Contiamo di andare avanti, i programmi sono stati annunciati e puntiamo a portarli a conclusione». L’amministratore delegato di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne, piomba a sorpresa da Torino alla prima giornata del Meeting di cielle di Rimini - l’anno scorso era intervenuto sul palco come ospite - e subito sgombra gli equivoci sugli investimenti del Lingotto in Italia. Replicando indirettamente alla lettera aperta indirizzatagli ieri mattina da Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera. «Ho letto l’articolo di Gramellini su La Stampa e l’ho trovato molto più incoraggiante per quanto riguarda il futuro dell’Italia», glissa ironicamente. Insomma «parliamo del futuro del Paese e non di me», taglia corto Marchionne, soprattutto con chi gli chiede un commento sulla richiesta che arriva da più parti di «un cambio di passo. L’azienda finanziariamente è solida, abbiamo creato una buona cassa», tranquillizza il manager italocanadese di buon umore, una sigaretta via l’altra, inconfondibili polo e pantaloni neri. Anche sull’andamento delle vendite di Fiat Cinquecento negli U.S.A. non si mostra preoccupato: «Guardate - spiega ai cronisti che lo interrogano - vendiamo 4 milioni di auto nel mondo, se quest’anno arriveremo a 35mila invece che a 50mila non succede niente». Piuttosto è l’ottovolante internazionale ad essere maledettamente complicato, a partire dal mercato statunitense e da quelli in frenata cinese e brasiliano, «con numerosi atteggiamenti irrazionali», ammette Marchionne. Si prenda la borsa. «I listini sono tutti in ribasso pesante, ne parlavo prima anche con Corrado Passera, la verità è che siamo tutti sulla stessa barca... » Dentro lo scenario globale c’è però una difficoltà tutta italiana, un sistema ingolfato da troppo tempo e una politica che fatica a trovare soluzioni. Sulla manovra correttiva in corso di approvazione, l’amministratore delegato del Lingotto non commenta direttamente le singole scelte, piuttosto vuol lanciare un monito forte e chiaro: «è una cosa che devono gestire i politici, non è il mio mestiere, ma la cosa importante è riacquistare credibilità a livello internazionale per finanziare il debito. Questo è il problema immediato perché se non lo facciamo, i mercati finanziari non crederanno nell’Italia», spiega passeggiando tra gli stand della fiera, interrotto da molti che gli chiedono la ragione della sua improvvisata riminese. «Sono venuto per ascoltare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: è un uomo che stimo immensamente e un punto di riferimento per il Paese in questo momento difficile», conferma. «Ora è il momento di essere tutti italiani e non uomini di partito... », scandisce il manager quasi a rimarcare l’abisso tra il Colle e il teatrino della politica nostrana. A proposito. Il discorso del presidente? «Perfetto, non avrei cambiato una virgola», chiosa Marchionne. Prima di fare un altro accenno industriale sulla joint venture tra Fiat e il gruppo automobilistico indiano Tata: «l’operazione procede - spiega - ma cambieranno i termini dell’alleanza». Nella prima giornata riminese il Ceo del Lingotto non è stato però l’unico manager di un grande gruppo presente in fiera, anzi. Nel salottino vip prima, e poi nel grande auditorium ad ascoltare l’intervento del presidente della Repubblica, c’era un bel pezzo di capitalismo italiano in trincea nella bufera della crisi, simbolicamente corso al capezzale del Colle. Di certo non solo in visita di cortesia. Oltre a Marchionne c’erano infatti l’amministratore delegato di Intesa San Paolo, Corrado Passera, quello di Trenitalia, Mauro Moretti, e di Enel Fulvio Conti. Come dire industria, energia, credito e trasporti. Scortati dai padroni di casa Bernhard Scholz (presidente della Compagnia delle Opere) e Giorgio Vittadini (fondazione per la Sussidiarietà), i parlamentari dell’intergruppo, Maurizio Lupi (Pdl) ed Enrico Letta (Pd), il neo ministro Anna Maria Bernini per il governo e molti altri imprenditori e manager di area. Tutti a consulto dal capo dello Stato su crisi economica e scenari autunnali, con il meeting a fare da sfondo. Le stime di tutti gli istituti di ricerca prevedono una ripresa calda, con posti di lavoro in perdita, consumi stagnanti, borse a terra e quote di mercato in calo sui mercati tradizionali. Difficile affrontare così la tempesta, tanto più in un clima politico bellicoso e davanti ad una manovra in via di approvazione sbilanciata sul lato dei tagli e con pochi stimoli all’economia reale. «Napolitano? Probabilmente oggi è l’unico esponente istituzionale all’altezza dei tempi», racconta uno dei presenti al salottino privato. Oltre alla politica, adesso anche il mondo dell’economia si appella al Colle per evitare l’abisso e tentare di ripartire...
(Fonte: www.lastampa.it - 22/8/2011)
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