Sul rettilineo della via Mantova, a Cremona, Baconin Borzacchini la fece entrare nella storia, la V4 Sport. Correva il 1929 e il pilota - che si chiamava così perché il babbo stravedeva per l’anarchico Bakunin - spinse la biposto rossa a bruciare i dieci chilometri delle stradone dritto come un fuso alla tremenda media di 246 all’ora. Record del mondo, naturalmente. Adesso la V4 è verde, il suo proprietario è un collezionista americano e per esporla insieme alle altre affascinanti colleghe di marca è stata assicurata per 20 milioni di dollari. La V4 è infatti la regina di “Maserati 100 - a Century of Pure Italian Luxury Sports Car”, la mostra allestita nel Museo Enzo Ferrari, a due passi dalla storica fabbrica Maserati, che starà aperta per oltre sei mesi ospitando le più belle auto della marca del Tridente. Nel 1993 la Maserati è entrata a far parte del gruppo Fiat, che dal 2002 al 2005 l’aveva affiancata alla storica rivale di Maranello, dando vita al Gruppo Ferrari Maserati. La storia della Maserati, tuttavia, è l’opposto di quella della Ferrari. Il Cavallino rosso è indissolubilmente legato al fondatore Enzo e poi alla presidenza di Luca di Montezemolo. Un percorso di continuità assai diverso dal bizzoso encefalogramma della Maserati - che tra i suoi proprietari ha annoverato i francesi di Citroën e anche Alejandro De Tomaso - che arriva al suo primo secolo di vita in gran spolvero, fiore all’occhiello del gruppo Fiat Chrysler e senza più complessi di inferiorità nei confronti della Ferrari. La cugina che un tempo è stata un’acerrima contendente e che oggi è un’alleata con cui condividere parecchio sul fronte dei motori e di alcuni passaggi della produzione, anche se la competizione tra le due modenesi, nei fatti, continua. Perché, pur costando meno, le Maserati frequentano la stessa nicchia di mercato delle supercar, ma con obiettivi numerici ben differenti. La Ferrari si è autoplafonata intorno a quota 7 mila vetture all’anno - produrne di più rischierebbe di danneggiare l’effetto rarità - e la sua vettura più “economica” costa quasi 200 mila euro. La Maserati, invece, s’è sdoppiata: negli antichi (ma rimodernatissimi) capannoni di viale Ciro Menotti a Modena si producono con artigianale cura la GranTurismo e la GranCabrio. A Grugliasco, invece, alle porte di Torino, negli ex impianti della Bertone, nascono le berline, l’imponente Quattroporte e la più abbordabile Ghibli (dai 68 mila euro in su), in attesa della prima suv-crossover Maserati, la Levante. Con Ghibli la marca ha cambiato i connotati in termini di volumi. Nel 2013, Maserati ha consegnato 15.400 vetture (di cui 6.900 negli Stati Uniti e 3.800 in Cina), un primato storico destinato a essere frantumato già quest’anno, raddoppiando il risultato del 2013. Harald Wester, dal 2008 amministratore delegato e da pochi mesi alla guida della task-force che studia tutti i futuri modelli dell’Alfa, è convinto che la rincorsa continuerà. «Il centenario non poteva cadere in un periodo migliore della nostra storia. Siamo un’azienda in piena salute, con modelli nuovi e altri in lavorazione», ha detto il manager tedesco all’inaugurazione della mostra, la prima a riunire tutti i principali modelli della marca. Da gennaio a maggio 2014, già 12 mila clienti sono usciti da una delle 310 concessionarie in giro per il mondo al volante della loro nuova Maserati. Qualcuno se la va a prendere direttamente in sede, con tanto di cerimonia nel luccicante show-room progettato dal designer Ron Arad. Le visite allo show-room e alla fabbrica, complice la febbre da centenario, sono in costante aumento. D’altronde, aggirarsi nei capannoni dai classici mattoncini rossi è un’esperienza intrigante anche per chi di auto capisce poco. Prima di tutto, colpisce l’assenza di magazzino. Secondo i dettami della “lean production” (la produzione snella), infatti, sul piazzale coperto davanti al capannone dell’assemblaggio ci sono i carrelli che contengono il materiale destinato esattamente a ciascuna macchina. Qui se ne costruiscono una ventina al giorno, e tutte sono già state vendute. Una volta dentro, stupisce l’assenza dei tipici robot che caratterizzano le catene di assemblaggio delle marche “di massa”. Qui ce n’è uno solo, per collocare il parabrezza. Una persona difficilmente riuscirebbe a distribuire uniformemente il collante, spiegano. In ogni stazione della linea di assemblaggio, gli addetti hanno a disposizione 25 minuti. Non sono certo i tempi dell’officina bolognese dei fratelli Maserati ma è davvero un altro mondo rispetto alle altre fabbriche del gruppo (eccezion fatta per Ferrari, ovviamente). Colpisce assai pure il grado di personalizzazione: in pratica, non c’è una GranCabrio o una GranTurismo uguale all’altra. Ogni vettura è accompagnata da una carta d’identità che dettaglia che cosa va montato. La prima su cui buttiamo l’occhio è destinata a un cliente cinese e ha la carrozzeria “bianco Fuji”, un bianco dagli incredibili riflessi blu, un optional da 11 mila euro. La seconda è diretta in Germania, e ha le pinze dei freni Brembo opache. Prima di andarcene, passiamo dalle zona dei traballamenti, dove ogni Maserati viene fatta saltellare come se fosse tarantolata, per vedere come reagisce sullo sconnesso, e poi strapazzata con getti d’acqua da tutte le parti. Quindi è la volta del test per i freni. In fondo, l’esame al reparto finizione. Tutte le auto vengono osservate palmo a palmo, illuminate da fortissime luci bianche. Neppure il minino graffio, la più piccola imperfezione, devono farla franca. Lineare come il tracciato delle montagne russe al luna park, la vita della Maserati è stata un’altalena di gioie e dolori. Riuscendo persino a far coincidere la vittoria del campionato mondiale di Formula Uno - nel 1957, grazie al pilota argentino Manuel Fangio - con una gravissima crisi di liquidità dovuta al mancato pagamento di una grossa commessa di macchine utensili proprio dall’Argentina, sconvolta dal rovesciamento del generale Perón. Che c’entrano le macchine utensili con la Formula Uno? C’entrano, perché nel 1957 l’azienda non era più dei fondatori e faceva parte di un gruppo industriale-siderurgico che costruiva molte cose, tra cui le macchine utensili. I fratelli Maserati, geniali creatori di automobili velocissime, non avevano infatti con i conti la stessa dimestichezza che dimostravano con la tecnica e nel 1937 avevano dovuto cedere l’azienda ad Adolfo Orsi, un ex garzone di macelleria che in pochi anni era diventato il più importante industriale modenese, avvicinatosi alle quattro ruote aprendo una concessionaria Fiat. Orsi rilevò la Maserati per motivi proto-pubblicitari: pensava che produrre belle auto potesse migliorare anche l’immagine degli altri business. L’accordo prevedeva che i Maserati seguitassero a lavorare per la loro ex azienda per dieci anni. Impegno che mantennero anche durante la guerra, a costo di andare da Bologna a Modena in bicicletta. Alfieri, Ettore ed Ernesto, figli del macchinista ferroviere Rodolfo Maserati di Voghera, in provincia di Pavia, avevano fondato nel 1914 a Bologna la Officine Alfieri Maserati, con lo scopo di preparare per le corse le auto costruite da altre case, come Isotta Fraschini e Diatto. La prima Maserati, la Tipo 26, era un’auto da corsa e venne realizzata nel 1926 a Bologna. Il debutto tra le auto stradali avviene solo nel 1947, con la A6 del del 1947, carrozzata da Pinin Farina e prodotta in 58 unità nello stabilimento costruito da Orsi a Modena nel 1939. Per vedere la prima Maserati di serie bisognerà attendere altri dieci anni, con la 3500 GT, che sfiorerà i duemila esemplari in totale. Nel 1968 arrivano i francesi della Citroën, ma è un matrimonio che dura pochi anni. Segue la tormentata stagione di Alejandro De Tomaso, argentino di origine italiane che, supportato dalla finanziaria pubblica Gepi, mette le mani sulla Maserati. Poi, nel 1993, arrivano gli Agnelli. Che, a dispetto del nome, nel gestire la Maserati sembrano anche più aggressivi degli Orsi.
(Fonte: http://espresso.repubblica.it - 20/6/2014)
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