Stavo scrivendo un pezzo su Fiat-Chrysler e arriva la notizia, a Capodanno (!), dell'accordo Chrysler-Veba. Per trasparenza verso i lettori, riporto tra virgolette quanto avevo scritto poche ore prima, quindi le mie successive reazioni. «Avete notato? Da qualche mese, salvo brevi cenni nei supplementi economici di Corriere e di Repubblica, non si parla più di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne raramente si palesa. Mi chiedo: tecnica negoziale o oggettiva difficoltà? Una curiosità: mentre il rapporto della stampa italiana con Marchionne è improntato all'affetto (lo vedono come un affidabile orso marsicano), di contro i media specialistici americani, WSJ e Automotive News, via via sono diventati acidi verso di lui. Chissà perché. Da osservatore indipendente (seppur sempre innamorato della mia Fiat Auto, entrata in coma vigile fin dagli anni '90 e tale rimasta) mi sono posto una serie di domande, senza trovare risposte convincenti.
1. Sergio Marchionne fra 5 mesi compirà 10 anni di permanenza al vertice di Fiat, un periodo perfetto, persino per un investitore (risibile) come me, per assegnare meriti e demeriti. Sono stati 10 lunghi anni di dominio assoluto divisi in due periodi: il primo, maggio 2004-marzo 2009, in cui Fiat fu sola, il secondo, aprile 2009-inizio 2014, in cui ci fu Chrysler. Quando Marchionne arrivò, nel maggio del 2004, il titolo valeva 5,74, subito rivelò straordinarie capacità negoziali versus GM e le Banche coinvolte nel «convertendo» e portò a casa l'intera posta. In verità, noi analisti ci dimenticammo di sottolineare che parte del successo doveva essere ascritto a Paolo Fresco per come aveva concepito quei contratti (era un mago, riconosciuto internazionalmente). Nel febbraio del 2009, il primo ciclo quinquennale si concluse per Marchionne con una mazzata: il titolo Fiat scende a 3,54 rispetto ai 5,74 euro del suo arrivo, e il bond venne declassato a «spazzatura» (lo è tuttora): cinque anni buttati. Ma, due mesi dopo, riceve dalle mani di Obama la Chrysler, una bambina molto malata, rifiutata da tutti i costruttori mondiali, quindi dotata di un sontuoso corredino. Lui l'alleva con perizia, e oggi è una giovane donna, all'apparenza robusta. Nel frattempo, scorpora Iveco e CNH, creando valore, mentre Fiat Auto è giunta a possedere il 58,5% di Chrysler, e vale 5,9 euro. La prima domanda è: quanto vale la parte Europa e Brasile del titolo Fiat Auto? A quali criticità, questa, sta andando incontro? Assorbe o no cassa? Ha ancora significato parlare di 6 milioni di auto all'anno (e poi quali auto?), e così via?
2. Il contratto Chrysler prevedeva che Fiat Auto acquistasse, a condizioni predeterminate, il 41.5% di Chrysler in carico al Fondo sindacale Veba. Gli esperti sostengono che Veba abbia un disperato bisogno di quei quattrini per coprire perdite pregresse, che Fiat Auto abbia un'impellente bisogno dell'intera quota per potersi impossessare della cassa Chrysler, eppure nulla avviene. Persino il giudice chiamato a sciogliere il nodo del prezzo per oltre un anno ha fatto melina e la fa tuttora. Perché? I primari Advisor chiamati a valutare Chrysler hanno indicato una forcella fra 10-16 miliardi di dollari. Anche prendendo 10, quindi valutando il pacchetto Veba 4,25 miliardi, perché Marchionne non pare accettare tale prezzo, minimo di mercato? Si stanno affastellando una serie di «perché», incomprensibili a noi laici.
3. Un'altra domanda: «A questo punto, non sarebbe più corretto parlare di Chrysler-Maserati anziché di Fiat-Chrysler?» Dopo la scomparsa del marchio Lancia per mancanza di modelli esisterà ancora, a termine, il marchio Fiat? La 500 si è creata una sua nicchia di «lusso minimale», viene prodotta fuori dell'Italia, vive di vita propria. Gli altri modelli ispirati alla filosofia «vecchia Fiat» (grandi volumi di auto «povere» per mercati e segmenti di popolazione «poveri») sono ormai assenti. Ha ancora un significato oggi il marchio Fiat? Cosa produrranno i suoi stabilimenti italiani? Da dieci anni ci chiediamo: «che sarà del marchio Alfa Romeo»? Dopo svariati piani industriali, uno all'anno, la risposta è sempre la stessa: «In primavera si saprà». E ora c'è il rilancio del marchio Maserati. Ma cosa si intende per «Maserati»: Porsche o Audi? Sono cose diverse, per posizionamento, clienti, volumi, fatturati. Momento curioso per Fiat, nulla sappiamo della trattativa con Veba, nulla dei prodotti e dei marchi, nulla del Brasile, di come colà Fiat potrà difendere la propria leadership di quota, quando i grandi investimenti cha sta facendo VW diventeranno operativi. Senza informazioni impossibile fare analisi. Anche l'acquisto della quota Veba risponde agli shareholder, solo in parte ai problemi degli stakeholder.
4. Il 2014 sarà l'anno ove tutte queste domande troveranno una risposta: ho provato a fare varie simulazioni, ma le variabili sono troppe per cui ho desistito. In quel magico 2009, dopo tre fallimenti in 50 anni di Chrysler, Obama pensò che «assegnandola» a Fiat avrebbe risolto per sempre i suoi problemi. In quei giorni il Governo italiano e noi cittadini (persino Rifondazione Comunista) ci innamorammo di Sergio Marchionne, tutti gonfiammo il petto per la prossima conquista dell'America, per i nostri motori «verdi» grazie al MultiAir. Noi liberali poi, ci eccitammo di fronte all'approccio di Marchionne verso la Fiom, l'uscita da Confindustria la vivemmo come un definitivo cambio di paradigma, credemmo al sontuoso progetto da 20 miliardi detto «Fabbrica Italia». Su come andò a finire, meglio stendere un velo».
Da poche ore sappiamo che, con un colpo da maestro, mentre noi brindavamo (chissà poi a che cosa) Sergio Marchionne lavorava e acquisiva il 41,5%, pagandolo una cifra modesta, con modalità «para- umilianti» per il venditore. Perché? Era errata la valutazione degli Advisor di 10-16 miliardi? Quelli di Veba sono alla canna del gas? Oppure non credono al futuro di Chrysler e pensano che sia meglio monetizzare? Non lo sapremo mai. Comunque sia, l'obiettivo prioritario di impossessarsi della «cassa» di Chrysler è riuscito. Almeno a una delle domande di cui sopra oggi abbiamo una risposta: sappiamo quanto vale Chrysler e, per differenza, la borsa ci dirà quando vale Fiat Auto. Aspettiamo solo alcuni mesi, quando l'euforia odierna scemerà. Riconosciamo fin d'ora agli Agnelli il sacrificio fatto: come Exor, hanno venduto un gioiello come SGS per pagare il cash a Veba, come Fiat, hanno «girato» a Veba il dividendo straordinario di loro spettanza. Chapeau! Noi (risibili) shareholder siamo felici, e ringraziamo Marchionne: in questi giorni di euforia, se vogliamo, possiamo passare alla cassa e monetizzare. Nei prossimi mesi capiremo come andrà ai nostri amici stakeholder. Ma è un altro film, ben più complesso. Questo è il momento di festeggiare. Ai debiti, agli investimenti per i nuovi modelli (i modelli «tedeschi» ereditati stanno invecchiando), agli stabilimenti italiani, alle valutazioni di Moody's post acquisizione, ci penseremo da domani, gli shareholder rimasti e gli stakeholder costretti.
1. Sergio Marchionne fra 5 mesi compirà 10 anni di permanenza al vertice di Fiat, un periodo perfetto, persino per un investitore (risibile) come me, per assegnare meriti e demeriti. Sono stati 10 lunghi anni di dominio assoluto divisi in due periodi: il primo, maggio 2004-marzo 2009, in cui Fiat fu sola, il secondo, aprile 2009-inizio 2014, in cui ci fu Chrysler. Quando Marchionne arrivò, nel maggio del 2004, il titolo valeva 5,74, subito rivelò straordinarie capacità negoziali versus GM e le Banche coinvolte nel «convertendo» e portò a casa l'intera posta. In verità, noi analisti ci dimenticammo di sottolineare che parte del successo doveva essere ascritto a Paolo Fresco per come aveva concepito quei contratti (era un mago, riconosciuto internazionalmente). Nel febbraio del 2009, il primo ciclo quinquennale si concluse per Marchionne con una mazzata: il titolo Fiat scende a 3,54 rispetto ai 5,74 euro del suo arrivo, e il bond venne declassato a «spazzatura» (lo è tuttora): cinque anni buttati. Ma, due mesi dopo, riceve dalle mani di Obama la Chrysler, una bambina molto malata, rifiutata da tutti i costruttori mondiali, quindi dotata di un sontuoso corredino. Lui l'alleva con perizia, e oggi è una giovane donna, all'apparenza robusta. Nel frattempo, scorpora Iveco e CNH, creando valore, mentre Fiat Auto è giunta a possedere il 58,5% di Chrysler, e vale 5,9 euro. La prima domanda è: quanto vale la parte Europa e Brasile del titolo Fiat Auto? A quali criticità, questa, sta andando incontro? Assorbe o no cassa? Ha ancora significato parlare di 6 milioni di auto all'anno (e poi quali auto?), e così via?
2. Il contratto Chrysler prevedeva che Fiat Auto acquistasse, a condizioni predeterminate, il 41.5% di Chrysler in carico al Fondo sindacale Veba. Gli esperti sostengono che Veba abbia un disperato bisogno di quei quattrini per coprire perdite pregresse, che Fiat Auto abbia un'impellente bisogno dell'intera quota per potersi impossessare della cassa Chrysler, eppure nulla avviene. Persino il giudice chiamato a sciogliere il nodo del prezzo per oltre un anno ha fatto melina e la fa tuttora. Perché? I primari Advisor chiamati a valutare Chrysler hanno indicato una forcella fra 10-16 miliardi di dollari. Anche prendendo 10, quindi valutando il pacchetto Veba 4,25 miliardi, perché Marchionne non pare accettare tale prezzo, minimo di mercato? Si stanno affastellando una serie di «perché», incomprensibili a noi laici.
3. Un'altra domanda: «A questo punto, non sarebbe più corretto parlare di Chrysler-Maserati anziché di Fiat-Chrysler?» Dopo la scomparsa del marchio Lancia per mancanza di modelli esisterà ancora, a termine, il marchio Fiat? La 500 si è creata una sua nicchia di «lusso minimale», viene prodotta fuori dell'Italia, vive di vita propria. Gli altri modelli ispirati alla filosofia «vecchia Fiat» (grandi volumi di auto «povere» per mercati e segmenti di popolazione «poveri») sono ormai assenti. Ha ancora un significato oggi il marchio Fiat? Cosa produrranno i suoi stabilimenti italiani? Da dieci anni ci chiediamo: «che sarà del marchio Alfa Romeo»? Dopo svariati piani industriali, uno all'anno, la risposta è sempre la stessa: «In primavera si saprà». E ora c'è il rilancio del marchio Maserati. Ma cosa si intende per «Maserati»: Porsche o Audi? Sono cose diverse, per posizionamento, clienti, volumi, fatturati. Momento curioso per Fiat, nulla sappiamo della trattativa con Veba, nulla dei prodotti e dei marchi, nulla del Brasile, di come colà Fiat potrà difendere la propria leadership di quota, quando i grandi investimenti cha sta facendo VW diventeranno operativi. Senza informazioni impossibile fare analisi. Anche l'acquisto della quota Veba risponde agli shareholder, solo in parte ai problemi degli stakeholder.
4. Il 2014 sarà l'anno ove tutte queste domande troveranno una risposta: ho provato a fare varie simulazioni, ma le variabili sono troppe per cui ho desistito. In quel magico 2009, dopo tre fallimenti in 50 anni di Chrysler, Obama pensò che «assegnandola» a Fiat avrebbe risolto per sempre i suoi problemi. In quei giorni il Governo italiano e noi cittadini (persino Rifondazione Comunista) ci innamorammo di Sergio Marchionne, tutti gonfiammo il petto per la prossima conquista dell'America, per i nostri motori «verdi» grazie al MultiAir. Noi liberali poi, ci eccitammo di fronte all'approccio di Marchionne verso la Fiom, l'uscita da Confindustria la vivemmo come un definitivo cambio di paradigma, credemmo al sontuoso progetto da 20 miliardi detto «Fabbrica Italia». Su come andò a finire, meglio stendere un velo».
Da poche ore sappiamo che, con un colpo da maestro, mentre noi brindavamo (chissà poi a che cosa) Sergio Marchionne lavorava e acquisiva il 41,5%, pagandolo una cifra modesta, con modalità «para- umilianti» per il venditore. Perché? Era errata la valutazione degli Advisor di 10-16 miliardi? Quelli di Veba sono alla canna del gas? Oppure non credono al futuro di Chrysler e pensano che sia meglio monetizzare? Non lo sapremo mai. Comunque sia, l'obiettivo prioritario di impossessarsi della «cassa» di Chrysler è riuscito. Almeno a una delle domande di cui sopra oggi abbiamo una risposta: sappiamo quanto vale Chrysler e, per differenza, la borsa ci dirà quando vale Fiat Auto. Aspettiamo solo alcuni mesi, quando l'euforia odierna scemerà. Riconosciamo fin d'ora agli Agnelli il sacrificio fatto: come Exor, hanno venduto un gioiello come SGS per pagare il cash a Veba, come Fiat, hanno «girato» a Veba il dividendo straordinario di loro spettanza. Chapeau! Noi (risibili) shareholder siamo felici, e ringraziamo Marchionne: in questi giorni di euforia, se vogliamo, possiamo passare alla cassa e monetizzare. Nei prossimi mesi capiremo come andrà ai nostri amici stakeholder. Ma è un altro film, ben più complesso. Questo è il momento di festeggiare. Ai debiti, agli investimenti per i nuovi modelli (i modelli «tedeschi» ereditati stanno invecchiando), agli stabilimenti italiani, alle valutazioni di Moody's post acquisizione, ci penseremo da domani, gli shareholder rimasti e gli stakeholder costretti.
(Fonte: www.italiaoggi.it - 3/1/2014)
Si, mi associo a questo magistrale commento scritto con l'anima e il cuore di chi ha conosciuto le gioie, le ansie e le disperazioni della responsabilità di gestione di grosse aziende. Il "secondo tempo" inizia con il 2014 e si prospetta ancora più critico e difficile del primo tempo perché in Europa non esiste un governo USA efficiente ed pari di Obama, anzi i partner europei si stanno trasformando in pescecani pronti ad inghiottirci alla prima debolezza. Ve la ricordate la proposta di acquisizione dell'OPEL che reazioni ha scatenato? Le previsioni del top management VW suonano molto sinistre mentre il sistema Italia mostra grandi debolezze e non si vedono azioni decisive di risanamento. La fuga dall'Italia, dall'Europa e dall'euro della storica impresa FIAT ha un significato pesante per chi crede nel mercato e nella libera iniziativa in questo paese. Diciamolo chiaro" il fallimento della FIAT è anche il fallimento dell'Italia".
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