mercoledì 4 giugno 2014

Giorgio Barba Navaretti: "FCA, una finestra sul futuro dell'auto"


Fiat Chrysler Automobiles (FCA) è il risultato di un processo lungo e travagliato di trasformazione di una multinazionale italiana in un gruppo globale in grado di mantenere una forte radice in Italia. Il dibattito nel nostro Paese ha spesso percepito questo esercizio come un percorso di "sottrazione", di graduale delocalizzazione soprattutto verso gli Stati Uniti. Questa percezione è stata rafforzata dal fatto che, mentre in America le fabbriche lavorano a pieno regime, in Italia e in Europa funzionano a ritmo ridotto, con una proporzione molto elevata di lavoratori in cassa integrazione. Dopo la Panda a Pomigliano, solo dalla fine del 2012 l'azienda ha iniziato a investire negli impianti italiani in vista del nuovo piano industriale, varato ai primi di maggio, e della creazione di un polo di produzione premium e luxury in Italia fondato sui marchi Alfa Romeo e Maserati. In verità, e neanche tanto sottotraccia, in questi anni FCA ha attuato un processo di trasformazione industriale ed ingegneristica profonda, che coinvolge e coinvolgerà tutti i siti produttivi del gruppo. Si tratta di un esercizio certosino, che combina elementi molto diversi in un corpo unico, dove ogni pezzo deve dialogare con gli altri. Per quanto elevati siano i rischi del nuovo piano, se non fosse stato compiuto questo esercizio, se nel perimetro del gruppo non fossero entrate le attività di Chrysler, oggi gli impianti europei di Fiat avrebbero pochissime possibilità di sopravvivere. E Marchionne starebbe già portando i libri in tribunale. Forse succede in ogni fusione industriale di successo, comunque quanto è stato portato avanti in Fca è una lezione importante su come si costruisce un gruppo globale e sul futuro dell'industria in generale. Potrà apparire banale, ma la chiave è la creazione di un "linguaggio tecnico comune", in grado di conciliare e far dialogare in modo virtuoso realtà molto diverse. Per esempio, il fulcro industriale di questa operazione è la progettazione e costruzione di un numero limitato di piattaforme (l'architettura fondamentale dell'automobile, non visibile al cliente) da poter utilizzare per più modelli, magari pensati per mercati diversi e anche dotati di tecnologie diverse, in modo da sfruttare quanto più possibile le economie di scala. Il linguaggio tecnico comune permette, dunque, risparmi di costo colossali ma anche la possibilità di costruire automobili adatte ai singoli mercati. Compatibilità nella diversità: gli adattamenti al contesto locale devono essere coerenti con gli standard comuni globali. La creazione di un linguaggio comune naturalmente non si limita all'engineering delle automobili. Riguarda anche i processi manageriali e di governance e l'organizzazione delle fabbriche. Quello delle fabbriche è un nodo cruciale per l'interfaccia tra globale e locale. L'applicazione dei sistemi di World Class Manufacturing (più o meno l'applicazione dei processi di lean manufacturing giapponesi spinti all'estremo) trasforma radicalmente il ruolo e i compiti della forza lavoro. Le fabbriche in tutto il mondo devono funzionare sulla base degli stessi principi, ma allo stesso tempo dialogare con sistemi di relazioni industriali molto diversi. Da questo punto di vista, l'Italia era profondamente diversa dall'America e continua a rimanere tale. Ma su entrambe le sponde dell'Atlantico è stato necessario cambiare i contratti sulla base di regole di compatibilità con le nuove procedure di fabbrica imposte dal WCM. Quest'interfaccia tra linguaggi e regole, globali e locali, non è sempre semplice ed è spesso la ragione ultima di profondi conflitti e tensioni. Ma conciliare questi due aspetti è probabilmente il solo modo di preservare e rafforzare la competitività dei territori, certamente della produzione italiana. Il nuovo piano strategico basato sulla produzione di vetture premium e sul polo del lusso italiano è una scommessa ambiziosa. Non solo i tedeschi, che in questo ambito eccellono, sono difficili da battere, ma esportare automobili fuori dall'Europa implica costi aggiuntivi e le oscillazioni dei cambi creano incertezze rilevanti. Nonostante questo, si tratta di una strategia credibile proprio perché innesta un vantaggio competitivo italiano (la qualità, le competenze tecnologiche, il valore del "Made in Italy") in un contesto globale in grado di garantire reti di distribuzione e servizi di supporto alla produzione e alla vendita diffusi geograficamente e forniture a costi più bassi. La vicenda FCA non è soltanto una storia industriale interessante in sè. È anche una finestra aperta sul futuro dell'industria nel suo complesso. La competitività industriale di economie mature come l'Italia dipende dalla capacità di produrre beni ad alto valore aggiunto, di aumentare la produttività e ridurre i costi attraverso la tecnologia e la riorganizzazione delle fabbriche. Si tratta di una strada percorribile senza comprimere i salari o peggiorare le condizioni del lavoro. In quest'ottica FCA, insieme alle altre numerose eccellenze industriali italiane, può davvero diventare un tassello di una scommessa comune sul futuro del Paese e sulla capacità di trasformare la sua industria in una forza competitiva globale.
(Fonte: www.ilsole24ore.com - 3/6/2014)

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