Iniziare l’anno in modo diverso può essere di buon auspicio. E Sergio Marchionne ha scelto proprio il primo gennaio per annunciare l’accordo strategico sul quale Fiat lavorava da mesi. Non è certo un caso. Quando i termini dell’intesa sono stati resi noti a New York e Detroit ancora brillavano i fuochi di San Silvestro, difficile pensare che il contratto sia stato siglato in quelle ore. La borsa ha brindato all’operazione con un incremento consistente del valore del titolo. Anche la maggior parte degli analisti ha accolto con favore il risultato dell’ultima partita a poker giocata dal Lingotto e Veba per raggiungere un obiettivo comune: fare di Fiat e Chrysler un unico costruttore globale.
IL DEBITO DI DETROIT - C’è chi non si sbilancia (per Fitch nessun impatto sul rating) e chi invece resta pessimista come il WSJ il quale, più che l’ambita liquidità di Chrysler per effettuare investimenti in Europa, sottolinea il debito dell’azienda di Auburn Hills che potrebbe appesantire i fondamentali del nuovo gigante sulla via della quotazione a Wall Street. Al di là delle diversità di vedute sullo stato di salute del gruppo italo-americano, c’è da riconoscere che Marchionne, a differenza di quanto alcune volte accaduto con i piani industriali, sta portando avanti il progetto strategico-finanziario con notevole puntualità.
IL DEBITO DI DETROIT - C’è chi non si sbilancia (per Fitch nessun impatto sul rating) e chi invece resta pessimista come il WSJ il quale, più che l’ambita liquidità di Chrysler per effettuare investimenti in Europa, sottolinea il debito dell’azienda di Auburn Hills che potrebbe appesantire i fondamentali del nuovo gigante sulla via della quotazione a Wall Street. Al di là delle diversità di vedute sullo stato di salute del gruppo italo-americano, c’è da riconoscere che Marchionne, a differenza di quanto alcune volte accaduto con i piani industriali, sta portando avanti il progetto strategico-finanziario con notevole puntualità.
COME CNH INDUSTRIAL - Prima l’acquisizione totale (ormai realizzata), poi la fusione (prevista per metà anno), quindi l’Ipo del nuovo Gigante e non della sola Chrysler come stava per accadere. Un iter indispensabile per creare valore sullo schema di quanto già fatto con l’altra azienda controllata dal Lingotto, la Cnh Industrial, ex Fiat Industrial. Più valore è un vantaggio diretto per gli azionisti, ma è anche solida garanzia per i dipendenti. Nella quotazione di Cnh nulla è stato lasciato al caso: sede legale (Amsterdam), sede fiscale (Regno Unito), nome (Cnh appunto), principale piazza della quotazione (New York) e quindi valuta (dollaro). Il nome probabilmente resterà Fiat-Chrysler, mentre sul dibattito del quartiere generale da una parte resta l’ipotesi delle “quattro teste”, dall’altra gira la battuta che sarà il jet di Marchionne, nemmeno fosse l’Air Force One. L’operazione Cnh, in ogni caso, ha aumentato notevolmente il valore del gruppo di veicoli da lavoro (camion, movimento terra, macchine agricole) che attualmente ha una capitalizzazione di oltre 20 miliardi di dollari (quasi 15 miliardi di euro), molto di più di quanto valesse Fiat Industrial dopo lo spin off già con una quota di oltre l’80% di Cnh. Gli analisti Usa, nell’iter per l’Ipo che era in corso presso la Sec, stimavano un ipotetico valore di Chrysler di circa 10 miliardi di dollari (il Lingotto ne ha sborsati 3,7, circa 2,5 miliardi di euro), il nuovo gruppo potrebbe valere almeno il doppio, o addirittura qualcuno ipotizza 20 miliardi di euro.
IL PIANO INDUSTRIALE - Per quanto riguarda l’aspetto industriale e tecnologico, invece, non cambierà molto, se non per una maggiore facilità di azione con un’unica azienda. Da questo punto di vista, infatti, Marchionne aveva messo il carro davanti ai buoi e Fiat e Chrysler già si muovevano come una sola entità con il Gec (comitato strategico ristretto) completamente trasversale alle due società composto da 18 super manager che fanno capo direttamente a Marchionne. Ora il Lingotto è più libero di agire, l’ad di parlare (iter di Ipo in corso richiede silenzio) e già fra una decina di giorni al salone di Detroit Marchionne potrebbe aggiungere novità a quanto già noto. Il vero piano industriale del Gruppo per i prossimi anni, invece, come annunciato nel corso dell’ultima trimestrale, dovrebbe arrivare in primavera ed a quel punto sarà più chiaro anche il futuro di un paio di stabilimenti italiani (Mirafiori e Cassino) e, soprattutto, quello dell’Alfa Romeo, il brand sul quale ci sono più attenzioni e aspettative. A differenza di Lancia che è già stata ridimensionata (sarà presente in particolare in Italia), il Biscione di Arese (dove c’è uno dei musei di auto più invidiati del mondo che presto potrebbe essere riattivato) ha lo spessore e il carisma per affiancare Jeep come marchio globale del Gruppo. La Giulia è stata fermata più volte, come l’ipotetica nuova ammiraglia. Per entrambe la produzione poteva essere in America. Invece, visto che gli impianti di Chrysler Group dall’altra parte dell’Atlantico viaggiano a piena capacità, è ormai certo che vedranno la luce in Italia. Sul come e quando, però, nessuna certezza. La più grande potrebbe nascere a Grugliasco o Mirafiori, impianto che utilizza il nuovo pianale Maserati, a sua volta derivato da quello della Chrysler 300 (in Europa è in vendita come Thema con poco successo).
CASSINO O MIRAFIORI - Per la Giulia molti indicavano come destinazione naturale Cassino, visto che la vettura avrebbe dovuto avere la piattaforma derivata della Dodge Dart a sua volta evoluzione di quella della Giulietta (è una trazione anteriore) che è prodotta proprio nell’impianto del frusinate. Secondo le ultime indiscrezioni, dopo i tanti stop, Marchionne avrebbe alzato le ambizioni di Giulia che utilizzerebbe una nuova architettura a trazione posteriore già in lavorazione. In quel caso, la base potrebbe diventare Mirafiori che per il momento è stato identificato come «polo piemontese del lusso» insieme a Grugliasco e incaricato di produrre il Suv Maserati dal 2015.
LE INCOGNITE CINA E RUSSIA - L’operazione Tridente sembra funzionare. Già nel 2013 sono stati raccolti 30 mila ordini, molti dei quali dall’estero (anche in altri continenti). Ora l’operazione esportazione per salvare gli impianti italiani in una situazione di pesante crisi di mercato si ripeterà con la piccola Jeep di Melfi che potrà sfruttare il carisma e la rete distributiva (oltre 70 paesi) del brand di Toledo. La prima Jeep prodotta fuori dagli States sarà in vendita anche in Usa e in Cina e potrebbe essere prodotta pure in Brasile. Restano sul tappeto due dossier di grande importanza per il profilo globale dell’azienda che ora è molto americanocentrica: la Cina e la Russia. A Pechino e dintorni le Fiat Viaggio e Ottimo sono in fase di rodaggio, mentre si attende l’annuncio del partner per Jeep e la costruzione di una seconda fabbrica. A Mosca la situazione è più critica e lo stesso Marchionne è in difficoltà quando se ne parla: dopo il fallimento della trattativa quasi conclusa con Sollers non c’è stata ancora alcuna evoluzione.
IL PIANO INDUSTRIALE - Per quanto riguarda l’aspetto industriale e tecnologico, invece, non cambierà molto, se non per una maggiore facilità di azione con un’unica azienda. Da questo punto di vista, infatti, Marchionne aveva messo il carro davanti ai buoi e Fiat e Chrysler già si muovevano come una sola entità con il Gec (comitato strategico ristretto) completamente trasversale alle due società composto da 18 super manager che fanno capo direttamente a Marchionne. Ora il Lingotto è più libero di agire, l’ad di parlare (iter di Ipo in corso richiede silenzio) e già fra una decina di giorni al salone di Detroit Marchionne potrebbe aggiungere novità a quanto già noto. Il vero piano industriale del Gruppo per i prossimi anni, invece, come annunciato nel corso dell’ultima trimestrale, dovrebbe arrivare in primavera ed a quel punto sarà più chiaro anche il futuro di un paio di stabilimenti italiani (Mirafiori e Cassino) e, soprattutto, quello dell’Alfa Romeo, il brand sul quale ci sono più attenzioni e aspettative. A differenza di Lancia che è già stata ridimensionata (sarà presente in particolare in Italia), il Biscione di Arese (dove c’è uno dei musei di auto più invidiati del mondo che presto potrebbe essere riattivato) ha lo spessore e il carisma per affiancare Jeep come marchio globale del Gruppo. La Giulia è stata fermata più volte, come l’ipotetica nuova ammiraglia. Per entrambe la produzione poteva essere in America. Invece, visto che gli impianti di Chrysler Group dall’altra parte dell’Atlantico viaggiano a piena capacità, è ormai certo che vedranno la luce in Italia. Sul come e quando, però, nessuna certezza. La più grande potrebbe nascere a Grugliasco o Mirafiori, impianto che utilizza il nuovo pianale Maserati, a sua volta derivato da quello della Chrysler 300 (in Europa è in vendita come Thema con poco successo).
CASSINO O MIRAFIORI - Per la Giulia molti indicavano come destinazione naturale Cassino, visto che la vettura avrebbe dovuto avere la piattaforma derivata della Dodge Dart a sua volta evoluzione di quella della Giulietta (è una trazione anteriore) che è prodotta proprio nell’impianto del frusinate. Secondo le ultime indiscrezioni, dopo i tanti stop, Marchionne avrebbe alzato le ambizioni di Giulia che utilizzerebbe una nuova architettura a trazione posteriore già in lavorazione. In quel caso, la base potrebbe diventare Mirafiori che per il momento è stato identificato come «polo piemontese del lusso» insieme a Grugliasco e incaricato di produrre il Suv Maserati dal 2015.
LE INCOGNITE CINA E RUSSIA - L’operazione Tridente sembra funzionare. Già nel 2013 sono stati raccolti 30 mila ordini, molti dei quali dall’estero (anche in altri continenti). Ora l’operazione esportazione per salvare gli impianti italiani in una situazione di pesante crisi di mercato si ripeterà con la piccola Jeep di Melfi che potrà sfruttare il carisma e la rete distributiva (oltre 70 paesi) del brand di Toledo. La prima Jeep prodotta fuori dagli States sarà in vendita anche in Usa e in Cina e potrebbe essere prodotta pure in Brasile. Restano sul tappeto due dossier di grande importanza per il profilo globale dell’azienda che ora è molto americanocentrica: la Cina e la Russia. A Pechino e dintorni le Fiat Viaggio e Ottimo sono in fase di rodaggio, mentre si attende l’annuncio del partner per Jeep e la costruzione di una seconda fabbrica. A Mosca la situazione è più critica e lo stesso Marchionne è in difficoltà quando se ne parla: dopo il fallimento della trattativa quasi conclusa con Sollers non c’è stata ancora alcuna evoluzione.
(Fonte: www.ilmessaggero.it - 3/1/2014)
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