sabato 17 maggio 2014

Piano FCA e Italia (1): così diventeremo una piattaforma per l'export


Alfa Romeo, Maserati e Ferrari. La triade del lusso targata Fiat-Chrysler è quella che in misura maggiore dovrà garantire un nuovo e inedito ruolo agli stabilimenti italiani del gruppo - dove rimarrà anche parte della produzione a marchio Fiat e arriverà quella di Jeep - e far diventare il nostro Paese, come dice l’amministratore delegato Sergio Marchionne, un «hub per le esportazioni». Un ruolo che, se verrà rispettato nei prossimi cinque anni, avrà anche come effetto il ritorno della piena occupazione in Italia. «Garantiremo la piena occupazione a Mirafiori e negli altri stabilimenti», ha detto l’a.d. martedì sera negli Stati Uniti, alla presentazione del piano industriale 2014-2018. E ha aggiunto anche che «Fiat non manderà a casa nessuno dei suoi dipendenti italiani». Non è un passaggio scontato, almeno per quel che riguarda la grande industria manifatturiera, quello di un’Italia che diventi piattaforma per l’export. Da noi, come è noto, si esportano benissimo e in quantità moda, alimentare e anche una certa meccanica, ma finora l’alto di gamma della produzione automobilistica che è andato all’estero - Ferrari prima di tutto e da un anno e mezzo anche Maserati - lo ha fatto con altissime percentuali di esportazione su numeri assoluti che rimangono però abbastanza bassi. Nel nuovo piano industriale l’opportunità italiana del gruppo, quella che anche il presidente John Elkann ha sottolineato come uno dei frutti positivi della fusione Fiat-Chrysler, nasce proprio dalla possibilità di coniugare la vocazione a fabbricare prodotti di alta gamma con i grandi numeri. L’obiettivo è di 400 mila Alfa prodotte nel 2018 con otto nuovi modelli tutti «Made in Italy» (il primo uscirà nel 2015 da Cassino) e di una produzione Maserati addirittura quintuplicata a 75 mila unità affiancando a due degli attuali modelli altre quattro vetture, con il SUV Levante presto in produzione a Mirafiori; Ferrari dovrebbe rimanere invece stabile a 7000 auto annue per mantenere un «effetto scarsità» tipico dei beni di lusso. Numeri ottenuti grazie alla dimensione integrata di Fiat e Chrysler insieme. La taglia globale di FCA significa infatti sia la possibilità di sfruttare piattaforme comuni per modelli di marche diverse, sia una rete distributiva che permette ad esempio di ipotizzare la vendita di 100-150 mila Alfa Romeo l’anno sul mercato nordamericano. Del resto «produrre in Italia è conveniente - dice Marchionne - perché gli stabilimenti ci sono già e i costi di trasporto nei vari Paesi del mondo nei segmenti premium non incidono molto sul prezzo finale». Assieme ai tre marchi del lusso la vocazione all’export degli stabilimenti italiani si dovrà vedere anche a Melfi, che a regime dovrebbe produrre 200 mila Jeep Renegade e 180 mila 500x, destinate in grandissima parte alle vendite all’estero, e attraverso altri modelli Fiat sulla cui collocazione fra gli stabilimenti italiani Marchionne non si è per ora sbilanciato. Se la scommessa per l’Italia è questa, con il corollario della piena occupazione, è ovvio che anche il sindacato la veda con grande interesse. «Le premesse per il futuro del gruppo sono positive» dice il segretario generale della Uil Luigi Angeletti e «la cosa importante è che vogliono investire, creare nuovi modelli e raggiungere quegli obiettivi di produzione che garantiscono la piena occupazione». Più prudente la posizione di Maurizio Landini, il segretario generale della Fiom, che riecheggia anche alcuni dubbi del mercato azionario: «Siamo di fronte all’annuncio di un nuovo piano la cui credibilità, alla luce di quanto avuto nel passato, va realmente confrontato e verificato».
(Fonte: www.lastampa.it - 8/5/2014)

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