martedì 21 luglio 2009

Gara a tre per Opel. Fiat resta fuori


Nel lungo sprint per aggiudicarsi Opel - ormai trasformatosi in una gara di fondo - nei giorni scorsi era rispuntato prepotentemente il marchio RHJ, fondo belga controllato dall'americana Ripplewood. Delle concorrenti al controllo della casa automobilistica tedesca, la finanziaria di Bruxelles è la meno titolata sul piano industriale ma, proprio per questo, ben vista dalla casa madre General Motors, la quale accarezzerebbe l'idea di riprendere in futuro il controllo del brand acquisito nel lontano 1929. Ieri alle 18 si sono chiusi i termini per la presentazione dei piani dettagliati, come richiesto dal governo tedesco. Oltre al binomio austro-canadese e russo Magna-Sberbank (sin dall'inizio preferito dai Länder e dai sindacati tedeschi) e, appunto, al fondo belga RHJ, è rientrata in gioco anche BAIC, ovvero Beijing Auto, gruppo cinese leader in patria nella componentistica, che può vantare anche una lunga partnership con Daimler-Chrysler nella costruzione di modelli Mercedes e Jeep. L'offerta cinese sulla quota di rischio è risultata la più munifica (660 milioni di euro, contro i 275 di RHJ e i 100 di Magna, la quale ha anche messo sul tappeto 400 milioni di prestiti convertibili), ma il piano industriale non è ritenuto nel complesso al livello delle altre due contendenti. A favore di Magna-Sberbank pendono i giudizi positivi sin qui espressi dal governo tedesco - i cui finanziamenti - valutati intorno ai 4,5 miliardi - sono indispensabili per il rilancio della Opel - e quelli dei sindacati, i quali apprezzano il fatto che Magna si sia impegnata a tagliare "solo" 2.500 posti di lavoro in Germania (su oltre 11mila totali). Rispetto alle quote azionarie, il consorzio austro-canedese-russo ha modificato in "zona Cesarini" l'assetto proposto, con Magna e Sberbank, legate da un patto di sindacato, che avrebbero entrambe il 27,5% della nuova società, lasciando a GM una quota formale di maggioranza, pari al 35%. A favore di RHJ-Ripplewood, che punta invece al 50,1% del capitale della nuova impresa, pesa - come si diceva - il non tanto segreto intento della casa madre americana di ritornare al timone della Opel al termine di un periodo di riassetto. In ciò corroborata dal carattere più marcatamente finanziario dell'opzione belga. Benché il ministro dell'economia tedesco, Karl-Theodor Zu Guttenberg, continui a ripetere che con Magna "non c'è un accordo già fatto", la gara sembra dunque aver assunto un aspetto definito, con Magna in pole position, tallonata da RHJ, e BAIC come outsider. E la Fiat? Il lingotto, che aveva puntato tutte le sue carte proprio sul futuro assetto industriale della nuova Opel, vantando sinergie produttive e distributive che gli altri concorrenti neppure si sognavano, ha deciso di non rilanciare, preferendo stare alla finestra. Non è detto, infatti, che i giochi siano fatti completamente. Ora le offerte finali passeranno all'esame di GM, che conferirà le sue conclusioni a un tavolo di trattativa che si annuncia quanto mai affollato: oltre alla casa madre americana - oggi controllata, è bene ricordarlo, dal governo statunitense, che si è accollato l'onere di impedirne il totale fallimento - vi siederanno infatti il governo federale tedesco e i Länder coinvolti (fra i quali quello dell'Assia, dove ha sede la Opel); a far parte del tavolo ci sarà poi la Commissione europea - che sta vigilando sull'intera operazione al fine di evitare distorsioni del mercato o aggiramenti della normativa sulla concorrenza - e il Trust Board della Opel/Vauxhall, ovvero la fiduciaria alla quale nel mese di maggio è stata affidata la quota di controllo della casa tedesca, per consentirne la gestione in attesa degli sviluppi. Proprio al Trust competerà dunque assumere infine una decisione formale. Ma l'organismo si presenta in questo momento esattamente diviso a metà: da un lato i due rappresentanti nominati da Berlino, dall'altro i due scelti da GM. In mezzo, il presidente, capo della Camera di Commercio americana in Germania, che però non ha diritto di voto. Dunque, una situazione di possibile stasi si staglia all'orizzonte, con le elezioni politiche tedesche di settembre ormai imminenti. Forse anche per questo, la Fiat di Sergio Marchionne ha preferito tirarsi fuori da una partita che potrebbe richiedere tempi ben più lunghi di quelli immaginati dall'ad del Lingotto ai tempi del "blitz" ai primi di maggio, quando, appena concluso l'affaire Chrysler, volò nella capitale tedesca per esporre a grandi linee l'idea di un nuovo gruppo europeo da sei milioni di vetture-anno, in grado di competere con i colossi giapponesi - e quelli emergenti cinesi - ad armi pari. Oggi, di quella "visione", nessuno - almeno in apparenza - pare interessato a farsi carico.
(Fonte: http://delleconomia.it - 21/7/2009)

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