venerdì 26 novembre 2010
The Economist: Fiat "lascia o raddoppia" con Chrysler
"Chrysler può contribuire a salvare la Fiat da se stessa e dall'Italia. Si tratta di una scommessa, ma è quella che deve essere presa". E' quanto scrive l'Economist - in un lungo articolo dedicato all'alleanza tra il Lingotto e la casa di Auburn Hills e intitolato "Fiat lascia o raddoppia con Chrysler" - che parte dal ritorno sul mercato americano della Fiat tramite la 500, definendolo "il primo risultato visibile di un unione sempre più stretta con la Chrysler", per spiegare l'importanza del mercato americano per il Lingotto. "Ritornare in un Paese da dove Fiat è stata cacciata a causa della bassa qualità è un grande rischio", ma rappresenta la possibilità per la casa torinese di "entrare su uno dei mercati più grandi del mondo e acquisire quella dimensione che la trasformeranno da piccola azienda europea a produttore globale". "Il suo mercato domestico è troppo piccolo e le attività troppo poco competitive per fornire una base di sopravvivenza di lungo periodo", scrive il settimanale ripercorrendo le tappe che hanno portato la Fiat a conquistare il 20% di Chrysler con la possibilità di salire al 35% prima e acquisire il controllo in occasione della quotazione. L'alleanza, secondo l'Economist, creerà un "operatore globale che può realisticamente puntare a vendere 6 mln di vetture, facendo leva sulle stesse economie di scala di concorrenti come Volkswagen e Toyota". Il rischio per Fiat è che "inciampi come la tedesca Daimler nei suoi infelici nove anni di controllo della Chrysler nonostante i miliardi di dollari investiti sulla casa statunitense". L'Economist ricorda quindi le difficoltà della Daimler nell'alleanza con Chrysler, le conseguenze del fallimento tedesco per la casa di Auburn Hills, l'impegno di Fiat nel migliorare la gamma prodotti e anche il tentativo di Marchionne di acquisire la Opel. Il settimanale avverte anche della possibilità che l'alleanza italo-statunitense possa indebolire i legami del Lingotto con l'Italia, in particolare sul fronte produttivo, alla luce peraltro del gap di produttività degli impianti italiani rispetto, per esempio, a quello brasiliano o polacco. Nella seconda parte dell'articolo, titolata "Ciao, bella?", l'Economist si chiede quanto sia reale la possibilità che la Fiat lasci l'Italia, in considerazione delle perdite registrate dalle attività italiane. Nell'articolo si ricorda la dichiarazione di Marchionne sull'assenza di piani del genere ma allo stesso tempo, dopo aver ricordato come il Lingotto abbia perso la sua posizione dominante in Italia, si sottolinea che "sebbene un ritiro improvviso dall'Italia resti improbabile, è ora facile immaginare che Fiat abbandoni i suoi impianti italiani per investire in paesi dove la crescita delle vendite e la produttività sono molto più alte". Quindi l'Economist ricorda come Marchionne abbia descritto gli impianti della Fiat come stabilimenti caratterizzati da rigide norme lavorative, assenteismo dilagante e scioperi continui e abbia lanciato un piano per raddoppiare la produzione in cambio di accordi che prevedano maggior flessibilità in base alla domanda. Dopo di che il settimanale si lancia in un paragone forte legando il manager italo-canadese a Margaret Thatcher. Lo scontro con i sindacati, per l'Economist, ricorda infatti l'agonia della British Leyland nei primi anni '80: "Marchionne potrebbe essere arrivato al "momento-Thatcher", nel quale perde la pazienza e diventa duro. Data la debolezza della Fiat sul proprio mercato domestico e l'ostinazione di alcuni lavoratori, il manager è sicuro che vale la pena accettare tutti i rischi legati alla fusione con Chrysler e al ritorno sul mercato americano. In effetti, questi passi coraggiosi possono essere l'unica garanzia della sua sopravvivenza".
(Fonte: www.economist.com - 25/11/2010)
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Condivido in pieno, non è tanto Fiat che salva Chrysler quanto il contrario.
RispondiEliminaIl problema di Daimler è che non vi era integrazione, solo ora che anche Mercedes scende nei segmenti inferiori avrebbe avuto senso, ma la radice del problema è che non voleva condividere i propri pianali con Chrysler perché aveva paura che la gente preferisse ad esempio una Chrsyler 300 ad una Mercedes classe E sulla medesima base.
Fiat, invece, si integra perfettamente con Chrysler avendo basi con cui condividere e pianali e motori Chyrsler da usare per l'alto di gamma dove Fiat non è praticamente presente, per non parlare di Suv.