo a Wall Street. Come italiani, e come amanti di Fiat, auguriamoci che abbia successo. Alcuni analisti hanno calcolato che nei dieci anni del Consolato Marchionne, prima di questo, ci sono stati ben otto Piani Strategici. Tra le righe era sottesa una critica. Dissento. Quei piani, a mio parere, non avevano nulla di strategico-industriale, facevano parte di un disegno molto sofisticato di «comunicazione», mantenuto ovviamente segreto. Lui aveva capito che Fiat Auto, nella sua configurazione storica, era moribonda, gli azionisti non erano intenzionati a immettere quattrini, che forse neppure avevano, che Obama salvando Chrysler aveva pure salvato, senza accorgersene, Fiat Auto (anni dopo glielo spiegherà il WSJ). La sua deduzione fu geniale: doveva cambiare strategia di prodotto/mercato, uscire dalle vetture medio-piccole per clienti medio-poveri, e, sfruttando il fascino del «made in Italy», rilanciare il marchio Alfa nel segmento Premium, come ancella di Maserati e di Ferrari. Il problema era come dirlo, senza pagare pegno. Di qui i ballon d'essai dei piani industriali annuali, dell'enfatizzazione sul costo del lavoro, sulle regole, sulle pause, sui «nemici» Fiom e Confindustria, che originarono un milieu socio-culturale ove le «meglio gioventù» della società civile, della politica, del sindacato, della stampa economica, per anni si sono «intellettualmente scontrate» fra di loro. E lui ha potuto portare a termine il suo «disimpegno italico». Oggi, per FCA, l'Italia è diventata ciò che doveva diventare: un mercato, con alcuni stabilimenti di montaggio. Un capolavoro strategico-comunicazionale il suo. Ci sia permessa una piccola vanità: l'avevamo scritto in tempi lontani. Nella presentazione del Piano c'è stato un gran sfarfallio di amuse buche, con due piatti importanti, Cina e Alfa. La credibilità del Piano si gioca tutta su queste due partite. Dobbiamo chiederci: a) riuscirà a trovare un partner in Cina che gli permetta di raggiungere i 7 milioni complessivi di vetture?; b) ha le capacità progettative, ingegneristiche, prototipali, di industrializzazione, di messa in produzione in luoghi permeati dall'alta qualità del Premium, di nuovi modelli? E poi, ha fornitori e reti di vendita specializzati sull'alta gamma? Solo con una risposta affermativa, FCA può riprendere un «percorso Premium» che aveva abbandonato molti anni fa (ricordiamo che la mitica Audi ha iniziato il percorso oltre 20 anni fa), sapendo che i volumi Alfa (400 mila/anno), un must del Piano, sono un obiettivo ad alta criticità. Infine, avrà capitali freschi in abbondanza per finanziare questi enormi investimenti? Non ho mai commentato nessun piano strategico degli otto di Marchionne, salvo quello di Fabbrica Italia, ove mi chiesi (allora eravamo quattro gatti a pensarla così) come si potessero investire 20 miliardi di , senza possederli, senza fare aumenti di capitale, senza disporre di modelli competitivi. Due anni dopo (Chapeau!) Marchionne fece autocritica. Questo 2014-18 invece è un piano strategico vero, credibile. Certo, ora i miliardi sono oltre 50, nessun aumento di capitale è previsto, nessuna vendita di asset è indicata, anzi è smentita. Ciò significa che Marchionne, finanziere accorto, è certo di poterli avere dal mercato gettando sul piatto la sua «credibilità». Si dà per scontato che lo sviluppo dei prodotti Alfa Romeo e del rinnovo della gamma Chrysler siano già in avanzatissima fase di sviluppo, altrimenti il cronogramma salterebbe subito: nel mondo dello «sviluppo prodotto» il 2018 è dopodomani. A questo punto, un analista serio (che è anche obbligazionista fedele) si tace, raccoglie, come si faceva un tempo, i documenti del Piano, i «ritagli» dei commenti degli esperti, archivia il tutto nello scadenziario e attende il trascorrere del tempo, sempre all'erta per cogliere i segnali deboli, pronto ad ogni evenienza.
(Fonte: www.italiaoggi.it - 9/5/2014)

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