venerdì 3 aprile 2009

Kissinger: "Tra Fiat e Chrysler le nozze ideali per battere la crisi"


ROMA - "Quello fra Fiat e Chrysler è un ottimo matrimonio, una perfetta alleanza fra due case molto diverse come prodotto e mercati, ma proprio per questo assai complementari. E questo l'ho detto anche a Sergio Marchionne quando siamo andati l'altra sera a cena". Ma le ha chiesto una consulenza? "Oh no, niente di formale. Mi sono limitato a dirgli quanto sia importante per tutte e due le aziende questa joint-venture". Henry Kissinger, che quand'era consigliere per la sicurezza nazionale (dal 1968 al '75) e Segretario di Stato (1973-77) era uno degli uomini più potenti del mondo, è tuttora, a 85 anni, un ascoltatissimo esperto di politica estera. Ma anche, a suo modo, un esperto di auto e in particolare di Fiat, per il semplice fatto che per lui Giovanni Agnelli era "il miglior amico che abbia mai avuto: per trent'anni - ci dice lo stesso Kissinger al telefono dal suo ufficio di New York - ci siamo sentiti due-tre volte a settimana, e ci siamo incontrati spessissimo in qualche parte del mondo". Insieme dalla Trilateral alle partite della Juventus, dai concerti di Pavarotti al Metropolitan fino al consiglio d'amministrazione della Fiat di cui Kissinger è stato a lungo consulente. Mai uno screzio, o un gesto che indicasse meno di un grande rispetto reciproco. E lacrime sincere al funerale dell'avvocato nel gennaio 2003. Insomma quello fra Fiat e Chrysler è un buon accordo? "Direi proprio di sì. Quanto di meglio le due aziende si potessero augurare per risolvere la situazione attuale che è terribile". Chi può dirsi più fortunata, la Fiat o la Chrysler? "Entrambe. La Fiat ha fatto un eccezionale lavoro di risanamento, che ha colpito moltissimo tutti qui in America. Guardi, questa potrebbe essere la mossa giusta per dare una svolta alla crisi, almeno quella industriale, e dare una scossa di ottimismo all'intero settore. Mi creda, l'avvocato Agnelli sarebbe felicissimo di vedere com'è andata a finire. Era un suo grande rimpianto che la Fiat non avesse sfondato sul mercato americano, e non riuscisse ad entrarci. Ricordo quando riflettevamo insieme su quanto erano diverse le macchine americane da quelle italiane, e più e più volte ci siamo messi insieme a pensare a come sarebbe stato possibile architettare un ritorno, ma purtroppo non c'è mai stato il momento adatto". Ora questo momento sembra arrivato, proprio al fondo della crisi più spaventosa. Ma Obama ha fatto bene ad assumere un atteggiamento così duro verso i dirigenti di Gm e Chrysler? "Certo. Non perché volesse accanirsi contro di loro, né perché volesse addossargli tutte le colpe, ma perché qui si tratta di elargire miliardi di dollari pubblici, e in questa situazione l'amministrazione non può permettersi di sprecare nemmeno un centesimo. Né su questo né su tutti gli altri fronti su cui è impegnata. L'auto è un settore troppo cruciale, per l'America e per il mondo, e il momento è davvero difficilissimo per tutti". Gli azionisti della Fiat, memori della volontà dell'avvocato, tengono più di ogni altra cosa all'identità dell'azienda. Pensa che la Fiat manterrà la sua indipendenza? "Naturalmente. La Fiat non ha perso la sua indipendenza, così come non l'ha persa la Chrysler. La Fiat era la cosa più importante della vita di Agnelli, me l'ha ripetuto decine di volte. La Fiat e, direi, l'arte: Gianni voleva "educarmi" all'Italia, farmela apprezzare fino in fondo, e così in sua compagnia ho visitato Siena, Venezia, Firenze, ma soprattutto Napoli, la città di sua moglie, ricca di musei, vestigia, citazioni. Amava Napoli, la trovava eccitante e stimolante. E io mi divertivo moltissimo ad andarci in sua compagnia". Ricorda quand'è stata la prima volta che vi siete incontrati? "Fu al Quirinale, durante un ricevimento di Stato all'inizio degli anni '70. Io ero venuto in Italia insieme al presidente Nixon. Da allora siamo rimasti sempre in contatto. Ci vedevamo nelle sue case in Italia e a New York, andavamo in vacanza insieme a St. Moritz e Aspen. Parlavamo anche di politica, ovviamente, e lui mi diceva spesso che invidiava il pragmatismo dei dirigenti americani. Ma non mi ha mai detto che voleva trasferirsi in America: amava il vostro paese, e Torino prima di tutto". Nel 2002 in un discorso tenuto al Senato di Roma lei disse: venni nel vostro paese per la prima volta nel 1946 e se qualcuno mi avesse detto allora che l'Italia sarebbe diventata così sviluppata, avrei pensato che scherzasse. Ripeterebbe oggi le stesse parole? "Sì, e con grande convinzione. L'Italia ha raggiunto traguardi straordinari, e non c'è nessun motivo perché non debba restare all'altezza. La crisi attuale riguarda tutto il mondo, e l'Italia è attrezzata alla pari dei migliori paesi per superarla".
(Fonte: http://finanza.repubblica.it - 2/4/2009)

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