Tempo fa, uno di voi, mi aveva chiesto (un po’ indignato per il fatto che la Fiat producesse vetture fuori dall’Italia) di verificare se anche gli altri costruttori più importanti si comportavano allo stesso modo sottolineando che a suo avviso tedeschi e soprattutto francesi mai si sarebbero sognati di fare altrettanto perché loro governi non gliel’avrebbero mai permesso. Ricordo di aver risposto che si sbagliava, ma non avevo sottomano un quadro preciso, stabilimento per stabilimento, per sostenere con forza la mia tesi. Adesso invece sono preparatissimo e per vostra curiosità vi offro una panoramica molto interessante su come si articola la geografia mondiale dell’auto. In testa a tutti c’è la General Motors, che produce automobili in 24 differenti Paesi, seguita dalla Ford con 22 e dalla Toyota con 21. A seguire c’è poi la Renault-Nissan, che ha fabbriche in 20 paesi e precede la Volkswagen che si ferma a 19, quindi c’è il vuoto. Fiat con Chrysler produce in 14 stati differenti, la Honda in 13, Peugeot-Citroen in 12, Hyundai-Kia in 10, la Mitsubishi in 9, la Suzuki in 8 per chiudere con Bmw e Mercedes che fabbricano in 6 paesi diversi. Come si vede, la globalizzazione domina la scena e da qui si capisce che non si può essere competitivi (agli alti vertici) se non si delocalizza la produzione o dove più conviene perché ci sono aiuti esterni, o dove la manodopera costa di meno, oppure ancora dove si debbono servire mercati specifici con prodotti costruiti “su misura”. Oggi la produzione mondiale tira eccome, e questo cozza contro un mercato europeo in piena crisi di vendite e con una sovrapproduzione esagerata che riempie i piazzali di auto invendute. Oggi l’Italia è scesa al 16° posto nel mondo in quanto a produzione e lotta sul filo delle centinaia di unità con la Turchia mentre l’Iran ci è davanti producendo il 50% in più di noi. Soltanto vent’anni fa ci saremmo messi a ridere pensando a paesi grandi produttori di auto che si chiamano non solo Brasile, Cina, India o Corea del Sud, ma anche Messico, Repubblica Ceca o Polonia (per non parlare di Romania, Ungheria, Slovenia oppure Argentina, Tailandia, Malesia, Indonesia, Taiwan o Uzbekistan) e l’idea che l’ex-grande Svezia se la giochi con il Pakistan o con il Vietnam mette un po’ i brividi. Ce ne faremo una ragione? Mi sa proprio di sì: i nuovi mercati sono sempre più presenti nel nostro vivere quotidiano. Mescoliamo le razze e mescoliamo le cose, niente sarà più come prima. E credo che sia sempre stato così anche nei secoli scorsi, sebbene con ritmi forzatamente più lenti.
(Fonte: http://viamazzocchi.quattroruote.it - 23/11/2011)
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