martedì 5 febbraio 2013

Marchionne a Ezio Mauro (la Repubblica): "Fusione Fiat-Chrysler nel 2014"


Nessuna chiusura di stabilimenti, anzi piena occupazione nelle fabbriche italiane della Fiat «anche prima dei 3-4 anni previsti». Le auto di lusso, Alfa Romeo e Maserati, nuova frontiera degli impianti del Belpaese, con un occhio di riguardo a Mirafiori che affiancherà il polo Maserati di Grugliasco. Fusione fra Fiat e Chrysler entro il 2014. Ma anche una dura polemica con Volkswagen e la Fiom di Maurizio Landini. E’ un Sergio Marchionne scoppiettante quello che ieri si sottopone per un’ora e mezza, alle domande del direttore di Repubblica, Ezio Mauro, nell’intervista pubblica organizzata al teatro Carignano di Torino. Tutta l’attuale occupazione del Lingotto è confermata. «L’impegno che abbiamo preso è quello di portare tutti in casa. Lo ripeto - dice Marchionne rivolto alla platea torinese - Mirafiori non si chiude e con Grugliasco diventerà il polo del lusso». L’ad di Fiat non svela, però, le sue carte e spiega perché. «Minacciare la concorrenza con una vettura non pronta non è una buona idea. Se bisogna fare a botte, bisogna presentarsi con i guantoni. C’è grande spazio nel mercato premium. Io vedo la ripresa fuori dall’Europa. Se siamo intelligenti riusciremo a fare una cosa molto diversa dai tedeschi». Già, i tedeschi, ossia la Volkswagen. Il manager col maglioncino nero lo confessa: non li ama. «Faccio fatica a pronunciare quel nome, mi devo allenare ogni mattina. Li ammiro per il grande lavoro fatto negli ultimi trent’anni, ma non sopporto l’arroganza. Non mi vergogno di essere italiano e non devo niente a nessun tedesco. Cosa devo imparare dai tedeschi? Ci sono momenti in cui bisogna essere orgogliosi di essere italiani. E uno di questi sarà a marzo al salone di Ginevra. Presenteremo l’auto più costosa del mondo, la nuova Ferrari. E la facciamo in Italia, con operai italiani». Sembra un fiume in piena, Marchionne. «L’Alfa Romeo? L’ho detto 200 mila volte che non è in vendita. Sarà uno dei marchi premium su cui puntiamo. Non la vendiamo certo. Men che meno a loro, a Volkswagen». L’ad del Lingotto fa autocritica. «Il mio sbaglio più grande in Fiat è stato annunciare pubblicamente Fabbrica Italia. E’ stata una imbecillaggine eccezionale e non perché quella fosse un’idea sbagliata. Se avessimo fatto quell’annuncio altrove, in America, in Brasile o in Canada, tutti avrebbero capito che la proposta era condizionata dalla reale situazione di mercato. Allora le previsioni del mercato europeo si attestavano su 15-16 milioni di vetture. Con quelle condizioni lì, lanciare Fabbrica Italia era un discorso razionale, ma in un mercato che andava in direzione opposta sarebbe stato micidiale: la Fiat falliva». Da qui, di fronte a un mercato depresso, anche la decisione di non lanciare nuovi modelli. «Ci sono momenti - spiega - in cui è meglio alzarsi dal tavolo e non fare le cose piuttosto che mettersi a farle. Come a poker. Fiat è cambiata drasticamente negli ultimi nove anni, oggi va intesa come una realtà internazionale in grado di bilanciare le proprie attività a seconda dell’andamento dei diversi mercati. Un atout che non tutte le case europee sono oggi in grado di giocarsi, soprattutto in un mercato come quello del Vecchio Continente appesantito dalla sovraccapacità produttiva. Il mercato U.S.A. nel 2009 era a 10 milioni di vetture, quest’anno sta andando verso i 15 milioni. C’è spazio per i nostri marchi». Poi ricorda che oggi i francesi che hanno lanciato una sfilza di prodotti perdono 200 milioni di euro al mese. E sentenzia: «Se io dovessi perdere quella cifra al mese, non durerei più di un paio d’anni». Una strategia, assicura il manager italo canadese, totalmente condivisa con gli azionisti. «Sono nove anni che lavoro con John Elkann e non c’è mai stato un momento di divergenza di opinioni tra noi. Le scelte sono state condivise e appoggiate in maniera chiara da parte della famiglia Agnelli. Senza di loro oggi la Fiat non ci sarebbe. Per quello che ne so, la famiglia non ha venduto un’azione Fiat da quando ci sono io. Negli ultimi vent’anni la famiglia Agnelli non si è sottratta ad aumenti di capitale per ripianare le perdite». Dura la risposta al leader della Fiom, Landini, che proprio a Torino ha chiesto di riaprire un tavolo di confronto con Fiat. «Credo che sia presuntuoso chiedere che si riapra un tavolo quando tutti gli altri sindacati hanno scelto di condividere con noi un altro percorso. A Landini dico che deve far pace con gli altri sindacati. Non può schierarsi contro la maggioranza dei lavoratori della Fiat. Non può credere di rappresentare la maggioranza degli stabilimenti se non è firmatario del contratto. Non fa parte della democrazia. E’ una cosa sbagliata. Consiglierei di trovare un metodo per collaborare con gli altri sindacati e di presentarsi in maniera compatta. Conviene a tutti». E ancora: «O si fida del management come fanno gli altri sindacati, non solo in Italia, o non ha senso. Lui non conosce i mercati mondiali. Il signor Landini ha messo in dubbio la nostra capacità di fare auto di lusso. Ma scherziamo? Vada a fare altro». Poi la stoccata finale: «Non so quando Landini sia stato eletto, ma fino alla sua entrata non ho avuto problemi a fare accordi con la Fiom». L’ultima battuta è sulle elezioni. Cosa si aspetta Marchionne dopo il voto? «Che come premier arrivi una persona seria che prenda impegni e li rispetti. Non basta che faccia fare i sacrifici, è necessario che dica anche a che cosa servono. Il nuovo governo deve far ripartire l’economia e rilanciare i consumi».
(Fonte: www.lastampa.it - 4/2/2013)

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