Dal 2001 al 2013 il gruppo Fiat ha quasi dimezzato la sua quota mercato in Europa, passata dal 10,2 al 5,5% di settembre. A incidere sui dati negativi dei marchi del Lingotto (Fiat, Alfa Romeo, Lancia/Chrysler, Maserati, Ferrari e Jeep, tutti con il segno meno tra gennaio e settembre) continua a essere la performance nera del gruppo in Italia (-11,7%), legata anche a un mercato da mesi in caduta libera: -8,3% dall'inizio dell'anno a fronte, invece, dei segnali di ripresa del Vecchio continente: +5,5% in settembre, grazie soprattutto alla zona non euro (+11,7% rispetto al +1,2% dei mercati euro: +1,2%). Tralasciando «la volontà di Fiat di mantenere il valore dei marchi e sostenere la rete di vendita senza accettare la battaglia sui prezzi in corso in Italia», come spiega una nota, le ragioni della graduale riduzione della quota in Europa, tranne alcuni picchi, ma sempre a una cifra, va ricercata nella strategia che il gruppo ha adottato nel corso degli anni. E così, se un tempo 1 europeo «motorizzato» su 10 possedeva una vettura del Lingotto, ora, all'incirca, è 1 su 20 a guidare una macchina torinese. Tre i punti su cui soffermarsi: l'Italia, che da mercato principe del gruppo, è diventata via via sempre più marginale, incidendo così sui dati nel contesto europeo; la politica dei prodotti, che ha assottigliato il portafoglio a disposizione dei singoli marchi principali (nel segmento C, quello della Volkswagen Golf e della Peugeot 308, per intenderci, Fiat ha perso sempre più posizioni) e lo stesso vale per il segmento B (utilitarie) che attende ancora l'erede della stanca Punto; quindi, il ritardo, ormai cronico, nel rispondere all'evoluzione del mercato in fatto di modelli (mini-car, Suv e crossover compatti) e motorizzazioni (ibrido, in particolare, e anche elettrico). E intanto, oltre ai tedeschi e ai francesi (seppur in difficoltà Peugeot e Citroën continuano a lanciare novità), la minaccia più importante da qualche anno a questa parte proviene dagli agguerriti coreani (Hyundai e Kia). In parole povere, alcuni produttori hanno approfittato del «vuoto» italiano, rosicchiando quote di mercato al Lingotto, investendo di più e sfornando modelli di nuovo design e competitivi in termini di costi produzione, investimenti e di prezzo d'acquisto. Per non parlare dei benefici apportati dalle recenti metodologie di ottimizzazione (logiche modulari e megapiattaforme con alta comunanza di componenti), che Fiat sta applicando solo ora grazie alle sinergie con Chrysler. «Quello che allarma di più - commenta un analista - è il rallentamento riferito agli investimenti per alcuni prodotti target del mercato europeo, limitando di fatto il potenziale del Lingotto nei segmenti B e C, molto importanti in termini di volumi per il mercato europeo». In questi ultimi, infatti, troviamo Punto, MiTo e Ypsilon (B) e Bravo, Giulietta e Delta (C) che, per quanto valide vetture, non riescono più ad arginare la concorrenza di vetture più fresche proposte dai rivali. «I recenti lanci di nuova Panda e 500L, rispettivamente dei segmenti A e B - aggiunge l'analista - sono solo il primo passo per poter garantire la ripresa di Fiat nel Vecchio continente. Resta da vedere cosa ha in serbo il Lingotto quando il mercato si riprenderà del tutto, anche se sarà sempre tardi». C'è poi il caso Italia, Paese che prima dell'avvento di Sergio Marchionne alla guida del gruppo era considerato strategico, tanto che un suo predecessore, Roberto Testore, nel novembre del 2000 si era lanciato nel prevedere per il 2001 il salto dall'allora 36,8 al 40% di quota. A distanza di quasi 13 anni, il peso del gruppo nel Paese si è ridotto al 29%. Marchionne ha rivolto l'attenzione agli Stati Uniti e al Sudamerica, in attesa di segnali dall'Asia, trasformando Fiat (con Chrysler) in un gruppo globale. «Ma senza un'Italia più forte e nuovi prodotti, l'Europa per Fiat sarà sempre più un problema», ammette un ex.
(Fonte: www.ilgiornale.it - 17/10/2013)
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