lunedì 2 novembre 2009

Detroit News: nessuno scontro culturale tra Fiat e Chrysler


Quella tra Fiat e Chrysler è una collaborazione vera, che non porta alcun scontro culturale. È l’opinione raccolta in un reportage del quotidiano “Detroit News”, da sempre molto attento a quello che succede tra le maestranze delle case automobilistiche e ai loro umori. L’opinione è stata raccolta tra gli operai e tra quanti, accademici e analisti, stanno osservando il processo e lo stile messo in atto dalla Casa di Torino per entrare nelle stanze di Auburn Hills. Le prime impressioni sono positive e il confronto con i tedeschi di Mercedes è inevitabile. Certo le differenze culturali non possono essere ignorate e riguardano i modi e le idee. Se un americano è disponibile ad un meeting alle 7 del mattino, un italiano preferisce farlo più tardi e intrattenersi con i colleghi di lavoro a cena fino alle 10 di sera quando a Detroit tutti o quasi sono già a letto; e se un italiano celebra i vantaggi delle auto piccole, quelli di Oltreoceano cercano di spiegare l’importanza e il valore di un V8-Hemi e di un pick-up grande come un appartamento italiano per il cliente americano. In ogni caso, tali distanze non stanno emergendo come un fattore di divisione. A Auburn Hills in questi giorni girano molti meno italiani dei tedeschi che si vedevano nel 1998 dopo la costituzione della Daimler-Chrysler, ma si limitano ad occupare posti chiave e, secondo quanto raccontato, sono più occupati ad ascoltare e capire piuttosto che imporre le proprie regole. Oltretutto, i viaggi da Torino a Detroit sono ridotti al minimo e riguardano solo poche persone, mentre da Stoccarda il jet aziendale partiva 3 volte a settimana portando i manager tedeschi in giro per tutte le strutture di Chrysler. La differenza è esemplificata da Mike Aberlich, pensionato nel 2007 dopo 24 anni in azienda: «È una collaborazione per inclusione. Quelli di Fiat ci stanno dicendo: ecco le nostre piattaforme e le vostre tecnologie. Che cosa volete che ne facciamo?». Mentre sul periodo “tedesco” dice: «La gente qui aveva paura di perdere il proprio posto per lasciarlo alla propria controparte tedesca. E poi fare le cose nel modo migliore significava farlo nel loro modo». Insomma, anche queste cronache confermano che non si trattò di fusione, ma di un assorbimento condotto con la convinzione da parte di Daimler di essere il lato nobile dell’allenza. Questo la autorizzava a dare lezioni e, allo stesso tempo, ad avere una paura sacra di contaminare il proprio brand e i propri prodotti con quelli della propria controparte americana. Così la dipingono Gerald Meyers, professore all’Università del Michigan, Joe Phillippi, analista della AutoTrends Consulting. Le incomprensioni e un clima di sospetto sono state inevitabili. Questo non toglie che, se c’è una cosa che accomuna Fiat e Chrysler, è quella di essere molto radicate e caratterizzate dalle rispettive bandiere e questo ora non costituisce un problema essenzialmente per due motivi, secondo Rebecca Lindland, direttore della Automotive Industry Research per IHS Global Insight: il fatto che ci sia molto da fare e che ci si trovi in una situazione di emergenza. In poche parole, Chrysler sa che senza Fiat è condannata a morte e quest’ultima sa che nella riuscita di questa impresa gioca buona parte del suo futuro. La Lindland è comunque convinta che da parte di Fiat ci sia una migliore comprensione degli obiettivi di Chrysler. Questo clima di fiducia che arriva fino agli operai ha sicuramente un effetto positivo secondo Gerald Meyers, ma il momento della verità arriverà alla presentazione del piano quinquennale prevista per il 4 novembre. «Se non vedranno la possibilità di successo – dice il professore americano – ci sarà lo scontro culturale». Per ora invece, testa bassa e lavorare.
(Fonte: http://detnews.com - 2/11/2009)

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