martedì 8 aprile 2014

FCA: comunicazione e azienda "orizzontale"


Cosa sta succedendo in FCA? A un mese dal lancio del primo piano produttivo di Fiat Chrysler Automobiles, dal Lingotto arrivano segnali di movimento. Con una inusuale iniziativa dal basso, la fabbrica Fiat di Melfi (non il Lingotto) ha postato su YouTube un video con i dipendenti - direttore compreso - che danzavano in fabbrica al ritmo di Happy, il motivo di Pharrell Williams. Happy Melfi è spuntato solo qualche giorno dopo un altro, analogo, video “Made in Fiat”. Di stile documentaristico (44 minuti), questo film ruota intorno alla cerimonia per l’avvio della produzione della Chrysler 200 nella rinata fabbrica di Sterling Heights, periferia di Detroit. Uno spaccato aziendale, ma non solo. Perché spiccano le fortissime parole di Bob King, capo del sindacato dell’auto UAW (“Nel mutuo rispetto con l’azienda dobbiamo essere dei problem solver perché solo se le auto che fabbrichiamo diventano premium potremo stare meglio anche noi”) che spingono Marchionne (minuto 27.30) a nominarlo sul palco futuro testimonial di Chrysler al Super Bowl. Testimonial come gli operai di Melfi? Intanto anche nel Michigan, il direttore veste la stessa maglia rossa degli operai e anche qui ci sono operai che suonano e cantano per poi formulare (minuto 39.50) addirittura una sorta di giuramento al futuro della fabbrica, del sindacato e di Chrysler. C’è del teatro aziendale, non c’è dubbio. Ma a noi, che tentiamo di raccontare la società attraverso l’auto, una lettura in filigrana dei due video fornisce alcuni filamenti del dna di Fiat-Chrysler. Chi sono i protagonisti dei due film? A sorpresa non Marchionne, ma gli operai-massa o, meglio, i lavoratori-massa Fiat-Chrysler, con direttori-massa indistinguibili dai sottoposti perché il primo segnale che emerge è che in fabbrica non si nota più la differenza fra colletti bianchi e tute blu. La location? Fa tornare in prima fila la fabbrica-gioiello, il processo produttivo, il ben fatto della vecchia aristocrazia operaia di cui il prodotto-auto (assente nei video) è solo un corollario. La sceneggiatura infine è scritta su un asse azienda-dipendenti-sindacato (esplicito in Michigan, sotto traccia in Basilicata) tessuto non più sulla verticalità dell’ordine fordista e cioè dall’alto in basso: padrone-manager-operaio o viceversa, con lo sciopero. Si indovina un complesso sistema di intrecci orizzontali che sembrano il vero collante dell’apolidìa transatlantica di FCA. Collante che trova uno dei punti di riferimento culturali nel libro (che Marchionne cita spesso) Il mondo è piatto del premio Pulitzer Thomas Friedman. Il primo segno orizzontale trasmesso dai video sta nel linguaggio, visivo e parlato. Nel film yankee, ad esempio, Marchionne parla agli operai (“We are ordinary people“, dice il direttore Tyree Minner passandogli la parola) con toni a bassa frequenza, privi di leaderismo, semplici ma non semplicisti, diretti e a-gerarchici. Li ringrazia: “Non per quello che fate, ma per quello che siete”. Dice loro: “Abbiamo investito un miliardo di dollari nelle attrezzature ma quello che farà la differenza è come le userete”. Sottolinea: “Le mie non sono parole vuote ma una testimonianza di valori condivisi, forgiati dai nuovi posti di lavoro”. E ancora: “Con tutto il rispetto per lo spot con Bob Dylan, siete voi le vere star“. Star di cosa? La risposta la dà bene Happy Melfi. Il primo a intuirlo è stato Giorgio Airaudo, vecchia volpe Fiom (quella torinese) ora deputato Sel. Che al Fatto Quotidiano ha detto: “E’ un preciso modello di relazioni aziendali. Marchionne,  senza intermediazioni, pensa che gli operai appartengano all’azienda, alla fabbrica”. E questo è il punto: quale azienda? Quale fabbrica? I video mostrano fabbriche belle, luminose, specchiate. Giardini della cultura orizzontale. Fabbriche popolate da gente identica nel primo simbolo della verticalità: i vestiti. A Melfi è lampante: tutti ballano in tuta, al montaggio o negli uffici. Il direttore-massa di Melfi, Sebastiano Garofalo, anch’egli immortalato in tuta, è forse il più orizzontale di tutti. Lo stesso Garofalo, quando era a Pomigliano, ha svuotato la palazzina degli uffici, 15 piani di odiata verticalità, e ha trasferito impiegati e dirigenti lungo la catena di montaggio, in uffici anti-imboscamento visibili dagli operai perché delimitati non da un muro ma da un cristallo. E sempre Garofalo ha recentemente sollevato un po’ di polvere in fabbrica rompendo antichi confini gerarchici (la gerarchia è verticale in sé) nominando due (ex) operai capi Ute. Anche la gente di Sterling Heights è spinta a uniformare il vestiario. Nel video americano la maglietta rossa indossata da molti operai e dal direttore è stata distribuita dal sindacato (non dall’azienda) con la scritta "I believe" ("Ci credo").  Quel "I believe" si fonda su 10 mila assunzioni assicurate da Chrysler negli ultimi quattro anni, ma anche sull’appiattimento di gran parte dei livelli gerarchici dell’azienda messa in atto da Marchionne con il licenziamento di molti manager nel quartier generale di Auburn Hills, sul modello di quanto fatto a Torino nel 2004. Anche qui, come a Pomigliano, l’alta torre degli uffici è vuota. Né nella FCA italiana, né in quella U.S.A., dunque, sembrano sopravvivere i capoufficio di Fantozzi. Almeno a livello simbolico. I pochi che hanno visitato le fabbriche Fiat dicono che più che negli uffici, FCA pratica la religione dell’orizzontalità in fabbrica. E la Bibbia della fabbrica orizzontale si chiama WCM (World Class Manufacturing). Un modello toyotista sposato dal sindacato U.S.A., tanto che King lo cita più volte. Il WCM è il vero padre dei due video perché capovolge la gerarchia tradizionale: per produrre tanto e bene sono i quadri a dover imparare a coinvolgere i lavoratori. Con una giornata di danze? Non solo. L’obiettivo è difficilissimo specie in Italia dove il piccolo potere è l’orizzonte di tutti. Ma intanto negli stabilimenti si avverte uno sforzo per eliminare gli sprechi di tempo lungo le linee di montaggio (missione affidata ad un sistema informatico che si chiama ERGO-UAS che misura la fatica e la distribuisce lungo la catena) ma soprattutto con linee di comando corte. Che nelle fabbriche del Lingotto ormai scorrono sempre più lungo un asse brevissimo: direttore-pochi quadri-molti team leader. Dove il team leader, una nuova figura operaia, è l’architrave del sistema perché è una sorta di micro-manager diffuso che non lavora con le mani ma coordina il lavoro di squadre di soli sei colleghi e li spinge alla massima efficienza. Una delle spiegazioni del tasso di assenteismo dell’1,8% dichiarato da Pomigliano. Gruppi di team leader partecipano assieme agli ingegneri e ai quadri anche al processo di progettazione dei nuovi modelli e pianificano l’attività lungo le nuove linee in modo che il montaggio sia facile e veloce per ridurne il costo. Questi processi di scambio di professionalità, ancora una volta orizzontali, si svolgono per mesi in apposite strutture che si chiamano WPI (Work Place Integration). Insomma, con WCM, ERGO-UAS e WPI sembra profilarsi un nuovo baricentro aziendale di Fiat Chrysler decisamente più basso che in passato proprio perché direttamente collegato a vertici snelli (i manager del Gec, il gruppo di comando di FCA, sono solo 23). Ecco il senso profondo dei due video: il racconto di una trasformazione culturale complessa, l’emersione del passaggio del processo di creazione del valore aggiunto, un tempo affidato esclusivamente alle aree dirigenziali e dei quadri, anche a fasce operaie qualificate. Un operaio-massa molto diverso da quello anonimo di qualche anno fa. Ma anche quadri irriconoscibili rispetto a quelli della marcia dei quarantamila del 1980. Sorpresi? Solo perché siamo italiani. A ben vedere, la riscoperta della fabbrica e dei suoi popoli è una delle chiavi vincenti della presidenza Obama, visto che da due anni a questa parte l’occupazione manifatturiera U.S.A. è tornata a crescere dopo 20 anni di calo verticale sull’onda di un fenomeno poco noto in Italia: il re-shoring, ovvero il ritorno della produzione in patria avviato nel 2011 dalla General Electric. E, bene o male, una mano ad Obama gliel’ha data anche il successo di Chrysler, da lui affidata nel 2009 ad un manager laureato in filosofia che aveva già liquidato un obsoleto simbolo della cultura della verticalità: la cravatta.
(Fonte: www.carblogger.it - 3/4/2014)

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